Agrifood come palestra di Open Innovation

Francesco Marandino, ideatore di Penelope e ValueGo, racconta il percorso di innovazione di un settore di eccellenza del Made in Italy. Dalla partnership con un ecosistema di imprese come Cisco è nata una piattaforma che parte dal Precision Farming e arriva alla gestione della sicurezza alimentare su tutta la filiera

Pubblicato il 11 Apr 2017

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«Portare la tecnologia nel mondo dell’agricoltura da tecnologi è stato come parlare al vento nel deserto». Non è una novità che per fare innovazione nel mondo dell’agrifood ci vuole coraggio e tanta tenacia. Ma come per tutte le grandi sfide serve trovare il giusto punto di accesso giusto e il linguaggio giusto. Per Francesco Marandino non è stato facile, tanto che ci confessa che «siamo arrivati qui prendendo tanti schiaffi». Ma per il fondatore di Penelope e “papà” di ValueGo l’innovazione sulla filiera alimentare è una impresa quasi personale, tanto per la passione quanto «perché su un tema come questo bisogna prima di tutto crederci e non si può non avere fiducia nelle opportunità del digitale per un bene così prezioso come il Made in Italy dell’alimentare».

E il punto di accesso che ha permesso di far partire questo processo di digitalizzazione si chiama Open Innovation. «Siamo partiti concentrando l’attenzione sul campo – ricorda – nella convinzione di iniziare a portare il digitale proprio là dove prende corpo e forma la filiera. Con l’agricoltura di precisione, che doveva mettere in moto un processo di rilevazione dati che dovevano alimentare tutta la filiera». Ma la cultura delle imprese agricole italiane, che nella stragrande maggioranza dei casi è costituita da microimprese, non ha risposto «come speravamo». Non era un problema di sensibilità «che è molto alta – osserva Marandino – perché i temi della qualità e dell’innovazione sono molto sentiti. Quanto per un tema culturale, che non può essere trascurato o semplificato. L’introduzione di tecnologie digitali sul campo e nella struttura dell’azienda agricola impatta come appare evidente in modo radicale sull’organizzazione del lavoro e pone un tema importantissimo di competenze. Il digitale, per quanto semplificato, deve essere governato. Questo tema culturale non è ovviamente sganciato anche da un tema di economics e di investimenti necessari per affrontare questo tipo di innovazione e per le piccole imprese agricole fare innovazione rappresenta spesso un investimento difficile da affrontare».

Ecco che dall’approccio dal campo Marandino è passato a un approccio da filiera. Una scelta più pragmatica, che non dimentica il focus del “campo” e delle imprese agricole, ma che sposta il punto di accesso sull’industria di trasformazione. Resta certamente aperto il tema culturale, ma in questo caso Penelope e l’ecosistema del quale fa parte, diventa protagonista di processi di innovazione sulla filiera portando innovazione nuove risposte, sia in termini di qualità del prodotto sia come efficienza e produttività.

E il percorso di Penelope è anche l’esempio di come una idea partita come start up circa otto anni è diventata oggi un “motore” di Open Innovation, che grazie alla partnership strategica con Cisco accelera e realizza processi e progetti di innovazione nelle imprese dell’industria di trasformazione agroalimentare.

Accanto all’esempio più conosciuto del progetto Safety For Food che ha visto la collaborazione con un brand del Made in Italy come Barilla, insieme a Cisco e NTT Data, la storia di Penelope è sempre più legata al tema della qualità e della sicurezza alimentare lungo tutta la filiera dell’industria di trasformazione.
Un pacco di pasta di alcuni euro nasconde al proprio interno il lavoro di tante persone e di tante aziende, con ricadute di tipo economico, commerciale, sanitario, di etica e di sostenibilità in tante parti del mondo. E se si parte dall’assunto «che la qualità è figlia di una cultura e di un processo produttivo che deve essere governato partendo dalla conoscenza e dai dati» ecco che nasce un nuovo modo per garantire la qualità nel Made in Italy, con uno sguardo che sappia comprendere tutto il mondo e dove la tecnologia digitale può incidere in modo davvero rivoluzionario. Ed è qui che entra in gioco il ruolo da Open Innovation di Penelope e in particolare della piattaforma ValueGo che permette di innestare processi di innovazione a vari livelli partendo dalle imprese di trasformazione alimentare. «Se un operatore del settore agro – osserva – ha la necessità ad esempio di rinnovare o potenziare la componente legata alla gestione del fresco per la conservazione dei prodotti, si concentra chiaramente sull’acquisizione di un frigorifero e nel momento in cui ha bisogno di gestire questa fase con più intelligenza si concentra sui sensori e sulla tipologia di informazioni necessarie per gestire questo asset». Siamo e rimaniamo nel campo del digitale, che non cambia le logiche di produzione. Ma se invece il focus si sposta sulla produzione e sul controllo di qualità e sul controllo delle materie prime che vanno a comporre un prodotto finito ecco che il tema «riguarda tutta la filiera agroalimentare in un contesto dove operano decine o anche centinaia di attori, ciascuno con specifiche caratteristiche e dove ciascuno porta alla catena una serie di variabili che incidono direttamente sulla qualità del prodotto e sull’efficienza complessiva della filiera».

