Il caso

PizzaBo, la startup milionaria, i sindacati e un trasferimento contestato

Il nuovo azionista, JustEat, vuole trasferire i 34 dipendenti della società fondata da Christian Sarcuni da Bologna a Milano. I sindacati aprono una vertenza, su Facebook scoppia la polemica. Una storia esemplare dell’Italia che innova, ma con la paura di cambiare, riassunta in 5 punti

Pubblicato il 29 Mar 2016

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Christian Sarcuni, amministratore delegato di HelloFood Italia

La breve storia di PizzaBo si arrichisce di nuovi elementi che contribuiscono a farla diventare, nel bene e e nel male, un vero caso di studio della crescita e dei limiti dell’ecosistema italiano. Lo studente del Sud che giovanissimo crea l’impresa a Bologna, il duro lavoro e il successo insperato, l’assenza di un venture capital, la vendita multimilionaria a un gruppo tedesco che dopo un anno rivende al concorrente inglese e, dulcis in fundo, la vertenza sindacale perché il nuovo azionista vuole spostare i 34 dipendenti dall’ombelico di tutto (come canta l’illustre bolognese Guccini) a Milano. La prima in una startup italiana che italiana non è più da oltre un anno, essendo già passata due volte di mano. Una vertenza che si è chiusra abbastanza rapidamente. Che resta comunque esemplare non solo perché è stata la prima in una startup italiana che none ra più italiana ma perché ha segnato una nuova fase nella giovane vita della nuova economia digitale italiana.

Certamente il buon Christian Sarcuni, il founder di PizzaBo che con un amico cominciò nel 2010 a raccogliere on line le prenotazioni di poche pizzerie bolognesi anticipando così lo sviluppo del food delivery, mai avrebbe immaginato di ritrovare la sua faccia sui giornali, a 30 anni appena compiuti, per una vertenza sindacale. Si è ritrovato nella pancia della balena e non ha avuto altro modo per uscire che firmare una lettera di dimissioni. “Mi sono impegnato al massimo, in favore del progetto e del mio fantastico team, fintanto che il nuovo socio ha preso la sua decisione”, dice. E si capisce quanto più grande di lui sia il gioco in cui si è ritrovato completamente spiazzato. Non è dato conoscere i dettagli dei suoi accordi finanziari con Rocket Internet, che ha rilevato la società per circa 50milioni di euro all’inizio del 2015 per poi rivenderla un anno dopo a JustEat e quindi non è possibile capire se è come tornerà a esprimere il suo talento imprenditoriale. Intanto però parlano i giornali e reagisce la Rete.

“Startup milionaria, lavoro a rischio. Per i dipendenti di PizzaBo parte la vertenza” titola Repubblica.it e su Facebook, nel gruppo Italian Startup Scene, si scatena la polemica contro chi ha scritto l’articolo, chi non vuole lasciare Bologna, chi tace, chi ha venduto, chi ha comprato, chi spaventa le multinazionali, etc. etc. Visto che l’amico Francesco Inguscio mi chiama in causa, provo a mettere gli spilli su alcuni punti.

1. Il problema non è mai nello specchio. Diversi giornali locali, online e di carta, hanno scritto di PizzaBo seguendo gli schemi narrativi con cui si racconta una vertenza aziendale: il lavoratore ha sempre ragione, l’azienda è malvagia per principio. Quindi inutile prendersela con chi firma l’articolo. Un tempo c’erano i cronisti sindacali, non potevano essere competenti di tutte le industrie ma conoscevano bene le logiche delle baruffe aziendali. Oggi quella specializzazione si è persa e di solito si lavora incrociando comunicati stampa. Non è una difesa d’ufficio della categoria , ma un invito a non perdere di vista il cuore della questione. Che non sta nella voce di chi la racconta. Siamo ancora un Paese poco dinamico, dove pochi vanno verso il lavoro e molti, troppi, aspettano che arrivi.

