Capitali e imprese hi-tech, non ci resta che sperare sull’AIM

Gli investimenti in startup innovative crescono ma sono pochi, soprattutto per le growth company. I prestiti delle banche non sono un’alternativa. Un ruolo importante può quindi essere giocato, grazie ai nuovi incentivi fiscali, dal mercato di Borsa creato per le Pmi che vogliono crescere

Pubblicato il 24 Mar 2017

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Ad un recente convegno mi è stato chiesto quale fosse lo stato dei “capitali” a disposizione delle imprese operanti in Italia nei comparti hi-tech. Articolo le riflessioni che ho fatto su quattro punti.

1) Il capitale equity per le startup. Se guardiamo alle imprese hi-tech nei loro primissimi anni di vita, cioè alle startup, la situazione dal punto finanziario presenta chiari e scuri. I dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano parlano complessivamente di circa 220 milioni di investimenti. Pochi in valore assoluto e rispetto ai benchmark più avanzati mondiali ed europei. Ma comunque in crescita rispetto al passato e con un importante segnale positivo rappresentato dall’arrivo di investimenti dei VC internazionali.

2) Il capitale equity per le scaleup/growth company. Se guardiamo alle imprese hi-tech che non sono più startup ma che hanno ancora un elevato potenziale di crescita, la situazione è ben peggiore: infatti gli investimenti da parte di operatori di private equity nelle imprese hi-tech italiane è estremamente contenuto, parliamo di poche decine di milioni di euro nel 2016. E non possono essere considerati alternative reali i mercati azionari MTA e STAR, accessibili a ben poche imprese di dimensioni già importanti: basti pensare che nel 2016 ci sono stati solo 3 Ipo (Technogym, attrezzi per fitness, ENAV, gestione traffico aereo, e COIMA, investimenti immobiliari).

3) Il debito. Questa carenza strutturale di capitali equity in Italia è in parte compensata dal capitale di debito, in particolare da quello coperto dal Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese del Mise, nato per le Pmi e poi aperto anche alle startup. Nel 2016 il Fondo ha fornito garanzie per 11, 6 miliardi a favore di oltre 70mila piccole e medie imprese, tra cui anche un bel numero di startup. Ma è chiaro che il capitale di debito non può essere visto come sostitutivo del capitale equity, soprattutto per quelle imprese ad elevato potenziale di crescita che operano in settori hi-tech con modelli di business innovativi e, quindi, caratterizzate intrinsecamente da profili di rischio medio-altri.

4) L’AIM. Ecco perché in questo scenario, penso che un ruolo importante possa essere svolto dal mercato azionario dell’AIM, pensato proprio per le piccole e medie imprese che vogliono crescere. L’AIM ha vissuto – da quando è nato – fasi alterne dal punto di vista dei collocamenti: ben poco attivo nella prima parte della sua vita, ha avuto un boom nel periodo 2013-2015 per poi tornare ad un periodo di semi- quiescenza fino ad oggi. Adesso, però, anche grazie agli importanti incentivi fiscali introdotti a fine 2016 – lo scudo fiscale del 30 per cento per gli investimenti fatti in startup e pmi innovative e i piani individuali di investimento (i cosiddetti PIR) che defiscalizzano capital gain e dividendi – l’AIM potrebbe diventare una grande opportunità per tutte quelle imprese hitech che vogliono reperire capitali di rischio per rafforzare la loro crescita e scalare il loro modello di business.

* Andrea Rangone è CEO di Digital360 e fondatore degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

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