Ma cosa significa fare Open Innovation nell’industria di trasformazione? La risposta di Marandino sta nella visione di una nuova prospettiva per l’impresa stessa: «Il problema dell’azienda non deve essere quello di acquistare e controllare la materia prima, ma quello di innovare e vendere al meglio il prodotto finito». Oggi le materie prime che vengono conferite a una impresa alimentare sono lavorate e “trasferite” sulla base di un disciplinare condiviso tra industria “capo filiera” e imprese fornitrici. Nelle imprese fornitrici arrivano ogni giorno decine di mezzi per conferire materie prime con un momento di verifica finale e definitiva che avviene nel momento stesso del conferimento. Ma in questo scenario il controllo arriva tardi, l’industria corre un grande rischio di inefficienza nel flusso di produzione, mentre i conferitori di materie prime rischiano a loro volta di subire dei danni in termini di “non accettazione” delle materie prime. «Nel caso Barilla – ricorda Marandino – la soluzione basata su ValueGo permette di controllare direttamente dalla sede centrale di Parma della società le caratteristiche delle materie prime sui conferitori in tempo reale in modo da gestire in modo coordinato tutte le eventuali problematiche ed evitare tute le possibili discontinuità a livello di produzione». E se per l’industria questo è un valore che impatta direttamente sul business, per le imprese produttrici di materie prime questa soluzione diventa una vera e propria patente di qualità. Non a caso alla base della piattaforma ValueGo ci sta il disegno per dare vita a un Passaporto Digitale che accompagna le materie prime in tutto il loro percorso lungo la supply chain food e che permette a tante aziende, ad esempio di Paesi in via di sviluppo, di essere prese in considerazione in modo diverso dal passato, quando magari venivano indirizzate solo per un fattore legato al prezzo, mentre adesso è possibile allineare le linee guida del disciplinare dell’impresa di trasformazione con un controllo di qualità che può essere effettuato all’origine anche da remoto

Marandino ci tiene a sottolineare che questo processo «porta innovazione a tutti i livelli, dall’impresa agricola che è indirizzata dai propri clienti verso la digitalizzazione al grande “marchio” che vede vantaggi evidenti e concreti nell’efficienza di tutta la propria filiera e non ultimo nella possibilità di portare poi sullo scaffale della grande distribuzione questi valori nella forma di una maggiore garanzia di qualità dei prodotti. In più questa sicurezza permette di mettere a valore presso i consumatori, anche attraverso soluzioni come QR Code e Realtà Aumentata la possibilità di vedere tutte le fasi del processo di lavorazione del prodotto che sta acquistando e di trovare nuove forme per combattere i rischi di contraffazione. E Marandino torna ancora sul tema culturale sottolineando che in questo modo il digitale permette di «creare una nuova forma di Trust orientata alla qualità. Una fiducia che lega tutti i componenti della filiera dai produttori di materie prime, piccoli o grandi che siano, con tutti gli attori dell’industria di trasformazione».

Una dimostrazione di questa “rivoluzione culturale” è rappresentato, per esempio, dal lavoro che PricewaterhouseCoopers (PwC) sta portando avanti grazie al programma “Food Trust” che si pone proprio l’obiettivo di creare quelle interconnessioni capaci di poter far dialogare, grazie alle tecnologie, stakeholder che con grande difficoltà condividono informazioni tra loro. Si introduce di fatto un vero e proprio modello ecosistemico dove il cibo è al centro e le tecnologie riescono ad aggregare il contributo distintivo di tutti gli attori in termini di qualità, economicità, sostenibilità ed etica delle produzioni agroalimentari.

