Regolamentazione

Sharing economy, avanti verso una legge

Il 2 marzo sarà presentata alla Camera dall’Intergruppo per l’Innovazione una proposta di legge sull’economia della condivisione. «Affronteremo la sua promozione e regolamentazione, non va arrestata ma orientata» dicono i deputati. Se approvata, sarà la prima in Europa. Riflettori su Uber, AirBnb, Gnammo e Cocontest

Pubblicato il 26 Feb 2016

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Arriva una proposta di legge sulla sharing economy, l’economia della condivisione. Mercoledì 2 marzo alle 14.30 presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati sarà presentato il testo della proposta, frutto di un anno e mezzo di lavoro di un gruppo di parlamentari all’interno dell’Intergruppo Parlamentare per l’Innovazione Tecnologica. Primi firmatari Veronica Tentori (Pd), Antonio Palmieri (Fi) e Ivan Catalano (Gruppo Misto).

Cosa è la sharing economy – Hanno provato in tanti a definire il nuovo fenomeno della sharing economy (docenti universitari, player del settore, giornalisti) ma non è ancora emersa una definizione univoca e condivisa da tutti, anche perché si tratta di un fenomeno recente e in forte espansione, quindi per sua natura difficile da etichettare. Si può cominciare col dire che è una modalità innovativa di condivisione di beni, oggetti ma anche informazioni e idee. Si va dalla piattaforma per la condivisione di prodotti agricoli a chilometro zero al sito per condividere cene sociali a quello incentrato sulla creazione di contenuti in modalità partecipativa. Molti, quando parlano di sharing economy, fanno riferimento a due big dell’Internet economy, Uber e AirBnb: la prima una società che fornisce un’app per chiamare auto con conducente da smartphone, la seconda una piattaforma per affittare alloggi da privati in tutto il mondo. A detta di alcuni economisti, però, le due multinazionali non rientrano precisamente nei canoni della sharing economy, tuttavia affondano le proprie radici in un ecosistema in cui l’economia della condivisione sta prendendo sempre più piede.

Come sarà la proposta di legge – Sarà svelata a breve, ma intanto i deputati dichiarano: “Cominciamo ad affrontare la promozione e la regolamentazione della sharing economy con un approccio trasversale ai diversi settori professionali. Siamo convinti che la vera sfida sia quella di integrare, rendendoli complementari, i modelli economici tradizionali e modelli innovativi, evitando le contrapposizioni e facendo prevalere l’interesse collettivo. Le piattaforme digitali – proseguono – se gestite in una logica di integrazione con il mercato tradizionale e inquadrate in una cornice di regole chiare e trasparenti, potranno essere una grande opportunità per incrementare l’offerta e ampliare le possibilità per i consumatori, razionalizzare le risorse, stimolare l’innovazione e la partecipazione attiva dei cittadini e favorire la nascita di forme integrative di occupazione e di imprenditorialità. Questa legge ha proprio queste finalità ed è volta a garantire contestualmente la trasparenza, l’equità fiscale, la leale concorrenza e la tutela dei consumatori”. Concludono “Siamo convinti che questo processo di cambiamento non vada e non possa essere arrestato ma vada orientato, accompagnato e governato in un bilanciamento di interessi collettivi”. Già a settembre 2014 l’Intergruppo parlamentare per l’Innovazione aveva ospitato alla Camera un convegno intitolato “Sharing economy: rivoluzione tecnologica delle comunità di utenti online per la crescita”, al quale avevano partecipato realtà imprenditoriali e startup protagoniste della sharing economy. Lo scorso gennaio Cristiano Rigon, cofounder di Gnammo, startup che ha ideato un portale di social eating per prenotare pranzi o cene in case altrui attraverso Internet, è stato convocato in audizione presso la X Commissione Attività produttive, Commercio e Turismo della Camera dei Deputati in merito alla distinzione tra attività di social eating e home restaurant.

Come funziona Gnammo, l’AirBnb della tavola

Le tempistiche della proposta – Prima nel suo genere depositata in Italia e in Europa, la proposta verrà descritta in modo approfondito durante la conferenza stampa, al termine della quale comincerà un percorso di consultazione online per raccogliere osservazioni e proposte, aprendo così un dibattito partecipato su questo tema così importante per il futuro.

Sharing economy in Italia, i casi Uber, Gnammo, Airbnb, Cocontest sono aziende e startup innovative impegnate a vario titolo nell’economia della condivisione che hanno suscitato ampio dibattito in Italia e sulle quali sono intervenuti enti pubblici ed enti regolatori. Vediamo cosa è successo.

