Niente più alibi: lo smart working è legge. Il Jobs Act sul lavoro autonomo è stato approvato oggi dal Senato: questo significa che finalmente l’Italia ha una disciplina sul Lavoro Agile. “La nuova legge costituisce un passo avanti per la diffusione dello Smart Working in Italia” è il commento di Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working della School of Management Politecnico di Milano. “Sebbene non consenta di fare qualcosa in più rispetto a prima (alcune aziende già lo praticano da anni), né tantomeno definisca obblighi di attuazione o incentivi, il testo enuncia principi e promuove diritti di grande valore – sottolinea Corso – eliminando gli alibi di chi riteneva mancasse l’adeguato supporto normativo per il Lavoro Agile. Oggi in Italia lo Smart Working si può e si deve fare. L’auspicio è che si possa diffondere in modo più capillare e profondo”.
“La legge – continua il docente – rappresenta un buon punto di riferimento e non va assolutamente vista come ‘debole’. Per esempio enuncia alcuni principi fondamentali, come la possibilità di lavorare in modo flessibile rispetto al luogo e all’orario attraverso l’uso delle tecnologie digitali, con effetti positivi sia nel lavoro sia nel work-life balance. Importante anche l’attenzione alla sicurezza del lavoratore agile e il diritto alla disconnessione”.
►CHE COSA CONTIENE LA NUOVA LEGGE – ll Senato ha dato il via libera al ddl sul lavoro autonomo e agile. Il provvedimento è stato approvato con 158 sì, 9 no e 45 astenuti. Il ddl diventa così legge dopo quasi 15 mesi dal varo in Consiglio dei ministri. Il ddl, “promuove il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa” questo “allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. “La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali e, senza una postazione fissa, in parte all’esterno – specifica ancora l’articolato – entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”. Con questa definizione, introdotta durante l’iter in commissione, si è specificato la diversità con il telelavoro.
Il ddl specifica poi che il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa e che gli incentivi fiscali e contributivi eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato sono applicabili anche quando l’attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile. Le norme del del ddl sono applicabili anche alla PA.
Lo stipendio e il trattamento normativo del lavoratore agile fanno riferimento al contratto collettivo e, quindi, non a quello aziendale. Il testo originario del provvedimento prevedeva che “il lavoratore che svolge la prestazione in modalità agile ha diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”. L’emendamento Pd chiarisce che queste condizioni sono quelle stabilite dal contratto collettivo.
L’accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto “ai fini della regolarità amministrativa e della prova”. Inoltre, al lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le stesse mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. L’accordo sul lavoro agile può essere a termine o a tempo indeterminato. Il recesso è ammesso, nell’ipotesi di giustificato motivo, anche per l’accordo a termine.
►SMART WORKING IN UNA GRANDE IMPRESA SU TRE – Secondo la ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano sono già circa 250 mila in Italia gli Smart Workers, cioè i lavoratori subordinati che godono di discrezionalità nella definizione delle modalità di lavoro in termini di luogo, circa il 7% del totale di impiegati, quadri e dirigenti. E sono già ben il 30% le grandi imprese che hanno avviato progetti di Smart Working. A fronte dei benefici concreti riscontrati e del favore dei lavoratori, molte di queste stanno oggi ulteriormente estendendo il numero di persone coinvolte e l’intensità di applicazione.
►LA PALLA PASSA A PMI E PA – “Tocca ora alle pmi e alle pubbliche amministrazioni, rimaste per il momento ai margini del fenomeno, intraprendere questo percorso” conclude il professore. “Dalla PA negli ultimi mesi sono arrivati segnali incoraggianti. L’approvazione finale del testo di riforma del Pubblico Impiego avvenuta a marzo ha confermato l’obiettivo di arrivare ad offrire ad almeno il 10 per cento dei lavoratori forme di flessibilità (Smart Working, ma non solo) entro il 2018. Certamente non basta, ma fanno ben sperare il tentativo concreto avviato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che inizierà a far sperimentare lo Smart Working a 400 persone da novembre 2017 e alcuni bandi pubblici recentemente pubblicati per dare supporto le Pubbliche Amministrazioni che vogliono approcciare questo cambiamento”.