L’Europa può davvero essere la nuova Silicon Valley?

Imprenditori del settore tech e venture capitalist si sono confrontati su questo interrogativo giungendo alla conclusione che il Vecchio Continente deve smettere di inseguire il mito di Palo Alto e sfruttare meglio i suoi punti di forza: talento, bacino di oltre 400 milioni di clienti, visione globale e multi-culturale

Pubblicato il 24 Mar 2015

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Europa

Perché in Europa si parla ancora di creare la nuova Silicon Valley? E perché in Silicon Valley si parla di Europa soltanto per citare vacanze fantastiche e cibo gustoso? Su questi ed altri interrogativi sono chiamati a riflettere imprenditori del settore tech e venture capitalist. Sembra ormai chiaro che l’Europa non potrà mai diventare la Silicon Valley oltreoceano, in quanto storicamente diversa, perciò deve imparare a creare qualcosa di nuovo e originale. All’ecosistema tecnologico europeo – ammesso che esista – non rimane che vivere nella frustrazione di essere considerato sempre secondo oppure svegliarsi e decidere di puntare sulle proprie potenzialità per dimostrare a tutto il mondo il suo valore.

La Silicon Valley non è più la terra promessa delle startup

Alcuni giorni fa, Julie Meyer, managing partner del fondo europeo Ariadne Capital Entrepreneurs Fund, in un articolo sul Financial Times (The whoosh of start-up value going from Europe to Palo Alto), ha detto provocatoriamente che l’obiettivo delle società europee di venture capital è di far soldi in America, scovando i migliori imprenditori dell’industria tech da Helsinki a Madrid e vendendo la loro attività a una delle grandi piattaforme tecnologiche statunitensi (25 delle quali acquisiscono gran parte delle startup sostenute da capitali di rischio). Questo potrebbe non interessare a chi ha una visione a breve termine, a chi intende creare delle supernovae che nascono già con l’intento di essere vendute al primo americano di turno. Ma l’Europa, dice la Meyer, deve riflettere seriamente su quest’ondata di valore che si sposta sempre più verso Palo Alto e la Silicon Valley.

– Dalla Silicon Valley vi dico: «La forza dell’Italia è design più innovazione»

Si tratta di una competizione senza speranze perché i giocatori in gara sono completamente diversi. “Palo Alto ha il vantaggio di fare bene due cose – scrive Julie Meyer -, da una parte crea costantemente e sistematicamente grandi aziende tecnologiche e dall’altra è un ottimo venditore di se stesso. Sa raccontare al mondo intero che le migliori compagnie provengono da Palo Alto, anche se la macro tendenza è di dire che bravi imprenditori sono ovunque. In questo modo, lo startupper medio europeo si convince di dover cercare i suoi finanziamenti a Palo Alto”. Come fa l’Europa ad emergere? Se continua a copiare la Valley sarà sempre seconda, invece nella vita bisogna individuare i propri punti di forza e giocare con quelli.

“La Silicon Valley è come un secondogenito – continua la Meyer -. Ritiene di poter ricostruire un nuovo universo e distruggere quello vecchio. Se sentite i titani del venture capital lì, sostengono che il bitcoin ben presto minaccerà la sterlina. Il nuovo vince sempre. Il loro modello si basa sulla raccolta di centinaia e centinaia di milioni di dollari, sul racconto di una bella storia, sulla tempestività”. In Europa i ritmi sono diversi perché sono diversi gli obiettivi. “L’Europa è come il primogenito di una famiglia – spiega la venture capitalist di Ariadne Capital Entrepreneurs Fund -. In Europa siamo interessati al risultato. Il nostro welfare opera in modo diverso. C’è carenza di capitale di rischio. Gli imprenditori non sono così bravi a raccontare belle storie. Ci rendiamo conto che l’innovazione è un complemento. Non abbiamo smesso di ascoltare la radio con l’avvento della tv. Vogliamo potenziare ed estendere l’infrastruttura esistente, non cancellarla. Vogliamo un ecosistema sostenibile, per i consumatori e per i dipendenti”.

– Italiani in Silicon Valley? Noi siamo tornati...

