Broggi (VisLab): «Gli investitori (e i compratori) bisogna andarseli a cercare»

Parla il general manager dello spin-off dell’Università di Parma che ha sviluppato un’auto a guida automatizzata ed è stato rilevato per 30 milioni di dollari dall’americana Ambarella: «Se stai seduto, le cose non arrivano. Era un paio di anni che giravo per cercare contatti mirati a far crescere la nostra tecnologia»

Pubblicato il 14 Lug 2015

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Alberto Broggi, general manager di VisLab

“Il segreto per realizzare uno spin-off universitario di successo è uscire dalle mura universitarie e individuare qualche grande azienda che possa dare una mano. E poi saper percepire con esattezza il proprio valore: in questo ambiente qualcuno si dà troppe arie, qualcun altro è troppo timido, invece è indispensabile capire quanto valiamo”: lo dice a EconomyUp Alberto Broggi, professore ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pavia e general manager di VisLab, spinoff dell’Università di Parma che ha sviluppato un’automobile a guida automatizzata ed è stato rilevato di recente per 30 milioni di dollari dalla statunitense Ambarella, azienda quotata al Nasdaq attiva nel settore della compressione video e del processamento di immagini. “Le università dovrebbero essere più collegate al mondo delle imprese” dice Broggi, che è docente di Sistemi operativi e Visione artificiale. “Il problema è che non sempre si riesce a trovare l’impresa disposta ad aiutare lo spin-off. Noi siamo stati fortunati, ne abbiamo trovato addirittura una nella Silicon Valley”.

Come avete fatto?
Era un paio d’anni che giravo per cercare contatti mirati a far crescere la tecnologia sviluppata nei nostri laboratori. Ho parlato con tanti e anche con i dirigenti di Ambarella. Con loro siamo andati avanti anche perché abbiamo visto che eravamo in qualche modo complementari: Ambarella produce chip per elaborazione e compressione di immagini, noi sviluppiamo algoritmi per elaborazione di immagini. Loro fanno hardware, noi software. È stato un match naturale.

Quindi non vi hanno cercato loro?
Se stai seduto le cose non arrivano, bisogna andarsele a cercare. Mi sono mosso più volte per andare in cerca prima di investitori, poi di aziende con le quali fare possibili merger.

Di investitori ne avete trovati?
Mai ricevuto finanziamenti: i denari li abbiamo portati a casa con progetti realizzati con aziende di tutto il mondo. Avremmo avuto bisogno di qualche investitore per accelerare, ma così non è stato. Ce n’erano alcuni interessati, ma forse è stato meglio partire subito con la fusione. Con gli investor i tempi sarebbero stati più lunghi. E nel nostro settore bisogna fare presto: se aspettavamo ancora un paio d’anni l’interesse non dico che sarebbe diminuito, ma forse si sarebbe catalizzato verso altri comparti.

Vuol dire che l’automobile automatizzata è una moda del momento?
No, anzi, io credo che sia il futuro, ma i giochi si fanno adesso. Anzi sono già iniziati l’anno scorso quando gruppi di aziende hanno cominciato a lavorare insieme sulla macchina senza guidatore. Nissan fu la prima casa automobilistica, nel 2013, ad annunciare che entro il 2020 avrebbe lanciato sul mercato l’automobile automatizzata. Le altre sono seguite a ruota. Google ha attirato l’attenzione dei media con la sua Google Car, ma non è una casa automobilistica.

In prospettiva voi cosa volete diventare?
Non posso parlare del futuro dell’azienda, sono argomenti sui quali abbiamo una privacy policy. Però posso dire una cosa: il settore attualmente in fermento e destinato ad espandersi è quello dei fornitori di tecnologia per le case automobilistiche.

In 6 anni di vita qual è stato il momento peggiore per VisLab?
Non ne ricordo uno.

E il migliore?
Un paio di anni fa, quando abbiamo deciso di cercare un possibile partner. Una decisione che ci ha fatto crescere tantissimo.

La lezione più importante appresa?
Che le cose si possono fare. E aggiungerei: anche in Italia. Non è facile, ma ci si può riuscire.

Gli ingredienti per riuscirci?
Abbiamo trovato tante persone che ci hanno dato una mano. Per esempio abbiamo avuto come consulenti i docenti del dipartimento di Economia. Noi siamo tutti tecnici, ci siamo sbattuti per creare la tecnologia, ma nessuno di noi aveva competenze in campo manageriale. Potremmo dire che il nostro spin-off è ‘fatto in casa’ ma con professionalità.

I rapporti con gli americani?
Ovviamente perfetti. Lo spirito della Silicon Valley ci ha ammaliato. Vanno a una velocità diversa dalla nostra. Da loro il problema primario non è trovare i finanziamenti ma avere una visione, una strategia. I soldi poi arrivano. Qui da noi è più difficile, perché la prima cosa è trovare i finanziamenti per sopravvivere.

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