Circola un vecchio adagio, di cui nessuno riesce a trovare tuttavia la fonte, che recita più o meno così: “Il 95% delle aziende raccoglie il feedback dei clienti ma solo il 10% lo utilizza per migliorare il proprio prodotto e solo il 5% comunica ai clienti le azioni intraprese in risposta a ciò che ha ascoltato”. Per quanto datato e non di facile conferma, e sebbene venga attribuito a una società di ricerca e consulenza rinomata come Gartner, sappiamo tutti quanto questo adagio sia ancora vero e attuale.
Migliorare il prodotto: un processo finora troppo lungo
Soprattutto in ambito Retail, infatti, è ormai pratica consolidata raccogliere feedback sui prodotti ma questa attività è destinata più a orientare il cliente nell’acquisto che non a migliorare il prodotto stesso, che resta disponibile nella sua veste iniziale e con la sua valutazione media fino a esaurimento stock o fino alla sua successiva release. Dal lato dell’acquirente, quel feedback segnalerà quanto migliore o peggiore sia rispetto ai suoi diretti competitor e fornirà, in alcuni casi, indicazioni sulla bontà dell’azienda produttrice e sul corriere che ha effettuato la consegna. In assenza di informazioni precise e circostanziate, quel prodotto sarà destinato a non evolversi o comunque a farlo molto lentamente, quando ormai sarà tempo per una sua ulteriore revisione.
Questo succede perché lo sviluppo (o la riprogettazione) di prodotto è sempre stato un processo lungo e che coinvolge tutti i rami aziendali, spesso abituati a operare in una logica a silos. In questi casi i feedback, una volta raccolti, hanno spesso fatto ritorno alla casa madre per vederne l’implementazione dopo mesi o anni – tra ricezione in azienda, rielaborazione “umana”, consegna all’R&D, approvazione dell’area marketing, industrializzazione e commercializzazione – quando ormai probabilmente i bisogni dei clienti erano già diventati altri.
Come migliorare il prodotto: le strategie
Come fare, quindi, per mettere a valore questa grande quantità di informazioni in prodotti più vicini alle necessità degli acquirenti, in tempi più ridotti e senza costi eccessivi?
Integrazione tecnologica
La tecnologia può sicuramente dare una grande mano sia in fase di raccolta che di analisi dei feedback.
Nel primo caso è possibile ridurre la distanza, sia fisica che temporale, che c’è tra l’acquisto di un prodotto e l’opinione rilasciata da parte del cliente: nella maggior parte dei casi, questa azione avviene post-acquisto e su piattaforme spesso intermediarie che verificano l’effettiva realizzazione della transazione economica. Se, da un lato, quest’ultima modalità aumenta le possibilità di evitare le recensioni “fake”, impedisce dall’altro la raccolta delle opinioni di tutti i potenziali clienti che non hanno comprato il prodotto.
Conoscere le ragioni del non acquisto nel punto vendita (tessuti non gradevoli, cuciture storte, chiusure non precise, dosatori non abbastanza graduati e via discorrendo) potrebbe essere talvolta addirittura più utile rispetto a conoscere le ragioni dell’insoddisfazione di un cliente pentito. E mentre sul canale online si possono ottenere informazioni preziose investendo su User Experience e User Interface per comprendere i motivi dell’abbandono del carrello virtuale, nel mondo fisico questo processo risultava fino a oggi più complesso.
Le nuove tecnologie attualmente disponibili consentono invece di raccogliere dati a caldo sui prodotti con cui si entra in contatto, in maniera semplice e in tempo reale, mediante soluzioni integrate in più punti di accesso: in store o in camerino, on product o sul carrello. Un approccio che sposa la progettazione di prodotti “connettibili” ovvero quel tipo di progettazione pensata per abilitare gli oggetti a comunicare (grazie a funzionalità intelligenti post-produzione) con l’acquirente e con la casa madre attraverso una continua interazione pre, durante e post acquisto. Dal progettare oggetti “inerti” si sta passando quindi a sviluppare prodotti sui quali l’azienda produttrice può aggiungere tecnologie in un secondo momento, acquisendo e massimizzando una maggiore flessibilità e adattabilità.
Una volta agevolata la fase di raccolta, si passa alla successiva analisi dei dati. Anche in questo caso la tecnologia può semplificare e velocizzare la comprensione di quanto raccolto: l’utilizzo di algoritmi di Intelligenza Artificiale consente infatti di trasformare in tempo reale i dati (le recensioni vocali, per esempio) in informazioni e poi in significato e successivamente, attraverso un processo di clusterizzazione, di fornire una risposta in termini di actionable insight per il miglioramento del prodotto. Questo passaggio è cruciale, perché grazie al nostro algoritmo proprietario InsightGPT abbiamo riscontrato che si possono accorciare i tempi del processo di riprogettazione di circa il 30%.
