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Venture client, come fare un contratto con una startup in una settimana: l’esperienza di A2A



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“Abbiamo fatto un lavoro da mediatori culturali”, dice Patrick Oungre, Head of Innovation di A2A, che racconta il modello definito per semplificare e velocizzare le sperimentazioni con le startup. Portando la responsabilità dell’acquisto in capo all’innovazione

Pubblicato il 23 ott 2024



Patrick Oungre A2A
Patrick Oungre, Head of Innovation A2A Group

Il venture client è un passo importante, perché propedeutico ad altri più impegnativi, dell’innovazione aperta in azienda. Se è necessario comprendere l’importanza delle startup e del loro contributo alla crescita, è determinante trovare il modo migliore per sperimentare con queste piccole e nuove imprese capaci di portare software, hardware e modelli di business che possono creare valore.

Diventare clienti di una startup non è facile. Così come è difficile ormai trovare una grande azienda che dica di non volersi confrontare con le startup e magari comprare da loro. Ma passare dalle parole ai fatti non è semplice, perché c’è tra le due parti un divario culturale, dimensionale, organizzativo: le corporate fanno fatica a stare dietro alla velocità e alle esigenze delle startup che, a loro volta, troppo spesso non comprendono le logiche, i processi e le necessità di una grande organizzazione che ha vincoli di compliance e di mercato, deve garantire standard e continuità con i clienti. Ecco perché c’è nelle grandi organizzazioni una minore propensione al rischio.

“Noi che lavoriamo sull’innovazione dobbiamo quasi essere dei ‘mediatori culturali’”, dice scherzando ma non troppo Patrick Oungre, Head Of Innovation di A2A, Gruppo quotato in Borsa, che dopo anni di lavoro con le startup ha messo a punto uno “startup kit” per semplificare la relazione e condividere opportunità di innovazione. Da questa esperienza nasce il framework condiviso da InnovUp con gli innovation manager di altre aziende per avviare un percorso che possa portare a uno standard di mercato. Dal 2021 A2A ha realizzato 130 POC, di cui 24 sono andati in produzione e altri 19 potrebbero farlo entro breve.

Vediamo quali sono le opportunità e le criticità del venture client e come sono state affrontate in A2A, un’esperienza utile per capire come la “mediazione culturale” può funzionare e anche ciò che sembra immutabile molto spesso non lo è.

Venture client, cosa serve per cambiare le regole

“A2A ha cominciato a fare venture client nel 2020 e già allora esisteva un fast track che velocizzava l’iter”, racconta Luca Volterrani, Innovation Ecosystem Lead del Gruppo. “Ma la sola semplificazione poteva non essere sufficiente. Abbiamo quindi capito che sarebbe stato importante intervenire sulle procedure consolidate per andare oltre”.

Il cambiamento si fa insieme e con un chiaro e convinto endorsement dei vertici aziendali. “Abbiamo messo attorno a un tavolo diversi stakeholder interni, dal procurement al finance, dal legal all’organizzazione, e portato i nostri desiderata, frutto delle esperienze già maturate con le startup. Coinvolgere tutte le funzioni interessate e farne parte attiva sin dall’inizio è stato fondamentale e straordinariamente utile perché ciascuno ha dato il proprio contributo in termini di competenze specifiche”, ricorda Volterrani. “È l’unico modo per arrivare a una nuova procedura condivisa e poterla blindare”. “Ma senza il sostegno del nostro amministratore delegato, Renato Mazzoncini, questo non sarebbe stato possibile”, interviene Oungre. “Ciascuna parte aveva un mandato chiaro e una precisa responsabilità”.

Per arrivare a un risultato non è poi servito molto tempo, circa tre mesi: “il team di Innovation si è attivato in modo da agevolare il lavoro delle altre strutture, soprattutto nell’analisi delle proposte, facendo tesoro delle esperienze di altre corporate italiane e internazionali”.

Come superare le criticità del venture client

Le attività di venture clienting devono tenere in considerazione molti aspetti fra cui la qualifica del fornitore, la velocità nella risposta, il contratto snello, la firma digitale, i tempi dei pagamenti: temi noti fra chi fa innovazione in azienda e tra le startup. Ogni punto è un piccolo scoglio nel mare dell’organizzazione aziendale. E i tempi di una corporate possono essere disallineati con le necessità dell’operatività di una startup, per definizione agile e veloce ma anche fragile soprattutto nelle sue prime fasi di vita.

