«Con l’aria che tira, ci è andata benissimo». Luigi Capello non può che dirsi soddisfatto della chiusura dell’operazione di aumento di capitale. LVenture Group, società che gestisce l’acceleratore romano Luiss Enlabs di cui è amministratore delegato, aveva chiesto alla Borsa (MTA) 5 milioni di euro e ne ha portati a casa poco più di 4 (4.039.114 per la precisione), di cui quasi la metà versati dalla holding di controllo (LV.EN.) Target mancato? «Ho ricevuto diverse telefonate di investitori per complimentarsi del risultato in un momento difficile per i mercati finanziari stressati dalla Brexit e dalle sofferenze dei gruppi bancari», risponde Capello che per rispettare i piani di sviluppo ha dovuto trovare nuovi investitori per la società in cui è socio di maggioranza. Sotto sotto, comunque, non sembra aver rinunciato all’obiettivo 5 milioni. Potrebbe, ad esempio essere raggiunto, con il coinvolgimento di un investitore istituzionale (e in Italia non sono molti quelli in grado di poter affrontare un impegno simile).
È stato un semestre straordinario per LVenture. E non solo per l’operazione di Borsa. Luiss Enlabs ha inaugurato a inizio luglio la nuova sede di Termini, che diventerà il più grande acceleratore d’Europa dicono con orgoglio. Più spazio per le startup che entro il 2019 dovrebbero raddoppiare e arrivare a 78. Anche a questo servono le nuove risorse finanziarie. «Averne di più, concentrarsi su quelle che hanno potenzialità e portarle all’estero, dove c’è denaro e le valutazioni sono più alte», dice Capello.
“COMINCIANO A ESSERCI I COMPRATORI DI STARTUP ANCHE IN ITALIA MA ANCORA PAGANO MALE”
Ecco, il problema italiano degli incubatori è che il business non decolla, perché fanno fatica a vendere i loro prodotti, le startup. E per questo servono continue iniezioni finanziarie. Aspettando che le cose cambino. «Cominciamo ad esserci i compratori anche in Italia, ma ancora pagano male. Prima non c’era nulla quindi va meglio. Ma noi dobbiamo valorizzare le imprese che contribuiamo a creare, non possiamo svenderle. Quindi dobbiamo uscire da questo piccolo circolo italiano e portare le startup sul mercato aperto». Capello, quindi, è moderatamente ottimista e invita a prestare attenzione ai tempi. Anzi, alla “giovinezza del portafoglio italiano”. «Se guardiamo la storia di questo mercato, tutto comincia fra il 2013 e il 2014. Stiamo parlando di 36 mesi! Ricordiamoci che prima per fare un fundraising di 300mila euro serviva un anno, adesso basta una sera. Diciamo che adesso la difficoltà è arrivare al milione, ma è possibile mentre prima era un miraggio».
“NON ESISTE UN’INDUSTRIA ITALIANA DEL VENTURE CAPITAL. CI VORREBBERO 30 OPERATORI”
Crescono gli investimenti ma non cresce il venture capital. «Non esiste ancora un’industria italiana del venture capital», è la spiegazione netta di Capello. « Gli operatori sono pochi, dovrebbero diventare 30 per avere un vero mercato. E i pochi che ci sono sono ingolfati di operazioni. Devono centellinare le poche risorse che hanno in un numero di operazioni gestibile, mica possono fare tutto». A far girare più soldi, quindi, sono altri soggetti. «Gli incentivi fiscali hanno sbloccato tante risorse private e questo spiega la vivacità dei business angel», continua Capello. «Ecco perché adesso è facile chiudere rapidamente operazioni da qualche centinaia di migliaia di euro ma manca poi il pezzo successivo, l’investimento di qualche milione di euro. Non resta che sperare in qualche nuovo incentivo del governo, oltre agli interventi della Cassa Depositi e Prestiti».
“PER FARE UNA BUONA EXIT SERVONO 6 ANNI”
Ci vuole ancora un po’ di pazienza, quindi. Le startup scalabili sono poche e giovanissime. Senza andare troppo indietro nel tempo, quando è nata Supermercato24 che ha appena ricevuto un investimento di 3milioni? Nel 2014…E davanti a tanti bruchi i compratori fanno i difficili perché vedono ancora poche farfalle volare. Come in natura, ci sono cicli da rispettare. “Nel nostro piano l’obiettivo dichiarato per fare una buona vendita di una startup è 6 anni. Quindi, vista la giovinezza del portafoglio Italia nei prossimi due-tre anni avremo una crescita esponenziale delle operazioni», prevede Capello. «E poi stanno arrivando le corporate, che sono l’essenza di un vero mercato delle startup». Le grandi aziende che pian pianino, superando diffidenza e scetticismo, si avvicinano al mondo delle nuove imprese innovative per fare open innovation. E cosa trovano? Oltre 6mila startup innovative a termini di legge più tante altre non ancora contabilizzate. Troppe? Troppo poche? «Sulle 6mila e passa iscritte al Registro delle imprese bisogna vedere quante siano effettivamente innovative e quante abbiano una concreta possibilità di scalare», osserva Capello che può andare in vacanza avendo segnato un’altra tacca nel percorso di sviluppo previsto: 14 milioni raccolti su un fabbisogno di 18. E ci sono due anni di tempo. Giusto quel che serve per arrivare alla svolta del mercato delle startup, se le previsioni di Capello si confermeranno corrette.
La nuova sede di LUISS Enlanbs inaugurata a inizio luglio
“BISOGNA ASPETTARE LA FINE DEL GIORNO”
Dopo aver ampliato la casa romana, L-Ventures avrà presto avrà anche una lussuosa dependance a Milano, all’interno del Mhuma, uno spazio polifunzionale accanto alla stazione Garibaldi che il Comune ha affidato a una società di scopo costituita da Luiss, Fondazione Brodolini e ItaliaCamp. MilanoHubMakers, quindi un grande FabLab, all’interno del quale ci sarà un acceleratore gestito da LVenture. Per quante startup? «10-15, alcune già nel nostro portafoglio che troveranno più comodo stare a Milano e altre che saranno selezionate con programmi di accelerazione dedicati, magari su temi specifici come la cybersecurity», anticipa Capello. Quando comincerete? «Appena avremo un’idea precisa sui tempi dell’intervento di ristrutturazione». Se ne può parlare dopo le vacanze. Facciamole con un po’ di ottimismo. «Bisogna aspettare la fine del giorno», sentenzia con saggezza Capello, che chiude con un’interpretazione delle nuove regole sulla costituzione di società senza notaio. «Non sarà determinante per le startup ma è un altro tassello di una policy che ci rende sempre più competitivi. Diciamo che siamo un po’ più uguali a Londra. E se prima varcare la manica sembrava la soluzione di tutti i problemi, dopo la Brexit magari ci si ragionerà un po’ di più. Si presterà più attenzione ai movimenti dei flussi di capitali. E magari si deciderà di fare startup a Parigi o di restare in Italia». Aspettando che finisca il giorno.