2. L’innocenza è stata già persa. Che le startup e la digital economy non creino solo occupazione ma a volte possano anche distruggerla dovrebbe essere noto. Solo nel 2015 hanno licenziato Groupon, Evernote, Quircky, Robio (Angry Bird), Zinga. Per non parlare di Yahoo che certo startup non si può dire. Ma che ha coniato, nella persona del suo CEO Marissa Mayer, un eufemismo cool per definire i licenziamenti: “un remix”. Che è si è fatto sentire anche in Italia, come è accaduto per Groupon e Privalia.

3. Le multinazionali sono compagnie globali, come sempre. Come nell’era predigitale, una compagnia globale non si ferma davanti a 213,2 chilometri, quanti sono in autostrada quelli che separano Bologna da Milano, distanza che con l’Alta Velocità si può percorrere anche in 50 minuti, compagnie ferroviare permettendo. Ma per chi è abituato ad andare al lavoro in bicicletta possono sembrare la fine del mondo. Anche perché oggettivamente viaggiare costa. Ma, come dicevo sopra, non sempre il lavoro viene a trovarti dove sei tu.

4. I sindacati non sono inutili e dannosi, sono fuori tempo. Nel caso di PizzaBo non ci sono licenziamenti, neanche minacciati. JustEat intende riunire tutte le attività a Milano, anche perché nel frattempo PizzaBo è andata oltre il perimetro della “vecchia signora dai fianchi un po’ molli” (come sempre Guccini canta la sua Bologna). Ma i dipendenti sono in allarme e i sindacati si sono subito messi in posizione di vertenza. Anche perché non sanno che pesci pigliare. La digital economy li spiazza più di quanto non avesse già fatto la globalizzazione, il padrone è lontano e le dinamiche sfuggono alle logiche tradizionali. È comunque solo un luogo comune quello che vuole le organizzazioni sindacali come la causa di tutti i mali italiani. E che arriva persino a pensare che siano una freno all’innovazione. I sindacati sono necessari oggi forse più che mai, ma potranno avere ancora un’utilità sociale ed economica solo se riusciranno a uscire dalle liturgie a cui ci hanno abituato e dai modelli culturali derivati da una ormai lontana tradizione operatista e da un’esperienza prevalentemente manifatturiera. Vi invito a rileggere questo interressante post del professore Fabio Sdogati, che argomenta perché il sindacato non è da rottamare.

5. Startup, il rischio non c’è solo per gli investitori. Non ci vuole molto a comprendere che un’azienda, soprattutto nella sua fase di sviluppo, è sottoposta a stress e cambiamenti imprevisti, che possono rimettere in discussione scelte organizzative e politiche del lavoro. È sempre successo per le grandi imprese, succede a maggior ragione per le startup che magari dopo una fase di espansione devono procedere a una razionalizzazione. C’è una quota naturale di rischio nelle nuove imprese che pende anche sul capo del dipedente, come del resto in ogni azienda privata, e non solo su quella degli investitori. La domanda da fare, prima di lamentarsi per un trasferimento, è: PizzaBo, e adesso il suo azionista JustEat, sono in crisi o no? “Dovremmo tifare per il successo delle imprese, di tutte le imprese, startup comprese”, ci ha detto lo scorso autunno nel corso di una puntata del magazine tv EconomyUp il segretario della Filcam-Cgil Milano. Perché se l’impresa prospera, prospera anche il lavoratore e il sindacato “Se interpreta bene il nuovo che c’è”. Non farlo è pericoloso. Se vogliamo attirare nuove multinazionali, non possiamo passare per il Paese dove non si può spostare un ufficio da una città all’altra senza far scoppiare una grana sindacale. “Io stappo CocaCola ogni volta che riusciamo ad attrarre una nuova compagnia globale” ha detto sempre in quella puntata di EconomyUp l’inviato del Corriere della Sera Dario Di Vico, che è uno dei maggiori conoscitori in Italia del mondo del lavoro e delle liturgie sindacali. “Il digitale sta creando grande contraddittorietà. Ma la situazione è in movimento”. Evitiamo di farci del male da soli.

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