Intervista esclusiva

Lucia Aleotti, ecco perché Menarini ha comprato una start up

Il presidente del primo gruppo farmaceutico italiano racconta l’acquisizione di SIlicon Biosystems. «Noi arriviamo quando serve il salto dimensionale. Il sistema funziona, bisogna svilupparlo». «Le potenzialità sono enormi e non solo nel settore medico».

Pubblicato il 15 Ott 2013

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Lucia Aleotti, presidente del Gruppo Menarini

«Per noi è la prima volta che acquisiamo una start up. E sono molto contenta di aver cominciato con una start up italiana». Lucia Aleotti è presidente della Menarini, la prima industria farmaceutica in Italia, un fatturato che ha superato i 3 miliardi di euro, quasi il triplo di quello che era all’inizio del secolo, e per oltre il 70% viene dall’estero, dove la nuova frontiera è il Far East. Ma la testa, e il cuore, restano a Firenze. Un caso di Made in Italy che scommette sulla crescita del farmaco di qualità in quelle aree del mondo dove il benessere è destinato ad aumentare. E per farlo investe anche sull’innovazione esterna. Il colosso Menarini ha da poco acquisito Silicon Biosystems, una start up da poco più di1 milione di fatturato ma con prospettive entusiasmanti grazie a una tecnologia in grado di isolare in modo automatico le cellule tumorali presenti nel sangue.

«Una storia che è quasi una favola, la trama di un film», racconta Aleotti. «Il ragazzo che dalla Puglia va a studiare a Bologna, che si mantiene allo studentato facendo lavoretti, l’intuizione di usare le materie dell’ingegneria elettronica per muovere le cellule. E dopo la laurea, invece della strada sicura, decide di scommettere su se stesso insieme con un collega più anziano che lascia il lavoro che ha già. Con grande intelligenza cercano una guida senior, così ottengono finanziamenti. Ed ora eccoci qui»

A che punto arriva il leader? Il compratore?
«Noi arriviamo quando serve il salto dimensionale, quando giustamente i fondi di venture capital, gli angels hanno diritto di avere il loro ritorno. Il fatturato è simbolico ma il team è riuscito a fare apprezzare il suo lavoro alle grandi istituzioni sanitarie internazionali. Il sistema c’è, funziona. Bisogna solo svilupparlo.

E perché Menarini ha fatto adesso questa mossa? E’ stato un caso o guardate da tempo al mercato delle start up?
Conoscevamo già il dottor Giuseppe Giorgini, CEO di Silicon. Attraverso di lui abbiamo approfondito la conoscenza della società. Noi abbiamo una ricerca importante nell’area degli antitumorali e abbiamo capito che Silicon ha potenzialità enormi. Isolare le cellule tumorali nel sangue permette di ottenere informazioni che nessun altro può darci.

Voi avete un importante centro di ricerche interno. Perché avete bisogno di acquisire una start up?
E’ assurdo pensare a un’azienda come un’entità chiusa. Proprio un anno fa abbiamo fatto un accordo da 800 milioni con Oxford Bio Therapeutics, società internazionale leader nel settore delle biotecnologie, per lo sviluppo di farmaci innovativi in ambito oncologico. La logica della complementareità è fondamentale.

Perché avete deciso di non integrare Silicon BioSystems nella Menarini?
Da Menarini Silicon Biosystems riceverà le necessarie risorse per fare gli studi necessari per fare il salto di qualità. Stiamo valutando proprio in queste settimane le aree nelle quali investire. Ma deve restare un’azienda autonoma. Il team deve poterla gestire in maniera indipendente, offrire i propri dispositivi a chi li richiede, sviluppare in libertà ogni possibile applicazione.

Quali sono le prospettive di sviluppo?
Noi oggi guardiamo alle cellule tumorali, ma ci sono anche le cellule fetali che circolano nel sangue della madre. Noi auguriamo di poter presto fare diagnosi prenatali senza amniocentesi. Non si possono poi escludere applicazioni anche fuori dal campo medico. La tecnologia permette di isolare cellule in un fluido. Può quindi essere utilizzata il altri settori, con risultati tutti da scoprire.

Quanto vale l’acquisizione?
Non si può dire. C’è un’accordo di riservatezza…

Avete in progetto altre acquisizioni?
No, per il momento no. Stiamo ancora metabolizzando quella importante fatta nel 2011 a Singapore (il Gruppo Invida, 220milioni di dollari di fatturato, il 10% del mercato farmaceutico mondiale, ndr.). Non vogliamo mettere troppa carne al fuoco.

Presidente, che cosa le piace di una start up?
Noi ci sentiamo un grande gruppo-start up. Lo spirito è sempre quello di correre, anche perché chi perde la voglia di correre, perde. Ma per un grande gruppo avvicinarsi a una start up significa credere nel futuro, mettersi in gioco. La capacità di innovare, la volontà di lavorare senza guardare l’orologio, mangiare una pizza all’1 di notte in ufficio sono tutte cose trasmettono una formidabile energia.

Avete un programma di sostegno per le start up?
No, non ce l’abbiamo. Abbiamo attività sociali in altre aree. L’acquisizione di Silicon Biosystems, però, potrebbe essere un modo per avvicinarsi a questo mondo.

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