Uber – Lo sviluppo delle sue operazioni in Italia è stato fortemente contrastato dai principali competitor, i tassisti, e bloccato da alcune sentenze della magistratura. Diverso l’atteggiamento degli enti regolatori: a novembre scorso l’Antitrust è tornato a pronunciarsi ufficialmente a favore di Uber. In risposta a un quesito posto dal ministero dell’Interno su richiesta del Consiglio di Stato, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), presieduta da Giovanni Pitruzzella, ha sostenuto che occorre disciplinare al più presto l’attività di trasporto urbano svolta da autisti non professionisti attraverso le piattaforme digitali per smartphone e tablet, ovvero Uber e le app che consentono di accedere a questo servizio in aggiunta o in alternativa ai taxi e alle auto Ncc (Noleggio con conducente). “Il legislatore – ha sollecitato l’Antitrust – intervenga con la massima sollecitudine al fine di regolamentare, nel modo meno invasivo, queste nuove forme di trasporto non di linea, in modo da consentire un ampliamento delle modalità di offerta del servizio a vantaggio del consumatore”.

Uberstory, tappa dopo tappa cosa è successo in Italia a Uber

Gnammo – Il caso Gnammo è scoppiato a giugno 2015, quando il Ministero dello Sviluppo economico ha chiesto il rispetto di nuove regole e in particolare ha segnalato la necessità della Scia, dichiarazione di inizio attività, per chi allestisce un ristorante nella propria abitazione. Lo ha chiesto attraverso la diffusione della risoluzione 7/00824 promossa dall’onorevole Senaldi in risposta a una email di una Camera di Commercio che chiedeva di “chiarire come configurare l’attività di cuoco a domicilio e se tale attività possa rientrare fra quelle soggette alla Segnalazione Certificata di Inizio di Attività (Scia) da presentare al Comune di residenza, al fine di stabilire in modo chiaro l’iter da seguire per garantire il controllo dei requisiti professionali a tutela del consumatore finale”.A questo punto la palla è passata alla X Commissione Attività produttive, Commercio e Turismo della Camera dei Deputati che, dopo aver sentito rappresentanti e associazioni di categoria, ha convocato Gnammo. “È stata l’occasione – ha detto Cristiano Rigon – per proporre la nostra opinione: differenziare le attività di Social Eating, in cui un soggetto propone eventi culinari nella propria abitazione in modo occasionale e senza organizzazione d’impresa rivolta al pubblico, da quelle organizzate regolarmente o, comunque, con un’impresa rivolta al pubblico, cioè l’Home Restaurant”.

AirBnb – Il colosso delle locazioni turistiche, è stato annunciato a fine gennaio, pagherà le tasse al Comune di Firenze, che fa così da apripista in Italia per la regolamentazione della sharing economy. Dopo una lunga battaglia ingaggiata dagli albergatori del capoluogo toscano, è stato raggiunto l’accordo tra il municipio e AirBnb, che solo in città gestisce 7.500 appartamenti con un indotto stimato in centinaia di milioni di euro l’anno. Airbnb si è detto pronto a riscuotere per conto del Comune la tassa di soggiorno, che oggi è un “optional” per chi affitta una casa sul portale. Gli utenti del portale pagheranno la tassa di soggiorno già al momento di prenotare il soggiorno e l’azienda girerà periodicamente al Comune il totale raccolto. A Firenze la tassa di soggiorno sugli affitti tramite Airbnb sarà di 2,50 euro a notte a testa, per un massimo di 7 notti (equivalente della tariffa per un hotel due stelle). Ricavi ipotizzati dal Comune: fino a 10 milioni di euro.

Cocontest – Fondata nel 2012 a Roma dai fratelli Federico e Filippo Schiano di Pepe e da Alessandro Rossi, è un’azienda che permette di lanciare online contest per trovare idee progettuali di arredo e ristrutturazione di appartamenti secondo la formula del crowdsourcing: quando un cliente propone una gara per riprogettare uno spazio, gli arrivano decine di progetti dalla community tra i quali scegliere il migliore e affidare l’incarico. Il 12 maggio 2015, 9 parlamentari di diversa estrazione politica (da Sel a Fratelli d’Italia, passando per Partito democratico e Movimento 5 Stelle) hanno presentato un’interrogazione parlamentare al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Obiettivo: verificare la legittimità di Cocontest. Secondo la prima firmataria dell’atto, Serena Pellegrino (Sinistra ecologia e libertà), architetto, il servizio della startup romana andrebbe contro le norme riguardo al rapporto tra clienti e progettisti e porterebbe alla «schiavizzazione dei professionisti» in quanto li spingerebbe a lavorare gratuitamente perché soltanto il progetto che vince la gara (e il secondo e il terzo classificato) ricevono la retribuzione economica. Sotto accusa, infatti, è soprattutto il meccanismo del contest-“gara d’appalto”.

Milano e l’economia della condivisione – Intanto Milano si candida a capitale della sharing economy. L’anno scorso Palazzo Marino ha approvato una delibera d’indirizzo per “promuovere e governare lo sviluppo delle economie di condivisione e collaborazione” sull’esempio di altre città del mondo (Amsterdam, Hong Kong, Sidney). Del resto, sul fronte della mobilità, lo sharing è già realtà nel capoluogo lombardo. Iniziato con il bike sharing (10 mila utilizzi al giorno), si è poi esteso alle auto (2.000 circa tra i servizi Enjoy, Car2go, GuidaMi, E-vai, Twist). Altro punto forte sono i coworking, uffici condivisi dove i liberi professionisti affittano una scrivania, e i fab-lab, piccole officine artigiane d’innovazione.

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