Statistiche

Ma quanti sono i soldi investiti sulle startup?

118 milioni rilevano gli Osservatori Digital Innovation. 43 ridimensiona drammaticamente l’Associazione del Private Equity e Venture Capital pochi giorni dopo. Come è possibile tanta differenza? Sono fotografie di due pezzi diversi del sistema. Dove contano sempre di più gli investitori privati

Pubblicato il 26 Mar 2015

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«Il viaggio su Marte x Italia è una VC industry. Dati 2014: – 47% early stage x #startup». Il tweet di Salvo Mizzi, amministratore delegato di Tim Ventures, è uno dei segnali del disorientamento e della preoccupazione che circola nel mercato dopo la diffusione dei dati Aifi sugli investimenti nel 2014. A dir poco scoraggianti. E non potrebbe essere altrimenti visto che quei numeri ci collocano al fondo di tutte le classifiche europee e consegnano la fotografia di un sistema che definire anemico sarebbe generoso. Ma forse il “viaggio su Marte” non è necessario e siamo di fronte solo a una rifrazione statistica. Anche perché altre indagini, come quella degli Osservatori Digital Innovation, parlano di 118 milioni di euro investiti sulle startup nel 2014. Tre volte tanto la cifra indicata da Aifi. Come è possibile?

EconomyUp è andato all’origine della presunta “tragedia” per spiegare questo fenomeno di strabismo statistico.

Il 17 marzo Italia Startup e gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano presentano nel corso di Gec2015 i dati aggiornati di “The Italian Startup Ecosystem: Who’s Who, report realizzato con il supporto istituzionale del Ministero dello Sviluppo Economico. Secondo l’analisi sulle startup innovative in Italia sono stati investiti 118 milioni di euro nel 2014.

Il 20 marzo l’AIFI (Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital) presenta l’analisi sull’andamento dei soggetti che investono nel capitale di rischio delle imprese, dalla quale emerge che gli investimenti early stage (seed e startup) nel 2014 ammontano a 43 milioni di euro.

A distanza di tre giorni, dunque, vengono diffusi dati completamente diversi tra loro (uno è quasi un terzo dell’altro). Per capire come ciò sia possibile è necessario soffermarsi sul metodo di rilevazione utilizzato nelle due indagini.

Partiamo dall’analisi degli Osservatori del Politecnico di Milano. Per il 2014 la ricerca, che viene effettuato intervistando tutti i soggetti individuati, evidenzia investimenti complessivi (sia da investitori istituzionali che da business angel, family office e venture incubator) in startup hi-tech pari a 118 milioni di euro, in crescita del 5% sul 2012 e in flessione del 9% rispetto al 2013, quando il totale aveva toccato i 129 milioni di euro.

Analizzando le due componenti del totale degli investimenti, emerge che il dato consuntivo degli investimenti istituzionali si attesta a quota 63 milioni di euro (il dato più “simile” ai 43 milioni dichiarati dall’Aifi, che si riducono a 31 se si tiene conto che le startup del comparto hi-tech sono il 72%), in calo del 23% rispetto al 2013 a causa, in buona misura, della chiusura dei fondi con target di investimento sul Sud Italia. Al tempo stesso però si stima un netto incremento del ruolo svolto dagli investimenti fatti da soggetti non istituzionali (cioè business angel, family office, acceleratori and incubatori) che non vengono tenuti in considerazione dal monitor Aifi: l’apporto di questa tipologia di investitori è cresciuto del 17% nel 2014, raggiungendo i 55 milioni di euro e arrivando a pesare quasi per il 50% sul totale degli investimenti.

Passiamo alla ricerca dell’Aifi. Secondo quanto si legge nella premessa metodologica, “l’analisi è stata effettuata attraverso la raccolta di questionari compilati on-line. Sulla base della metodologia internazionale, l’attività di fundraising analizzata riguarda:
– gli operatori indipendenti aventi focus specifico di investimento sul mercato italiano (SGR e investment companies);
– gli operatori captive italiani, che non effettuano attività di raccolta indipendente, ma ricevono i capitali dalla casamadre. Nelle statistiche relative alla raccolta, non vengono, invece, inclusi gli operatori internazionali, in quanto non prevedono una formale pre-allocazione delle risorse disponibili tra i diversi Paesi target di investimento, nonché gli operatori di estrazione pubblica. Per quanto concerne l’attività di investimento, i dati aggregati si riferiscono alle sole quote di equity e quasi equity complessivamente versate per l’operazione e non al valore totale della transazione. Vengono considerati sia i nuovi investimenti (initial) che gli interventi a favore di aziende già partecipate dallo stesso o da altri operatori (follow on)”. Chiaro? Vengono presi in considerazione solo i fondi privati, esclusi gli stranieri, e solo quando versano la cifra investita.

E veniamo agli operatori presi in considerazione da Aifi. Nel 2014 sono stati monitorati 188 operatori. Il campione oggetto di analisi, oltre agli associati Aifi (120 di cui 20 venture e il resto equity), comprende i componenti aderenti all’associazione che svolgono occasionalmente attività di investimento, alcuni investitori e istituzioni finanziarie italiane che non rientrano nella compagine associativa di Aifi, nonché gli operatori internazionali che, pur non avendo un advisor stabile sul territorio italiano, hanno realizzato operazioni in imprese nel nostro Paese nel corso dell’anno. A partire dal 2011, nel calcolo vengono inclusi, oltre agli associati Aifi, solamente gli operatori che nel corso degli ultimi tre anni hanno svolto almeno una delle attività di investimento, disinvestimento o raccolta di capitali.

Conclusioni. Dedicate a chi si fosse perso tra milioni, percentuali e campioni. La base di rilevazione di Aifi è molto più ridotta di quella degli Osservatori non solo per il numero degli operatori coinvolti (che comunque non vengono interpellati direttamente) ma anche per le operazioni prese in considerazione. Alcuni investimenti di taglia importante (diciamo da 500mila euro in su) sono esclusi perché ritenuti fuori dalla fase di seed ed early stage. E nel 2014 ce ne sono stati diversi, pesanti, anche su startup con pochi anni di storia. E questi vengono contabilizzati, invece, dagli Osservatori. Si pone poi la questione della definizione dei diversi profili di investitore. Quella utilizzata da Aifi è molto restrittiva e lascia fuori una fetta importante e vivace del mercato italiano. Sarebbe quindi meno drammatico l’impatto di quei numeri, anche nei confronti dei player internazionali, se non venissero proposti come fotografia del mercato ma solo di una parte (i fondi di venture capital) e solo di una fase di investimento (seed e start). Anche perché, cosi rilevando, per esempio restano fuori investimenti come quello su Genenta, la startup più finanziata di tutti i tempi con 10milioni di euro, nonostante abbia poco meno di un anno di vita. Un quarto della cifra rilevata da Aifi! Ma per Aifi non esiste solo perché è arrivata da investitori privati.

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