La Silicon Valley è per tutti gli operatori del settore tech un esempio inconfutabile, ma cercare di imitare i suoi modelli è davvero la strada per crescere? Julie Meyer è convinta del contrario: “Ho il vago sospetto che potenziare ed estendere sia meglio che rivoluzionare – scrive sul Financial Times -. Sono convinta che le unità economiche (quelle a cui guardano tutti i buoni venture capitalist prima di un investimento) sono molto più forti nelle startup che potenziano ed estendono le infrastrutture esistenti piuttosto che in quelle che distruggono gli operatori storici. Non abbiamo mai avuto la possibilità di fare un confronto perché l’Europa è sempre di un paio di anni indietro rispetto alla Silicon Valley e cerca sempre di inseguire i suoi modelli. Cerchiamo di essere Paolo Alto anziché giocare con i nostri punti di forza”.

La soluzione proverrebbe dalle imprese storiche europee, create al di fuori dell’industria tech, che potrebbero puntare sulle startup per avviare la loro rivoluzione digitale. “Le startup digitali – dice la Meyer – possono condurre le imprese nel mondo digitale. Attraverso la loro acquisizione le aziende non-tech diventerebbero come delle piattaforme, acquisirebbero tutti i contatti della nuova rete, si assicurerebbero nuovi ricavi netti e trasformerebbero i loro settori in ecosistemi”. L’Europa hi tech dovrebbe costruire degli ecosistemi per attrarre capitali anziché far spuntare supernovae che poi scappano negli Stati Uniti. “I venture capitalist – conclude la Meyer – devono essere più razionali quando vendono il loro portfolio di aziende. Il settore ha bisogno di maggiore sistematicità, di riflettere sulle caratteristiche singolari dei suoi imprenditori e sul contesto nel quale avvengono i loro business”.

Anche Sten Tamkivi, imprenditore nel campo dei software per 16 anni, uno degli executive di Skype a Tallin e attualmente membro della società di venture capital della Silicon Valley, Andreessen Horowitz, su TechCrunch (Why Silicon Valley can’t find Europe) spiega come si potrebbe costruire un ponte tra l’Europa e la Silicon Valley per collegare i due scenari tecnologici. Gli imprenditori europei devono smettere di pensare di poter varcare l’Oceano soltanto alla ricerca di fondi perché – dice Tamkivi – è dimostrato che la maggior parte dei venture capitalist americani investe in America, mentre quelli europei investono in Europa. Questo perché credono che ci sia anche un “valore” intangibile che è difficile da trasportare da una parte all’altra, nonostante la qualità delle videochiamate sia migliorata. “Per costruire un solido ponte con gli Stati Uniti – scrive Tamkivi – bisogna avere un valido motivo per trasferirsi in Silicon Valley, al di là dei soldi. I selfie nella Infinite Loop o foto di gruppo davanti alle sedi di Facebook e Google non contano. Una buona ragione è se siete sicuri di trovare lì le principali aziende del vostro settore (con le quali volete competere, dalle quali volete imparare oppure volete avviare delle partnership o soltanto rubare dipendenti) e i principali clienti”.

– Il “padrino della Silicon Valley”: il tempo è il valore delle startup

Gli imprenditori europei dovrebbero smettere di inseguire modelli e finanziamenti statunitensi e valorizzare i loro punti di forza. Quando si costruiscono legami ad alto valore in qualsiasi rete – scrive l’imprenditore estone – la questione non dovrebbe mai essere quello che si ottiene, ma piuttosto ciò che si può dare. In che cosa si può essere d’aiuto? Che cosa si può insegnare? Che cosa si può far risparmiare? Se noi europei imparassimo ad aver più fiducia e gli statunitensi a mitigare la loro arroganza, avremmo molto da offrire alla Silicon Valley”.

Tamkivi cita alcuni dei potenziali elementi competitivi degli europei, come il talento (“Una delle difficoltà della Silicon Valley è di trovare buoni ingegneri o designer”), la condivisione di nuovi modelli tramite tecnologie mobile e online, un bacino di oltre 400 milioni di clienti, una visione globale e multi-culturale, i nuovi standard per la sicurezza e la privacy. Trovare casi di eccellenza in Europa non è difficile, dalle finlandesi Rovio (Angry Birds) e Supercell (Clash of Clans), ai fondatori danesi, svedesi ed estoni di Skype, passando per gli ideatori dell’Est Europa di Evernote che hanno conquistato i mercati cinesi e giapponesi.

È ora di smettere di inseguire il mito della Silicon Valley, l’Europa può fare di più.

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