C’è un’eccellenza femminile italiana tra gli scienziati del team internazionale che hanno contribuito al successo della missione della sonda della Nasa “New Horizons” su Plutone. Si chiama Cristina Dalle Ore, è un’astronoma trevigiana che si è trasferita in gioventù negli Stati Uniti ed è rimbalzata sugli schermi di tutto il mondo il 14 luglio, giorno dello storico evento: la sonda, nonostante la distanza di quasi 5 miliardi di chilometri che ha dovuto coprire, ha rispettato la tabella di marcia prevista dagli ingegneri della Nasa e del Laboratorio di fisica applicata della Johns Hopkins University di Laurel ritrovandosi a soli 12.500 chilometri dalla superficie di Plutone. Un traguardo significativo perché questo pianeta è l’ultimo grande corpo celeste del Sistema Solare ancora sconosciuto.
“Questa missione è importante perché spinge i limiti della tecnologia motivando nuovi studi” ha detto l’astronoma a Roberto Bonzi, che riporta l’intervista completa sul sito italianidifrontiera.com e che le aveva dedicato un capitolo nel suo libro “Italiani di frontiera. Dal West al Web: un’avventura in Silicon Valley” (Egea, prefazione di Gian Antonio Stella).
Dopo Samantha Cristoforetti, ecco dunque un’altra italiana alla ribalta nel mondo delle esplorazioni spaziali. Laureata all’Università di Padova, Cristina Morea Dalle Ore è oggi ricercatrice al Carl Sagan Center oltre che al SETI Institute e all’Ames Research Center della NASA, dove è arrivata passando per University of California e Harvard. È specializzata nello studio dei bordi del sistema solare, un filone di ricerca che consente di capire la composizione chimica del sistema e la sua storia.
Del suo ruolo nella missione su Plutone, iniziata a novembre 2001 dopo anni di tentativi, dice che “è stato analogo a quello di ‘detective-archeologa’. Il mio approccio analitico – spiega – utilizza tecniche di classificazione che vengono comunemente usate per l’analisi di ‘big data’ e che permettono di fare un’analisi oggettiva dei dati”.
Cristina ha anche elencato i motivi per cui una missione di questo genere è utile: “Spinge i confini della nostra specie ai bordi del sistema solare. Sarà di ispirazione per le nuove generazioni a continuare a espandere l’orizzonte della nostra conoscenza verso nuove mete sempre più lontane. Unisce l’umanità nell’entusiasmo della scoperta e in questo rivela la parte migliore del genere umano”.
Per il futuro si aspetta “nei prossimi mesi dati a maggiore risoluzione geografica che ci diranno in dettaglio che materiali compongono le diverse parti di Plutone e di Caronte. A lungo termine: nuove missioni verso altre parti del sistema solare e magari anche al di fuori, a seconda di quanto lontano nel futuro ci vogliamo riferire”. (L.M.)