Un laghetto, che deve diventare lago per finire finalmente in mare e poi nell’oceano. È la metafora utilizzata da Gabriele Ronchini, CEO di Digital Magics, per dare l’idea di che cosa sia attualmente il cosiddetto ecosistema italiano delle startup ai numerosi partecipanti allo #SmartInnovationHub organizzato da GalaLab ed Economyup in occasione di Unirete, l’evento di networking della Confindustria del Lazio: due workshop dedicati alle nuove imprese – il primo (Boosting Ideas) e all’open innovation il secondo (Overcoming Barriers) – animati da un nutrito numero di ospiti, moderati dal direttore di EconomyUp Giovanni Iozzia, che in un tempo limitato sono riusciti a fare emergere le opportunità e le criticità del sistema italiano. Grazie anche all’intervento di due “provocatori”: Cristiano Seganfreddo, direttore del Progetto Marzotto e Aldo Pecora, giornalista di StartupItalia.
Nel lago fanno fatica a svilupparsi pesci grossi ma anche a muoversi i grandi pescherecci. Fuori dalla metafora di Ronchini: le startup italiane sono ancora troppo piccole e i grandi investitori internazionali sono ancora poco motivati a prenderle in considerazione. È necessario che tutti, ciascuno facendo il proprio però, contribuiscano all’allargamento del perimetro della massa d’acqua dove devono nuotare i pesciolini. Confermano gli startupper presenti: Roberto Macina, founder di Qurami; Federico De Cerchio, founder di wineOwine, Luca Ruggeri, cofounder di Scuter: i tempi di crescita in Italia sono lenti; la pubblica amministrazione ma anche le aziende private parlano ancora un’altra lingua e anche quando fanno innovazione tendono a far tutto da sole. Le Regioni stanno facendo molto, a partire dalla formazione, ricorda Rosanna Bellotti, direttore dell’Assessorato allo Sviluppo Economico del Lazio, che tiene a sottolineare come un ente pubblico non può preoccuparsi solo delle nuove imprese tecnologiche ma deve pensare soprattutto a quelle esistenti, spingendole verso l’innovazione. Anche le aziende, o almeno le loro associazioni di categoria, si stanno aprendo e organizzando per fare da ponte con le startup, rivendica con convinzione Fausto Bianchi, presidente dei Giovani Imprenditori di Unindustria. Anche le startup devono fare meglio la loro parte: non sempre pensano in maniera globale e spesso non conoscono bene i mercati, segnala Marco Mistretta, CEO di InDan Italia, che si occupa proprio di internazionalizzazione.
Le nuove imprese hanno bisogno di investimenti, anche pubblici, ma soprattutto di sostegno e di clienti.
GalaLab è un interessante caso di integrazione fra pubblico e privato, ricorda il presidente e CEO del Gruppo Gala Filippo Tortoriello, visto che ha tra i suoi partner anche LazioInnova. “Noi lo facciamo per i giovani ma anche perché crediamo che una grande azienda oggi non possa fare a meno di cercare innovazione sul mercato. E deve farlo in maniera organizzata e continuativa”. E il momento è adesso, per due ragioni che Andrea Rangone, Ceo di Digital360, sintetizza così: nelle economie mature solo le nuove imprese possono creare ricchezza e occupazione; la crisi cominciata nel 2008 è strutturale e senza le nuove imprese, fuori o dentro le aziende consolidate, il Pil stenterà a crescere o addirittura tornerà indietro. La chiave di volta è quindi l’imprenditorialità.
Non significa necessariamente fare grandi cose, osserva Layla Pavone, CEO Industry e Innovation Digital Magics, ma farle rispettando la geografia e la cultura del nostro sistema economico: bisogna andare lì dove sono le imprese. Ci sono anche da superare vincoli normativi. Racconta Pietro Martani che una banca ha chiesto a Copernico, di cui è founder e CEO, di creare uno spazio dove i propri dipendenti possano incontrare e lavorare con i consulenti esterni visto che per legge è vietato farlo negli abituali uffici. Contano però anche le culture aziendali. E la disponibilità a battere sentieri nuovi. Racconta Ernesto Somma, responsabile dei Progetti Speciali di Invitalia, che i coinvestimenti fatti da InvitaliaVentures con aziende private dimostrano che c’è una domanda emergente. Deve forse ancora prendere forma e peso. Marco Massenzi, responsabile Business & Innovation Development di Vitrociset, ricorda che la sua azienda ha cominciato un percorso nel 2010 che l’ha portata a integrare nella propria offerta soluzioni create da startup e a generare spin-off. E tutto è cominciato nel momento in cui si stava cominciando a perdere presa sul mercato.
Le cose possono cambiare, quindi. E il migliore incoraggiamento a farlo, e rapidamente, arriva da chi ci vede e valuta dall’esterno. Cisco ha avviato un programma di investimenti in Italia per 100milioni. Non è stato facile all’inizio, racconta Raffaello Sernicola, Regional Sales Manager della compagnia americana, convincere l’headquarter a scommettere su un laghetto. Ma in Italia c’è una competenza tecnologica e un tessuto creativo su cui vale la pena investire. E se lo pensano gli americani, non possiamo esimerci dal faticare per riempire così tanto il lago che tracimi verso il mare aperto. (r.eco.)