La qualifica della startup

Cominciamo dalla qualifica. La prima cosa è definire cosa si intende per startup, altrimenti il rischio è di usare lo strumento arbitrariamente. Bisogna, quindi, fissare dei criteri. Questi quelli stabiliti da A2A: meno di 10 anni di vita e di 150 dipendenti; fatturato inferiore ai 10 milioni di euro, nessuna distribuzione di utili.

“Il registro delle startup innovative non era sufficiente per individuare eventuali partner adatti allo startup kit, anche perché ci è capitato di trovare sul mercato PMI interessanti che rispondono ai requisiti, che magari non hanno seguito il percorso del previsto da quel registro. Inoltre avevamo bisogno di parametri applicabili anche all’estero dove il registro non c’è”, spiega Oungre.

La responsabilità che va in capo all’area Innovazione

Un fattore importante che permette di rendere efficace un’attività di venture client è la diversa attribuzione della responsabilità d’acquisto. Una volta approvato il modello con procedure e criteri oggettivi e vincoli, in A2A a “mettere la firma” è l’Head of Innovation, perchè la struttura di Innovazione è l’unica in azienda che può utilizzare lo strumento. Il procurement assume un ruolo più strategico, volto all’adozione delle soluzioni più promettenti, una volta concluse le sperimentazioni.

“Intestarci questa responsabilità è una delle premesse per essere veloci”, fa notare Oungre, che ricorda: “Anni fa discutendo con colleghi di altre aziende si diceva come una battuta: riusciremo a chiudere il contratto per un POC con una startup in 30 giorni. Da quella battuta che sembrava un’iperbole siamo arrivati a chiudere in una settimana”.

I tempi per il contratto e per i pagamenti

E qui andiamo alla questione dei tempi. Come si può arrivare a sottoscrivere un contratto in una settimana? Che poi non è tanto questione di un giorno in più o in meno ma di riuscire a passare dai sei mesi a un periodo accettabile per una startup, sia per cominciare sia per incassare.

Abbiamo visto che il primo fattore di velocità è la riduzione dei passaggi interni con la responsabilità in capo all’Innovazione. Poi c’è la firma digitale, che permette di gestire tutto il processo anche da remoto e senza passaggi di carta una volta che è stato standardizzato. “Nel 90% dei casi funziona, sono rari quelli in cui è necessario fare qualche modifica per gestire situazioni più complicate”, osserva Volterrani.

Il pagamento è un tasto ancora più dolente. Le aziende di solito, soprattutto in Italia, pagano a 60 giorni, se va bene ma arrivano anche a 120. Tempi talmente lunghi che, se nel frattempo non è fallita, la startup subisce tensioni di cassa. “Per rimediare abbiamo introdotto un anticipo al momento della firma, che per la startup è ossigeno”, racconta Oungre. “La formula che adottiamo è 50% dell’importo subito e il restante entro 30 giorni dalla conclusione del progetto”.

L’evoluzione del modello di venture client

Funziona lo startup kit? “Quando raccontiamo all’estero che riusciamo a chiudere un contratto con una startup in 7 giorni suscitiamo sorpresa e curiosità. In altri Paesi infatti non sempre c’è questa rapidità. Conosciamo ad esempio l’esperienza di startup italiane che hanno lavorato in Germania, dove l’ ecosistema è più grande ed evoluto del nostro ma i tempi restano ancora lunghi. Abbiamo quindi capito che il nostro modello può essere un reale elemento di differenziazione”, dice Oungre.

Ma anche l’innovazione ha bisogno di innovare. “Lo strumento funziona e quindi stiamo cominciando a pensare a uno startup kit 2.0”, ammette Oungre.

L’evoluzione serve per quelle aree di mercato regolate o industrie che sono assimilate al pubblico, in cui i vincoli sono più rigidi o in cui è necessario procedere tramite gara e fare un test diventa un difficoltoso.

“Il tema è emerso e se vogliamo mantenere la velocità bisogna pensare – coinvolgendo il legale e il procurement – a formule adeguate”. Sono questioni che riguardano aziende che gestiscono reti strategiche, nei trasporti e non solo, ma anche sevizi pubblici, quindi tutta l’area delle multiutility. Si entra nel terreno del codice degli appalti e delle certificazioni antimafia. Ma anche qui in molti casi si tratta di superare solo consuetudini e regolamenti interni. “Ci stiamo lavorando e sono certo che arriveremo a uno startup kit utile a fare prove di innovazione in qualsiasi contesto”.

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