L'ANALISI

Auto elettriche 2035: perché la decisione del parlamento europeo avrà costi enormi

La lettera aperta di Luca De Meo all’UE ha lanciato un segnale chiaro: per accompagnare la transizione in atto nel settore automotive serve una politica industriale più aggressiva in Europa. Altrimenti rimarremo indietro rispetto a Cina e USA. L’analisi di Federico Pennarola, docente Bocconi

Pubblicato il 09 Feb 2023

Batterie auto elettrica in Cina

Automotive e transizione elettrica: la storia si ripete.

Emblematica è la lettera aperta del neopresidente ACEA (l’associazione Europea dei costruttori di veicoli), Luca De Meo, pubblicata il 1° febbraio 2023 e indirizzata a tutte le Autorità pubbliche di Bruxelles e dei governi della UE. Quello che sta accadendo oggi nel settore automotive in Europa richiama, per molti aspetti, i fatti dell’estate – autunno del 2000 nel settore delle telecomunicazioni.

Vediamo perché, con un breve ripasso di quegli eventi.

Come i bandi per il 3G fecero perdere competitività all’Europa

Non avevamo ancora l’euro nelle tasche e i conti si facevano con i “miliardi di lire / marchi tedeschi / franchi francesi”. In modo sincrono, le autorità per le telecomunicazioni in Gran Bretagna, Germania, Francia, Austria, Italia, e poi seguirono anche Spagna e altri paesi, avevano lanciato le gare per l’UMTS, ovvero l’assegnazione delle bande di frequenza per le reti cellulari di terza generazione (3G), una tecnologia che avrebbe cambiato la vita ai cittadini d’Europa.

Conseguimmo questo risultato pagando un prezzo salatissimo, non direttamente come consumatori, ma nel nostro ruolo di cittadini di un sistema economico complesso e interdipendente. Infatti, il costo delle licenze venne saldato da poche Telecom che non potettero rinunciare di partecipare alle gare, pena l’esclusione di fatto dal mercato. Queste gare prevedevano, in molti casi, sia un meccanismo di “beauty contest” che uno competitivo al rialzo.

Risultato? In Germania furono raccolti l’equivalente di 52 Mld di euro, in Italia 16 Mld, in UK 23 Mld di sterline. In Europa, le tasche degli operatori di telecomunicazioni furono prosciugate di quasi 90 Mld di euro, i quali dovettero indebitarsi per saldare il conto. L’investimento nelle licenze UMTS, pur se ammortizzate su un arco temporale di 17 anni, rallentarono, in Europa, la ricerca e sviluppo di nuove infrastrutture di telecomunicazioni, con tutte le conseguenze sulla crescita dei mercati digitali.

Nel frattempo, gli USA superarono l’Europa con una avanzata low cost delle reti Wi-Fi, dando priorità allo sviluppo della rete internet su bande non licenziate, anche a costo di una non immediata diffusione del 3G. La penetrazione del Wi-Fi in USA accelerò la crescita dei giganti del WEB, i famosi OTT (Over the Top): Google, Facebook, Amazon. Grandi aziende, che, pur senza una infrastruttura di rete proprietaria e capillare, raggiunsero miliardi di consumatori in pochi anni, occupando posizioni sostanzialmente monopolistiche nei servizi via Internet, un fatto da cui ancora oggi a vent’anni di distanza dipendiamo.

Auto elettrica in Europa: la strategia UE tarpa le ali ai produttori

Le politiche dell’autorità antitrust europea sono state sempre ispirate alla protezione del consumatore, una opzione necessaria quando bisogna irrobustire un mercato interno in un’area valutaria unica. Questa soluzione è stata preferita come unica opzione, senza sufficientemente considerare la contemporanea tutela degli operatori economici e delle imprese.

