L’importante è fallire. Potrebbe essere questo il motto di Ben Horowitz, oggi uno dei milionari della Silicon Valley, con investimenti in startup di alto profilo quail Airbnb e Pinterest, ma un tempo, nemmeno troppi anni fa, imprenditore costantemente sull’orlo del fallimento.
Un uomo passato dal paradiso della sua prima società Loudcloud, pioniera del cloud computing che fondò con Marc Andreessen, all’inferno della bancarotta quando la company fu travolta dalla bolla di Internet del 2000. E ancora una passeggiata nei gironi infernali con Opsware, altra company che poi fortunatamente riuscì a scaricare sulle spalle di Hewlett-Packard per 1,65 miliardi in contanti, sentendosi però affatto sollevato, anzi così triste da non dormirci la notte. Un uomo tornato a riveder le stelle quando, alcuni anni dopo, decise di fondare “Andreessen Horowitz” sempre con Andreessen, che era il founder di Netscape. Qui le cose andarono decisamente meglio: con la nuova azienda raccolse 2,5 miliardi di dollari e realizzò ottimi investimenti in Groupon, Zynga, Instagram e Skype, tutte società poi quotate in Borsa o acquistate da altri per cifre notevoli. Il portafoglio attuale di “Andreessen Horowitz” comprende startup del calibro di Airbnb, Box, Jawbone, Lyft e Pinterest.
Brusco di modi, incline al turpiloquio e decisamente autoritario nel lavoro – un tipo di personalità che potrebbe ricordare quella di Steve Jobs – a differenza del co-fondatore della Apple Horowitz è impegnato in cause umanitarie: ad esempio sta dando soldi in beneficenza per l’istruzione delle donne, perché dice “se educhi una donna educhi quattro persone, se lo fai con uomo hai educato soltanto lui”. Ed è anche scrittore: ha un blog molto piacevole da leggere dove tra l’altro cita spesso brani di hip-hop, ed ha scritto “The Hard Thing about Hard Things: Building a Business When There Are No Easy Answers”, in cui rievoca la sua vicenda di imprenditore, una sorta di montagne russe con ottima conclusione finale (almeno finora).
Intervistato da The Verge, Horowitz rievoca il fallimento del 2000, quando decise di lanciare un’Ipo per LoudCloud e Businessweek la descrisse come “l’Ipo dall’inferno”. E ammette con molta sincerità: “I fucked it up, ho sbagliato. Il terrore di essere un founder o ceo – spiega – è che è sempre colpa tua. Qualsiasi persona assumi, qualunque decisione prendi, qualsiasi cosa fai, ne paghi personalmente le conseguenze. Un ceo deve tenere in considerazione l’ecosistema macroeconomico in cui si muove e io nel 2000 non lo feci. Non capii e finii nei guai. La verità è che non ero un buon ceo”.
Poi ci fu Opsware. L’imprenditore non nega il ruolo giocato dalla fortuna nella vendita a HP per una cifra di tutto rispetto: “Era una buona società, ma certamente, se un paio di cose non fossero andate per il verso giusto, avremmo fatto bancarotta”. Seguì un periodo in cui Horowitz, per sua stessa confessione, non poteva dormire, aveva i sudori freddi, vomitava e piangeva tutto il tempo.
Una cosa non ha mai imparato dagli errori passati: a non esprimersi in modo volgare. Una volta i suoi dipendenti hanno inscenato una rivolta contro i suoi comportamenti troppo rudi (e anche in questo caso torna alla memoria la frustrazione e i tentativi di ribellione dei dipendenti di Steve Jobs). “Credo moltissimo nella chiarezza – si giustifica lui – perché, se le persone non sono chiare su ciò che fanno e vogliono, è molto difficile riuscire, anzi è una garanzia di fallimento. A mio parere, l’esprimersi in modo ‘profano’ contribuisce alla chiarezza. Almeno io non ho trovato modo migliore. Però posso dire che, se ho una dote come manager, è quella di essere estremamente chiaro”.
Quando poi gli si chiede se è uno che genera conflitti nel posto di lavoro, Horowitz sfoggia una citazione di Karl Marx (per la verità prendendola a prestito dal socio Andreessen): “Acuisci le contraddizioni”. “Il conflitto è dove sta la verità – dice – perciò quando c’è conflitto in un’organizzazione non lo devi attenuare ma accentuare, in modo da far emergere le contraddizioni, raccogliere tutte le opinioni e risolvere il problema. I bravi ceo lo sanno fare”.
Brutto carattere ma anche attenzione ai meno fortunati: l’intero ricavato del libro andrà all’American Jewish World Service e al suo impegno per le donne nel mondo. “Ci sono parti del pianeta – ricorda – dove le donne sono tecnicamente schiave, non hanno autodeterminazione, non hanno controllo sulle loro vite e non hanno diritto all’educazione. Ma se ristabilisci i diritti femminili diminuirà l’analfabetismo, aumenterà la democrazia e si potrà contrastare il terrorismo. Dal punto di vista geo-politico è la cosa più importante da fare”. Dopo parole così, gli perdoniamo anche le parolacce.