La storia

Se il top manager fa startup a 40 anni: la voglia di realizzarsi e l’angoscia di sbagliare

Negli Usa e in Europa l’età media è sotto i 34 anni. In Italia tra i 30 e i 49. Cosa succede a chi decide di ricominciare creando una nuova impresa? Lo racconta a EconomyUp Carlo Salizzoni, founder di GoodBuyAuto: «È difficilissimo. Ma si soffre di più a non provarci»

Pubblicato il 07 Giu 2016

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Carlo Salizzoni, founder e Ceo di GoodBuyAuto

Spesso si tende a pensare che quello delle startup sia “un Paese per giovani”. Ad alimentare il mito del neo imprenditore giovanissimo e geniale sono immagini, aneddoti e racconti che arrivano dalla Silicon Valley su Zuckerberg & C: ragazzini che a 14 anni smanettavano davanti a un computer nel loro garage e a 20 anni sono diventati milionari. L’Europa nel suo complesso conferma in parte questa percezione: l’età media degli startupper è tra i 25 e i 34 anni. Non i quattordicenni di cui sopra, ma sempre individui nel pieno della giovinezza. Del resto una startup innovativa è portata per sua stessa natura ad esplorare l’affascinante ma impervio terreno dell’innovazione, quindi è di solito un’impresa ad alto rischio e ha prospettive di fallimento più elevate rispetto a un’impresa tradizionale. Un ragazzino o un giovane possono rialzarsi facilmente dopo l’eventuale caduta, considerando che, per dirla con una frase fatta, hanno ancora tutta la vita davanti. Anzi è noto che l’ecosistema statunitense, a differenza di quello italiano, sollecita gli startupper a non aver timore di sbagliare ripetutamente, perché in definitiva si può imparare solo dai fallimenti.

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L’Italia è un capitolo a parte. Da un’analisi condotta l’anno scorso da Grs.net su un campione di oltre 400 startup, di cui 2 terzi iscritte al registro delle startup innovative creato dal Ministero dello Sviluppo Economico, è emerso che lo startupper italiano ha un’età prevalentemente compresa fra i 30 e i 49 anni. Dall’ultimo report di Infocamere sulle startup innovative nel nostro Paese, risulta che le startup a prevalenza giovanile (under 35) sono 1.207, il 22,2% del totale. Cioè circa una su cinque. Le società in cui almeno un giovane è presente nella compagine societaria sono 2.108 (38,8% del totale startup), ovvero neppure la metà.(Qui è scaricabile il report completo di InfoCamere sulle startup innovative in Italia).

Da noi, insomma, a differenza della Silicon Valley, le persone che decidono di costituire una startup possono essere giovani ma anche meno giovani, con una preponderanza per un’età più matura.

Ma cosa succede a un quarantenne che decide di fare una startup? Cosa ne è del suo mondo ormai radicato di relazioni, abitudini ed esperienze? E cosa accade se, per di più, il quarantenne in questione ha un passato da lavoratore dipendente o consulente per conto terzi, ma non è mai stato imprenditore per conto proprio? Ovvero ha potenzialmente tanto da guadagnare ma anche tutto da perdere? “Sono due giorni che non mangio, sto trascurando gli affetti, sto lavorando al prossimo round di finanziamento ma saprò qualcosa solo a fine anno: è durissima. Eppure io credo che provochi molta più sofferenza sapere di avere un potenziale e non riuscire a realizzarlo invece di provarci”. A parlare così a EconomyUp è Carlo Salizzoni, founder e Ad di GoodBuyAuto, piattaforma per la compravendita online di auto usate di qualità. Un italiano che, in un’età in cui di solito si comincia a tirare il bilancio della prima parte della vita, ha deciso di mollare tutto e ricominciare, mettendosi in proprio. Con tutte le conseguenze (positive e negative) del caso.

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Nato a Bologna, Salizzoni ha trascorso gran parte della sua vita all’estero. Dopo aver conseguito l’Mba alla

Business School francese Insead, la migliore al mondo secondo il Financial Times 2016, è passato con disinvoltura dalla Germania al Belgio al Regno Unito, lavorando per prestigiose aziende nel settore della ristrutturazione di imprese in crisi. E’ stato in Dhl a Bonn e a Bruxelles, e poi in Alvarez & Marsal e AlixPartners a Londra. Una carriera invidiabile, così come lo era il suo stipendio (È lui stesso ad ammettere: “Ero uno degli analisti più pagati d’Europa”).

