«I prossimi tre anni saranno importanti per far sì che le nostre startup e le nostre imprese possano mettersi in condizione di giocare la loro partita a livello globale. Possono fare la differenza, ma non c’è più molto tempo ». Marco Gay comunica entusiasmo, ma con le dovute cautele, quando parla di Industria 4.0 nella sua doppia veste di presidente dei Giovani di Confindustria e vicepresidente esecutivo dell’incubatore Digital Magics. «Certo, facile non è. Ma abbiamo la caparbietà e le capacità per ottenere i risultati che meritiamo».
La quarta rivoluzione industriale, quella delle macchine connesse, è cominciata e per capire come approfittarne EconomyUp e Internet4Things insieme con Cisco hanno organizzato “La Via Italiana all’Industria 4.0”, il 21 marzo alla Villa Reale di Monza, un evento per passare dai piani ai fatti. Quanto più rapidamente possibile.
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«Per vivere da protagonisti questa rivoluzione serve un cambiamento culturale. La digitalizzazione della produzione di beni o servizi è alla base di un nuovo modo di guardare lo sviluppo economico del Paese», avverte Gay, che motiva il suo entusiasmo così: «Chi si occupa da anni di tecnologia e innovazione non può non essere soddisfatto quando vede che alcuni temi stanno diventando di interesse generale. C’è poi un altro dato da sottolineare: per la prima volta in Italia si parla di industria in senso ampio, non servizi e manifattura separati, ma industria a 360 gradi. Ecco credo che la scommessa che abbiamo davanti è portare il grande valore del made in Italy nella modernità, raggiungere i 3 miliardi di nuovi potenziali consumatori che ci sono nel mondo. In una parola: accrescere la competitività di tutto il Paese. Ecco perché mi piace parlare di Digital Made in Italy».
La quarta rivoluzione industriale richiede, quindi, anche una rivoluzione culturale che deve coinvolgere tutti. Ma quanto è diffusa la consapevolezza di questa opportunità? «La domanda corretta è: quando siamo realmente pronti?», ribatte Gay. E qui cominciano le note grigie. «Le nostre piccole e medie imprese non sono ancora tutte pronte perché non hanno ancora ben chiara la portata di questa opportunità. Non comprendono che o cavalcano il cambiamento o rischiano davvero di essere travolte. Il bello e il ben fatto non basta più. Adesso deve sposarsi con il just in time, con la pianificazione della produzione, con una diversa gestione del retail. Insomma, bisogna cambiare tutto il modo di fare business» Per questo fare la rivoluzione non è facile. «Non mancano le aziende che si stanno attrezzando ma ancora troppe non si sono rese conto che non siamo di fronte a una scelta ma a una necessità. Non stiamo parlando di un nuovo prodotto, ma di un modo diverso di produrre e di valorizzare i propri prodotti», osserva Gay. «Chi non innova non solo rimane indietro ma rischia di restare in una nicchia per pochi».
Non è facile e per giunta non c’è molto tempo. «Sarebbe pericoloso prendersi troppo tempo per capire», avverte Gay. «Il Piano del Governo ha una durata: mette a disposizione tantissime risorse, 13 miliardi, escludendo il sostegno al Mezzogiorno. E vanno a vantaggi di tutti, dalle startup alle imprese mature. Poi non dimentichiamo che non si tratta di bandi: il sistema scelto premia chi investe, automaticamente».
La palla adesso è sul campo delle imprese e degli imprenditori. Il 2020 è dietro l’angolo. C’è da correre. «La Germania è partita nel 2011 e l’Italia può cogliere il vantaggio del ritardo: cioè fare tesoro dell’esperienza di quanto è stato già fatto altrove», consiglia l’ottimismo di Gay, che dal versante Digital Magics vede nelle startup un possibile fattore di accelerazione della rivoluzione inevitabile: «L’open innovation è una partita in cui vincono le aziende che si aprono, che trovano innovazione a costi governabili e tempi certi, e le startup, che trovano un cliente e magari un partner finanziario: la tradizione si innovazione e l’innovazione si concretizza».
Il processo è avviato. Certamente deve essere accelerato. «Sempre più aziende vengono a chiederci di trovare la startup giusta per la loro innovazione», racconta Gay. «Si moltiplicano call e hackathon. Ma tutta la partita Industria 4.0 richiede una maggiore velocità e una forte capacità di esecuzione. Il Piano del Governo, il primo di politica economica che mette al centro l’innovazione, permette di produrre il cambiamento. Ma se mancano gli stimoli e la fiducia il cambiamento non riusciamo a farlo».
Marco Gay è convinto che ce la faremo, perché il clima è cambiato. «L’ecosistema di cui parliamo da anni sta cominciando a diventare realtà, le startup che dialogano con le aziende creano metriche che le legittimano sul mercato, non siamo più in pochi a parlare di open innovation. Fino a un anno fa chi ti stava ad ascoltare?».