È grande come una carta di credito ma ha tutti i requisiti per essere considerato un pc. E costa appena 30 sterline. Il Raspberry Pi è stato brevettato e messo in commercio da un gruppo di ricercatori informatici della Cambridge University con un obiettivo molto nobile: “Produrne alcune migliaia da regalare alle scuole dei Paesi più poveri al mondo per digitalizzare le nuove generazioni”, commenta uno di loro, il trentacinquenne inglese Eben Upton.
Si tratta della persona che sognava nuove strade di sviluppo per mezzo della tecnologia e che ha creato, una volta diventato direttore del dipartimento di Computer Science dell’ateneo, un laboratorio per studenti di livello altissimo nel settore: “Tutti giovanissimi – spiega – perché volevo che fossero ‘puri’, digiuni da nozioni, non già ingegneri”.
Ma non era abbastanza: Upton e i suoi colleghi hanno deciso di sviluppare un pc accessibile sul quale i bambini potessero imparare a programmare. È stata probabilmente la passione di Upton a fare da rampa di lancio a Raspberry Pi: la strada che il dispositivo ha intrapreso in due anni è molto diversa da quella immaginata dai fondatori. “Pensavamo che produrne un migliaio sarebbe stato un successo – racconta – invece in due anni Raspberry Pi è stato venduto in 2,5 milioni di unità in tutto il mondo”.
Tutto questo, anche se non punta, a differenza dei colossi della tecnologia, né sul design né sulla pubblicità. Il micro computer è infatti composto da una scheda con porte usb, per tastiera e mouse e per collegarlo alla tv, una ethernet per internet, una serie di memory card. Il software è una sorta di sistema Linux open-source. Come funziona? “Basta collegarlo a un monitor e usare una tastiera e un mouse standard. Si tratta di un piccolo dispositivo che consente alle persone di tutte le età di esplorare l’informatica e iniziare a programmare in linguaggi come Python e Scratch. È in grado di fare tutto ciò che vi aspettereste da un classico pc, dalla navigazione in internet alla riproduzione di video ad alta definizione, a fogli di calcolo, word-processing e giochi”, spiega Upton.
Non solo: il Raspberry Pi ha la capacità di interagire con il mondo esterno ed è stato utilizzato in una vasta gamma di progetti da creatore digitali, dalle macchine musicali ai rilevatori metereologi fino alle telecamere a infrarossi. Ma l’obiettivo finale è sempre lo stesso: “Vogliamo vedere il Raspberry Pi in mano ai bambini di tutto il mondo – conclude – perché tutti possano imparare a programmare e capire come funzionano i computer”.
Oggi il mercato maggiore è quello statunitense, in cui va il 30% dei pezzi. Il 20% in Gran Bretagna, un altro 30 in Europa (la maggior parte in Germania) e il resto principalmente in Giappone e Corea. Più di 400mila dei due milioni e mezzo commercializzati sono in mano a bambini e il resto più che altro ad adulti appassionati di informatica.
L’azienda che stava dietro a Pi si è divisa: una società di investimento l’ha rilevata e ha deciso di destinare i guadagni a una fondazione per l’istruzione. 15mila computer sono stati regalati a bambini in età scolare con un progetto in partnership con Google. Sempre perseguendo il grande obiettivo di raggiungere tutti i bambini nel mondo.