Spostando il punto di accesso al digitale dal campo all’impresa è certamente cambiata la possibilità di entrare nella filiera e di impattare sulla catena del valore, anche se resta il grande tema legato alla gestione del cambio culturale. Ancora una volta lo possiamo fissare con un esempio: «Se guardiamo al settore primario – osserva – ci rendiamo conto che un drone, ad esempio, può portare una forma di efficienza impensabile e può permettere di fare uno straordinario salto di qualità sia sotto il profilo della qualità del prodotto, sia sotto quello dell’aumento della produzione. Ma dobbiamo sapere che il vero valore è nella “testa” e nella cultura del contadino, che conosce il proprio ambiente e che sa prendere le decisioni migliori sia per il prodotto, sia per l’ambiente. La vera sfida – prosegue Marandino – sta nella capacità di portare nel digitale una parte di questa conoscenza e nello stesso tempo di rendere il drone (o qualsiasi altro mezzo digitale) nella condizione di diventare un sistema di supporto per allargare il raggio d’azione della conoscenza e per passare più velocemente all’azione».

Il percorso di Open Innovation che l’esperienza di Penelope mette in moto riguarda anche la valorizzazione della conoscenza. «Quando parlavo di tecnologia ai contadini – ricorda Marandino – mi chiedevano polemicamente se sapevo cosa succede nel campo. Esprimevano un dubbio, un punto di “scollamento” tra la tecnologia e la conoscenza». Ognuno ha la sua competenza e ognuno ha il suo “pezzo” di filiera da presidiare. «ValueGo – osserva – è nata con l’obiettivo di dare una visione di insieme a tutta la filiera, permettendo a ciascun attore di preservare e valorizzare la propria conoscenza».

In un contesto come quello attuale dove il tema del cibo si declina sui grandi temi della disponibilità (e dunque della quantità e dell’efficienza della filiera), su quelli della sostenibilità (e dunque ancora dell’efficienza, con particolare attenzione all'”energia” necessarie per la produzione) ecco che il digitale, e in particolare il Passaporto digitale delle Materie Prime, è nella condizione di dare una visione di tutte le prospettive che attengono alla filiera alimentare: quella che guarda alla salute dei consumatori finali, ma anche quella che chiede attenzione per la salute e per il benessere degli animali. Sono esempi questi che chiedono un cambiamento importante nella “cultura” e nelle logiche di produzione. Possiamo ridurre l’intensità nell’uso di fitofarmaci grazie all’agricoltura di precisione e possiamo ridurre l’utilizzo di antibiotici per uso animale grazie alla zootecnica di precisione (alimentazione funzionale) che può intervenire per salvaguardare la salute degli animali minimizzando l’utilizzo di farmaci che poi passano nei prodotti e dunque impattano ancora una volta direttamente sulla salute dei consumatori. «Se vogliamo veramente innovare rispetto a questa specie di involuzione – afferma – dobbiamo sapere che le tecnologie possono migliorare la vita quotidiana, ma solo se sanno valorizzare la conoscenza e le competenze di tutti gli attori. Con Penelope abbiamo avviato un nuovo approccio che applica le logiche dell’IoT al food offrendo una lettura analitica dai dati in una prospettiva di filiera con l’obiettivo di garantire qualità e sicurezza alimentare, e portare nello stesso tempo il prodotto in una nuova forma di empatia con il consumatore. Perché «dobbiamo essere consapevoli che il prodotto è un ambasciatore sia dell’azienda e del brand che lo ha prodotto, ma è anche un ambasciatore dei valori e della cultura di un popolo». Comunica anche altre emozioni e diventa uno degli elementi che rappresentano il paese stesso. «Il tema dell’Open Innovation messo in moto da Penelope con ValueGo – conclude Marandino – riguarda la capacità di “aggregare digitalmente” tutti gli attori di un ecosistema che solo se operano insieme, condividendo lo stesso obiettivo su tutti i componenti della filiera, possono dare una risposta alle domande di qualità, sostenibilità, efficienza, sviluppo e sicurezza che arriva dal mondo agrolimentare e dai consumatori».

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