Eppure dentro di lui cresceva l’insoddisfazione. E continuava a bruciare il sacro fuoco dell’imprenditoria. “Se uno è imprenditore, lo è dentro, sia che venga retribuito per quello che fa, sia che, almeno inizialmente, lavori per passione” dice ora. “L’importante è crederci e buttarsi. Anche se non è una scelta facile”.

Non è l’unico ad avere questo desiderio di costruire qualcosa di proprio. “Incontro diverse persone, tra i 30 e i 40 anni – prosegue – lavoratori dipendenti che, avendo maturato numerose competenze e accumulato esperienza, si chiedono quando sia il momento di fare il salto. È una questione molto sentita. Ma a chi mi chiede se sia il caso di abbandonare tutto a 40 anni per ricominciare con una startup io dico che non c’è una risposta giusta. Posso però rispondere che si può fare per i motivi sbagliati e in modo sbagliato: per i soldi, per esempio, che non è il motivo giusto. O anche senza aver fatto una vera due diligence, o senza aver compiuto questo passo con la necessaria introspezione”.

Salizzoni ha fatto tutti i passi che doveva fare, ha studiato, si è impegnato. E ora? Di una cosa è certo (ci mancherebbe che non lo fosse): la bontà della sua idea imprenditoriale. “Proponiamo ai clienti che vogliono comprare o vendere una vettura di seconda mano un’alternativa più efficiente rispetto alle modalità tradizionali” spiega. “Finora c’erano due scelte obbligate: l’autosalone o la compravendita tra privati, con gli inconvenienti e le incognite che ciascuna di queste modalità prevede. Da un lato un concessionario che inevitabilmente scarica sui clienti i costi strutturali tradizionali, dall’altro persone fisiche che non si conoscono e non possono, quindi, offrire alcuna garanzia in termini di qualità del veicolo e di effettiva sicurezza della transazione di compravendita. Noi ci distinguiamo per essere il primo marketplace mobile in Europa continentale per la compravendita di automobili usate tra privati con la comodità dell’online, la certezza delle garanzie e la convenienza dei prezzi migliori”.

È troppo presto per valutare GoodBuyAuto, fondata l’anno scorso, dal fatturato. Lo stesso Salizzoni non nasconde le difficoltà. “Il modello di business è estremamente complesso, perché è ibrido e va comunicato molto bene. Nel settore ci sono giganti che dispongono di grossi budget con i quali non possiamo competere”. Perché Davide riesca a sconfiggere Golia lui conta “sul passaparola” e sulla “grande attenzione al cliente”, come pure sulla comunicazione, pur ammettendo: “È ancora in fase sperimentale”.

Nuovi finanziamenti potrebbero aiutarlo. Per ora sono arrivati 1,5 milioni di euro. Li hanno versati partner strategici e soci della prima ora di GoodBuyAuto: E-Novia (azienda italiana di eccellenza per la produzione di innovazione e trasformazione in impresa) e due dei più grandi players della distribuzione auto del Paese a supporto della parte automotive più alcuni business angels. Lui però, per il momento, non vuole rivelare i nomi di questi finanziatori. Una parte dei soldi li ha tirati fuori di tasca propria, insieme ai soci. Ma adesso serve un round A di finanziamento. “Abbiamo già avuto manifestazioni d’interesse – assicura – e alla fine di quest’anno ci faranno sapere”.

Per lui, dunque, ancora sei mesi sul filo, in attesa di ossigeno finanziario. Lo startupper quarantenne non nasconde un certo nervosismo. “Non ho figli, ma mi dicono che far crescere una startup sia come allevare un figlio: all’inizio è complicato e faticoso, poi dà grandi soddisfazioni”. Va anche detto che, per fortuna, il tasso di mortalità dei neonati in Italia è molto inferiore a quello delle giovani imprese.

Per ora, nonostante notti in bianco, incontri frenetici a caccia di finanziamenti e interviste con i giornalisti, Salizzoni non molla: “Se uno continua a fare un lavoro per troppo tempo e non cresce, meglio che lasci quel lavoro. Il vero rischio è rimanere nella stessa azienda dove non si sviluppano skills e perciò poi si resta fuori dal mercato. Io, adesso che sono diventato startupper, sono diverso: sento le cose nello stomaco, sono più attento. Sento che sono un manager migliore”.

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