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Come vincere le obiezioni in azienda? Innovare a piccoli passi e coinvolgere gli stakeholder



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Gli aventi diritto di veto sono più numerosi dei sostenitori del cambiamento. E non sempre basta l’endorsement dei vertici.meglio procedere gradualmente, per ridurre la percezione del rischio, e ricordare a tutti che “fatto è meglio che perfetto”

Pubblicato il 20 set 2024

Andrea Contri

Innovation Director



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Una volta un cacciatore di teste mi chiese perché stessi prendendo in considerazione nuove opportunità professionali: gli risposi che il mio datore di lavoro era molto avverso al rischio, per cui era difficile costruire qualcosa di veramente nuovo. Mi rispose: “Non è granché come motivazione: se vuoi guidare l’innovazione devi fare pace con il fatto che le imprese consolidate presenteranno sempre inerzia, ovunque tu vada”.

L’innovazione è una sfida interdisciplinare

Come ben catturato nel classico “Dilemma dell’innovatore” di Clayton Christensen (uno dei 5 libri sul consenso per l’innovazione consigliati da EconomyUp), coltivare una novità dirompente in ambito aziendale richiede la sperimentazione di approcci diversi da quelli che hanno portato al successo finora – sia che si parli di sviluppo prodotto, di go-to-market, di assistenza al cliente o di altro.

È una sfida interdisciplinare, che spesso necessita di supporto vitale da parte di numerose funzioni aziendali – ma come ottenerlo, visto che tipicamente le stesse sono ottimizzate per gestire il core business in modo efficiente e non hanno spazio per le distrazioni?

Gli aventi diritto di veto sono più numerosi dei sostenitori del cambiamento

Quando si chiamano in causa le risorse e le capacità interne di un’impresa, gli “aventi diritto di veto” saranno sempre più numerosi dei sostenitori del cambiamento. Gli stessi dipartimenti che possono determinare il successo o il fallimento di un progetto innovativo finiscono per essere quelli che portano avanti le obiezioni più forti: “Come faremo a implementare questa soluzione su larga scala?”, “Quanto contribuirà questo pilota ai miei obiettivi di vendita?”, “Come la mettiamo con il rischio reputazionale del fallimento?”.

Quando non basta il supporto dei vertici aziendali

In letteratura si evidenzia come il supporto da parte dei vertici aziendali sia una condizione necessaria per il successo delle iniziative di trasformazione, ma nella mia esperienza non sempre è sufficiente. Anche con il vento in poppa da parte di uno sponsor di prima linea, infatti, può capitare di incagliarsi sugli scogli dei “se” e dei “ma” sollevati dai colleghi posizionati sul percorso critico del progetto (senza necessariamente averne colpa).

In questi casi, un modo utile per mantenere la palla in movimento e non perdere l’abbrivio è ricordare a tutti con le parole e le azioni che “fatto è meglio che perfetto”, o come direbbe Voltaire “il meglio è nemico del bene”. Ciò non vuol dire rinunciare alla pianificazione strategica o lanciare sul mercato prototipi appena abbozzati, ma piuttosto evidenziare che non si sta cercando di perseguire tutti gli obiettivi nello stesso momento.

Procedere gradualmente per ridurre la percezione del rischio

Per ogni fase del ciclo di vita di un’innovazione c’è infatti un traguardo primario, più importante degli altri per generare apprendimento e sbloccare la fase successiva: ad esempio la validazione di un bisogno del cliente, l’analisi della fattibilità tecnica di una soluzione, o il test delle ipotesi più rischiose per la sostenibilità economica.

Sia che un’azienda gestisca i progetti in modalità agile che waterfall, contestualizzare il contributo di ciascuno stakeholder nel quadro di un rilascio graduale di risorse permette di ridurre la percezione del rischio complessivo e ridimensionare le obiezioni premature.

Certo, non tutte le resistenze interne si possono vincere in questo modo: penso ad esempio alle tematiche di compliance nei settori più regolamentati. Per questo motivo, un sano orientamento all’azione deve sempre accompagnarsi al confronto con chi detiene la conoscenza approfondita del settore di riferimento, gestendone con cura le aspettative (per evitare la classica sindrome del “not invented here”) e coltivando un coinvolgimento graduale nelle progettualità innovative man mano che queste superano le fasi embrionali.

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