Analogamente, per il settore automotive, la strada tracciata è identica: il pacchetto FIT for 55, l’insieme di politiche del Consiglio dell’Unione Europea, prevede l’azzeramento delle emissioni di CO2 per tutti i veicoli di nuova produzione entro il 2030, il che lascia spazio solamente ai motori elettrici.

Non altrettanto hanno scelto di fare le autorità pubbliche in USA e in Cina, dove, come citato anche da De Meo, sono in atto enormi programmi a sostegno della transizione dei produttori verso il nuovo modello di trasporti individuali. E alcuni risultati sono già evidenti: il mercato interno cinese è al momento il più grande al mondo per la produzione e commercializzazione dei veicoli a propulsione elettrica.

Il Presidente di ACEA lancia un grido di allarme:

La trasformazione del settore non sarà un pranzo di gala, ma costerà enormi investimenti agli OEM ed avrà ripercussioni di dimensioni epocali sugli occupati in tutta la filiera produttiva.

In un articolo del 27 giugno del 2018, ben 5 anni fa, proprio da queste pagine, si mise in risalto come la manifattura dei motori elettrici, impiega solo il 20% della forza lavoro rispetto alle ore/uomo per l’assemblaggio di analoghe power unit a combustione interna:

Auto elettriche, quanti posti di lavoro costerà il passaggio ai nuovi motori?

per a) il ridotto numero di componenti da assemblare, b) la semplicità dei processi costruttivi. Questo comporta in Europa, solo considerando gli impiegati diretti e non dell’intera filiera, una riduzione degli organici a regime (2030) di 32mila occupati, stima conservativa.

Auto elettrica in Europa: serve uno sforzo coordinato

La ragione fondamentale per cui è importante ascoltare le esigenze dei produttori ha a che vedere con l’elevata intensità di capitale per unità prodotta, e conseguentemente con le economie di scala. Produrre un veicolo secondo standard qualitativi moderni richiede impianti di assemblaggio ad elevato impiego di robot, che garantiscono la ripetizione delle medesime operazioni annullando la varianza e gli errori. Il settore ha una capacità installata di quasi 100 milioni di veicoli a livello globale: con questi numeri le economie di scala fanno la differenza. Acquistare e assemblare componentistica per milioni di veicoli produce enormi risparmi, come ben sanno in Cina ove la penetrazione dei veicoli elettrici sta viaggiando spedita verso una quota ben superiore al 20% del totale.

Sono urgenti sforzi coordinati di tutte le parti in causa per accelerare la penetrazione dei veicoli elettrici di nuova commercializzazione in Europa, un obiettivo per cui siamo in ritardo rispetto a Cina e USA.

Aumentare i volumi, e quindi ripagare il capitale investito e sfruttare le economie di scala, richiede: il potenziamento della rete di distribuzione elettrica fino all’ultimo miglio, lo sviluppo delle infrastrutture di ricarica e la standardizzazione delle tecnologie e delle offerte commerciali. Infine, c’è un capitolo enorme di cui nessuno parla: la ridefinizione della fiscalità che incide oggi sui carburanti, sull’IVA all’acquisto, le tasse di circolazione e proprietà e su mille altri balzelli. Chiarezza su questi fronti è di vantaggio sia all’offerta che alla domanda.

Accusare ulteriori ritardi, rispetto ad USA e Cina, nella battaglia della competizione è un grave handicap, che mette a rischio aggiuntivi posti di lavoro. Nessuno vuole vaticinare uno scenario come quello che accadde a valle delle gare per l’UMTS del 2000. Gli effetti di quella vicenda sono noti: la cessione della sovranità dei dati dei cittadini europei agli OTT mondiali, che guarda caso sono solo in USA e in Cina.

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Ferdinando Pennarola
Ferdinando Pennarola

Professore di Organizzazione e Sistemi Informativi all’Università Bocconi di Milano e direttore del Global Executive MBA (GEMBA) della SDA Bocconi School of Management. Si occupa di change management e di innovazione nel campo delle tecnologie informatiche e della rete.

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