Startup, università, ricerca più la presenza di un grande player internazionale: è la ricetta ideale per creare un network di open innovation secondo Spindox, azienda milanese che sviluppa soluzioni innovative nel mondo dell’IT e offre servizi di system integration. In particolare la società ha scelto di sviluppare frequenti rapporti con le startup e di realizzare la sua strategia di scouting di idee innovative attraverso gli hackathon, gare tra sviluppatori per la soluzione di problemi informatici. “Per noi l’innovazione è una strada obbligata” dice Paolo Costa, Direttore Marketing e Comunicazione di questa società nata nel 2007 come spinoff di Visiant e oggi al 100% in mano ai soci fondatori. Spindox, tra l’altro, è risultata tra i 16 progetti premiati a luglio 2016 al Digital360Awards, evento organizzato da Digital 360 dedicato ai fornitori hi-tech di imprese e PA in ambito business.
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“Siamo anche noi una ex startup – prosegue Costa – e amiamo stabilire rapporti con startup innovative che abbiano uno o due anni di vita, per andare a intercettare nuove tecnologie, nuovi contenuti e nuove idee in una fase molto precoce della loro esistenza”.
Non tutte le aziende italiane, però, avvertono lo stesso “obbligo” ad innovare. Secondo i dati dell’Osservatorio Startup Intelligence del Politecnico di Milano, il 70% delle imprese non ha collaborazioni attive con startup come fornitori, un dato che sale al 78% per le imprese con dipendenti tra i 50 e i 1000. Tra i motivi soprattutto cause interne: molte non si sono ancora “poste il problema” o addirittura non si sono accorte del fenomeno, altre si ritengono impreparate.
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Non è appunto il caso di Spindox. Che, attraverso le parole di Paolo Costa, spiega perché, invece, crede nell’innovazione aperta, che esce fuori dall’azienda per sondare il terreno, costruire reti di contatti, allacciare collaborazioni ed esplorare idee.
►Perché Spindox fa open innovation – “L’innovazione che si basa su capacità di investimenti in attività di R&D è alla portata di un numero ristretto di attori: Apple, Google, Samsung e altri colossi di questo tipo” dice Paolo Costa. “Nemmeno i grandi operatori riescono a trovare esclusivamente al proprio interno le risorse, le competenze e gli asset che servono per innovare. Se vuole essere innovativa, un’azienda oggi deve necessariamente collaborare con altre realtà e inserirsi in un ecosistema dell’innovazione. Da un lato è una scelta, dall’altro lato una necessità. Ci sono organizzazioni che si chiudono, non condividono, si considerano autosufficienti, soprattutto in Italia. Invece i competitor si devono trasformare in co-operator. Bisogna essere, direi, molto laici e disinvolti”. A maggior ragione innovare è indispensabile se si è, come Spindox, un system integrator. “Noi ch operiamo servizi rofessionali, nell’ICT, dobbiamo innovare non solo dal punto di vista delle tecnologie ma delle metodologie.
► Chi si occupa di open innovation in Spindox – Non esiste un responsabile innovazione. “La nostra idea – chiarisce Costa – è che l’innovazione riguardi un po’ tutti, perciò nei processi sono coinvolti sia i colleghi della direzione tecnica, sia chi si occupa di progetti finanziati e rapporti con le università, sia io come responsabile marketing. Deve diventare un ‘sentimento’ dell’azienda, un atteggiamento che deve caratterizzare tutti. Nei nostri percorsi di formazione e sviluppo professionale, l’anno scorso abbiamo assunto più di 70 persone. Cerchiamo dipendenti che non ci dicano “Sono il più grande esperto di questa materia” perché, di qualunque cosa siano esperti, si tratta di contenuti destinati a invecchiare rapidamente. Quello che serve è la capacità di imparare. Magari di disimparare, per poi imparare qualcosa di nuovo. Cerchiamo persone con le antenne aperte, che si guardino in giro, siano curiose. Definire un processo è relativamente semplice, ma non serve se non si cambia la testa delle persone”.
► Essere dentro un ecosistema – “A nostro parere – continua il manager di Spindox – l’open innovation si realizza all’interno un ecosistema con diverse tipologie di attori: startup, università, centri di ricerca e un quarto soggetto che è rappresentato da un grande campione tecnologico quale Amazon, Google o Microsoft, solo per fare qualche nome”.
► Spindox e le startup – “Abbiamo in atto vari rapporti di collaborazione con startup da diversi anni. In particolare collaboriamo con un paio di startup su attività che hanno a che fare con la sensoristica, l’Internet of Things e l’Industria 4.0”. Per ora Spindox non ha una strategia di acquisizioni di startup né ha effettuato investimenti diretti su realtà imprenditoriali innovative. “Siamo un’azienda che si autofinanzia – spiega il dirigente – non abbiamo soci finanziari, la società è di proprietà dei manager e i soci fondatori sono tutti impegnati in azienda: tutta la crescita è finanziata con la nostra attività”. Tuttavia non esclude, in futuro, di intraprendere la strada del corporate venture capital, la tipologia di venture capital in base alla quale un’azienda investe in startup o piccole e medie imprese in cambio di quote di equity.
► Spindox, le università e i centri di ricerca – Spindox ha un hub a Chicago per lo sviluppo commerciale e lo scouting di tecnologie e uno Spindox Labs a Trento (in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler) che lavora su progetti di frontiera di due tipi: componentistica elettronica (IoT) e analisi avanzata dei dati (Big Data). Da anni ha sviluppato rapporti con l’Università di Pavia (Dipartimento di ingegneria) e con quella di Trento.
► Spindox e gli hackathon – Una delle soluzioni preferite da Spindox per fare scouting tra gli innovatori sono gli hackathon, gare tra programmatori e sviluppatori per la soluzione di un problema informatico. Lo scorso anno l’azienda ha organizzato due hackthon, uno a giugno a Torino sul tema dell’auto connessa, l’altro a settembre a Trento sul tema dell’IoT. “Non li facciamo solo per proiettare immagini di un’azienda innovativa all’esterno” dice Paolo Costa. “Lo scopo è entrare in contatto con altri attori e coinvolgerli in un percorso di sviluppo. Non è un evento che dura soltanto 48 ore: restiamo in contatto, stabiliamo collaborazioni, a volte finiamo per assumere persone che abbiamo conosciuto in quel contesto. Quest’anno ripeteremo l’esperienza a Trento entro l’estate. Il tema non è ancora definito, ma potremmo tornare sull’auto connessa”.