Nuove frontiere

Sharing economy, che cosa c’è nella proposta di legge

L’Intergruppo Parlamentare per l’Innovazione ha presentato un testo che definisce l’economia della condivisone: prevede un contratto per chi apre una piattaforma, distingue tra chi offre servizi per integrare il reddito e chi lo fa come professione e prescrive tassazioni diverse.Ecco il testo integrale che ora va in consultazione online

Pubblicato il 02 Mar 2016

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Dieci firmatari, un anno e mezzo di audizioni e discussioni, altri due mesi di consultazione online che si aprono oggi ed ecco la proposta di legge per regolamentare quel settore che finora è riuscito a sfuggire a classificazioni e recinti: l’economia collaborativa, o sharing economy. È stata presentata il 2 marzo alla Camera da alcuni deputati dell’Intergruppo Parlamentare per l’Innovazione Tecnologica, fra cui Ivan Catalano del Gruppo Misto che ne ha spiegato il fine: “Il processo di cambiamento introdotto dalla sharing economy non può essere fermato. Piuttosto dobbiamo orientarlo e regolamentarlo in modo che possa contribuire alla ricchezza e la crescita occupazionale dell’Italia”.

Qui è scaricabile il testo completo della proposta di legge

Come già scritto da EconomyUp, la particolarità della sharing economy inizia proprio dalla sua definizione: cosa ne fa parte? Quelle che ormai sono diventati colossi come Uber, Gnammo o Airbnb?

Come funzione la sharing economy e chi sono i protagonisti

Una parziale risposta la dà l’articolo 2 della proposta di legge che definisce l’economia della condivisione quella “generata dall’allocazione ottimizzata e condivisa delle risorse di spazio, tempo, beni e servizi tramite piattaforme digitali” i cui gestori “agiscono da abilitatori mettendo in contatto gli utenti e possono offrire servizi di valore aggiunto“; inoltre “tra gestori e utenti non sussiste alcun rapporto di lavoro subordinato“. Chi vorrà aprire una piattaforma sharing dovrà stilare un documento di politica aziendale con le condizioni contrattuali tra la piattaforma e gli utenti. Non è compresa “qualsiasi forma di esclusiva o trattamento preferenziale in favore del gestore” o “tariffe obbligatorie per gli utenti che erogano un servizi”. Nei contratti non potrà essere mai definita la “cessione gratuita non revocabile da parte di chi offre un servizio di propri diritti d’autore”, mentre per quanto riguarda la spinosa questione dei dati personali, chi utilizza le piattaforme per mettere a disposizione beni o servizi non potrà mai “acquisire né utilizzare informazioni pubbliche del gestore che non siano tutelate da adeguate misure tecniche di protezione”. Questi e altri criteri contenuti nel documento di politica aziendale dovranno essere vagliati dall’Autorità garante della concorrenza del mercato (Agcm), che diventa un vero e proprio arbitro della sharing economy. Sarà infatti l’Agcm ad approvare o meno i documenti di politica aziendale, a conservare il registro nazionale delle imprese approvate, a imporre o meno la stipula di polizze assicurative e, in sintesi, a regolare e vigilare l’attività delle piattaforme sharing.

Qui un’infografica che spiega i punti salienti della proposta di legge

Parlando di numeri, la legge, se approvata, interesserà le 186 piattaforme collaborative presenti in Italia nel 2015 (dati di collaboriamo.org e Università Cattolica) e quelle che nasceranno per soddisfare il bisogno degli italiani che già utilizzano questi servizi online, il 25% della popolazione. Ovviamente la sharing economy ha anche un risvolto fiscale. In questo senso l’obiettivo sottolineato da Catalano è “differenziare chi offre servizi per integrare il reddito da chi lo fa come attività professionale“. La soglia che funzionerà da discrimine è 10.000 euro l’anno: al di sotto verrà applicata una tassazione del 10%, al di sopra i redditi “saranno cumulati con quelli da lavoro dipendente o autonomo e ad essi verrà applicata l’aliquota corrispondente”. Ovviamente un requisito essenziale delle piattaforme è prevedere transazione di denaro attraverso sistemi di pagamento elettronico.

Le previsioni per il 2016 parlano di 150 milioni di euro prodotti dalla sharing economy che nel disegno dei primi firmatari della legge dovrebbero diventare 3 miliardi di euro entro il 2025. Un surplus che potrebbe essere re-investito nelle “politiche di innovazione tecnologica e di digitalizzazione delle imprese” e nello sgravio fiscale per chi opera nelle piattaforme digitali “al fine dell’accrescimento delle competenze digitali”. Il 2 marzo 2016 quindi sarà ricordato per la scesa in campo della politica nel campo dell’economia collaborativa. Nei due mesi che seguono cittadini e associazioni come gli Stati Generali dell’Innovazione, che ha contribuito alla stesura del testo e contribuirà alla gestione futura del processo, sono chiamati a commentare e proporre emendamenti al testo, ovviamente online, all’indirizzo dell’associazione.

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