Queste indicazioni estratte dai dati, tuttavia, devono poter essere implementate in azienda in maniera agile, per evitare che arrivino troppo tardi sul prodotto. Come?
Mentalità aziendale e apertura alla co-progettazione
Occorre innanzitutto adottare un approccio integrato alla progettazione del prodotto, che superi l’organizzazione a silos e promuova l’apertura di tavoli di lavoro con tutte le funzioni aziendali coinvolte nel ciclo di vita del prodotto, dall’after-sales al controllo qualità, dal marketing alle vendite, dalle operation a chi si occupa di ingegneria di produzione. La comunicazione continua e la conoscenza reciproca delle attività svolte assicurano una vera cross-fertilization e un’applicazione pratica dei principi di collaborazione interfunzionale e delle soluzioni tecnologiche proposte.
L’area marketing, in particolare, per il proprio ruolo di conoscenza delle preferenze espresse dal mercato e di gestione di budget maggiori, deve lavorare a stretto contatto con il team dell’R&D, che si concentra sull’efficienza e sui costi funzionali e a propria volta deve aprirsi e condividere con gli altri reparti e con i consulenti esterni i vincoli produttivi del progetto, soprattutto se si intende modificare un prodotto senza cambiare i macchinari. Rispettare questi limiti è dunque fondamentale per evitare costi e tempi aggiuntivi e per fare in modo che il processo di sviluppo del prodotto contribuisca a potenziare il valore percepito (da parte del cliente finale) e la profittabilità dell’azienda.
Tech Transfer
Questo continuo scambio di informazioni può avvenire sia durante gli incontri tra i vari dipartimenti aziendali che attraverso la condivisione di idee con fornitori e consulenti: tale “spirito scientifico” di cooperazione permette di arricchire il processo creativo e di sviluppo del prodotto con prospettive diverse e complementari. I progressi raggiunti in un ambito possono quindi trasferirsi più agevolmente a un altro, portando innovazioni nei processi e nei materiali.
Facciamo qualche esempio: le tecnologie di miniaturizzazione elettronica sviluppate per il settore dell’occhialeria possono trovare applicazione in altri contesti, come quello delle valvole o dei componenti automobilistici. Similmente, i materiali utilizzati per conferire morbidezza a capi di abbigliamento invernale possono essere riutilizzati per aumentare il comfort dei sedili delle auto. E ancora: la microstampa, inizialmente concepita per il settore della meccanica, può essere oggi applicata al design di complementi d’arredo. Tutti questi trasferimenti consentono di utilizzare gli stessi principi sottostanti in contesti diversi, mantenendo l’essenza dell’innovazione senza replicarne la forma esatta.
Case studies
Nel concreto, con aziende come Rewing e Dal Bello, per esempio, abbiamo adottato il principio di utilizzo del tessuto come elemento tecnologico, per non compromettere esperienza e comfort; con marchi come SCM GROUP e Aircontrol, invece, ci siamo concentrati sullo sviluppo di strutture adattabili a forme e geometrie variabili in base al contesto, per affrontare il trade off elemento unico/forme variabili.
Sviluppare competenze di progettazione cross-industry attraverso la contaminazione tecnologica tra mercati è quindi un fattore strategico che apre la strada a nuove soluzioni.
Il servizio nel prodotto di domani
Come sarà quindi lo sviluppo di un prodotto del futuro, in una società segnata dalla sempre maggiore pervasività del digitale e delle tecnologie innovative, intelligenza artificiale in primis?
Negli ultimi dieci anni abbiamo intrapreso un incessante cammino di crescita per trasformare la parola “design” da un termine obsoleto a un concetto funzionale, pratico e radicato nella realtà. Il nostro approccio è stato quello di ridefinire il modo in cui i prodotti vengono progettati, realizzati e utilizzati e di bilanciare l’integrazione del digitale con prodotti che abbiano peso e valore, che servano una funzione tangibile.
Tra 10 anni possiamo immaginare che, per davvero, sarà il prodotto a interpellare il cliente. Che cosa significa? Un concetto molto semplice, già presente nella natura dei prodotti-servizio, come per esempio il soggiorno in una camera d’albergo: l’azienda che ha realizzato e sviluppato quel prodotto sarà con il consumatore mentre il prodotto verrà usato.
Con una differenza sostanziale di fondo: chi gestisce una camera d’albergo è a disposizione del cliente per fornire supporto per tutta la durata della fruizione del servizio. Quando si tratta di un prodotto questo non succede: il mio computer è con me mentre lo sto utilizzando ma chi lo ha prodotto è a migliaia di chilometri di distanza e non sa neppure che io esisto.
Questa dicotomia risulta essere un buco incredibile nel mercato dei beni di consumo: riuscire a replicare la dinamica relazionale presente nel servizio anche nel prodotto sarà sicuramente una delle prossime frontiere da aggredire. Partendo dalla riprogettazione e integrando tecnologia, materiali innovativi e informazioni.