Sharing economy

Gnammo, tutto quello che vorreste sapere sull’Airbnb della tavola

La piattaforma creata da tre amici appassionati di cucina consente di invitare a casa a cena ospiti paganti che si sono prenotati in Rete. È il social eating Made in Italy. Ma non tutti lo capiscono. E una risoluzione del Mise apre la questione delle regole anche per gli home restaurant

Pubblicato il 18 Giu 2015

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I founder di Gnammo presentano il loro progetto agli shark

Metti una sera a cena con il padrone (o la padrona) di casa che propone le sue migliori ricette e un gruppo di persone sconosciute, o meglio conosciute attraverso i social network, che non vede l’ora di accomodarsi in questo ristorante autenticamente casalingo per gustare, bere, parlare: è la business idea di Gnammo, startup fondata un paio di anni fa da Gian Luca Ranno, oggi Ceo, Walter Dabbicco, Cmo, e Cristiano Rigon, Cto: idea che ha portato a tavola la sharing economy, l’economia della condivisione. Si potrebbe definire la “Uber della tavola“, visto che di recente anche il social eating è finito al centro di un dibattito sulle regole a seguito di una risoluzione del Mise che obbliga chi cucina a casa propria a pagamento a presentare la Scia, dichiarazione di inizio attività.

Sulla piattaforma online di Gnammo l’utente (il cuoco) può inserire la descrizione del pasto che intende preparare, specificando la cifra richiesta a persona, e raccogliere adesioni dagli interessati (gli gnammer). Il cuoco ci guadagna, gli gnammer generalmente risparmiano rispetto a una cena al ristorante e comunque vivono un’esperienza particolare e diversa dal solito. Come fidarsi dell’abilità del cuoco? Come per analoghe piattaforme social, c’è il sistema di feedback in cui confluiscono i pareri degli utenti passati. Inoltre Gnammo ha avviato una serie di partnership con alcuni brand, in primis Barilla, ma anche marchi più piccoli, interessati a questa nuova forma di sponsorizzazione, praticamente door-to-door.

Un’idea che sta conquistando adepti. Ma come è nata? “Tutti e tre siamo grandi appassionati di cucina – spiega uno dei co-founder, Walter Dabbicco – così ci siamo guardati attorno per vedere cosa si muoveva nel mondo del web: si condividevano case, auto e allora perché non il food?”.

La strada però non è stata da subito in discesa. “Per ogni iniziativa – continua Dabbicco – i primi passi sono difficili, ancor di più lo sono stati per noi. Oltre agli aspetti burocratici, dei quali eravamo piuttosto digiuni, il vero ostacolo è stato riuscire a trasmettere bene il messaggio del social eating, l’idea che aprire casa propria per mangiare con nuovi amici non solo fosse possibile, ma anche bellissimo”.

A tutt’oggi a tavola con Gnammo si sono sedute oltre 20.000 persone provenienti da tutta Italia. La concentrazione è maggiore nelle grandi città, ma anche i centri di dimensioni minori stanno cominciando a sperimentare. E con il tempo il numero dei soci della startup si è allargato e sono arrivati finanziatori esterni decisi a scommettere su questa nuova realtà.

Realtà che si considera a pieno diritto tra i protagonisti della sharing economy. Ed è considerata tale anche dagli osservatori esterni, dal momento che figurava tra gli invitati, insieme ad altre startup e big come Uber e AirBnB, a un convegno organizzato l’anno scorso dalla Camera dall’Intergruppo parlamentare per l’Innovazione proprio per riflettere su questa modalità innovativa di condivisione di beni, oggetti, informazioni e idee.

Eppure ancora non tutti riescono a cogliere l’innovazione introdotta da piattaforme di questo tipo. Durante la terza puntata di Shark Tank, trasmissione di Italia 1 andata in onda poche settimane fa che vedeva cinque investitori scommettere i loro soldi sulle startup, una degli “squali” Mariarita Costanza, direttore tecnico di Macnil–Gruppo Zucchetti, ha definito l’attività imprenditoriale di Gnammo “una grande cavolata”. L’imprenditrice ha ammesso di non conoscere questo nuovo modo di mangiare socialmente e di ignorare anche i big internazionali del comparto, tra i quali per esempio EatWith. Pronta la replica di Ranno affidata a EconomyUp: “La sharing economy valeva nel 2013 a livello internazionale circa 15 miliardi di dollari, che saranno 250 nel 2025″.

Gli altri Shark erano evidentemente più al corrente, perché hanno fatto un’offerta. La richiesta di Gnammo ammontava a 300mila euro per 10% delle quote societarie. Cannavale e Dettori hanno offerto quella cifra ma prima per il 30% e poi per il 15%. Gli aspiranti imprenditori hanno rifiutato l’offerta. “Era inaccettabile, non potevamo svenderci e poi volevamo rispettare gli altri nostri finanziatori che ci avevano valutato di più” è stato il commento degli startupper.

Ad oggi in Italia Gnammo è protagonista del social eating. A livello globale la realtà più simile è EatWith, piattaforma internazionale attraverso la quale è possibile pranzare o cenare in casa delle persone in varie parti del mondo. I creatori di Gnammo sostengono però che “l’approccio di EatWith all’universo delle tavole condivise è completamente differente”, pur ammettendo che è “una realtà da cui trarre indicazioni ed ispirazione”.

“Lo diciamo sempre – conclude Dabbicco – che Gnammo non poteva nascere se non in Italia. Il buon cibo e la cultura che ci porta ad amarlo sono un ingrediente fondamentale del nostro universo”.

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