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Fabrizio Capobianco: “Voglio mandare startup italiane a Y Combinator. Ecco come farò”



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Fabrizio Capobianco, dopo oltre 20 anni di esperienza in Silicon Valley, lancia in Valtellina con Banca Popolare di Sondrio Liquid Factory. Obiettivo: fondare e far crescere startup con il modello americano. Qui racconta perché lo fa, come e che cosa cerca

Pubblicato il 17 set 2024



Fabrizio Capobianco
Fabrizio Capobianco

A volte tornano. Fabrizio Capobianco era partito dalla Valtellina (via Pavia) verso la Silicon Valley oltre 20 anni fa. Vent’anni di esperienza tra big tech (HP, Tibco, Reuters) e startups (ha lanciato Funambol e TOK.tv, poi ceduta a Minerva Networks di cui oggi è Chief Innovation Officer). Due anni fa è rientrato in Italia. Ma non ha dimenticato la Valtellina. E neanche la Silicon Valley e le sue ambizioni.

Adesso Fabrizio Capobianco è pronto con il progetto di give back cui ha lavorato sotto traccia in questi ultimi 24 mesi, nel quale intende condensare tutto quello che ha imparato su fondare e fare crescere startup in Silicon Valley. Si chiama Liquid Factory. 

Conosco Fabrizio Capobianco da tempo immemore. Abbiamo studiato insieme all’Almo Collegio Borromeo, co-fondato 3 startup (tra cui Funambol). Gli darò, ovviamente, una mano anche per Liquid Factory come Board Member

Che cosa intendi fare, Fabrizio?

Creare unicorni con piedi in Italia, anzi in Valtellina. 

Il modello è quello delle Dual Companiy che abbiamo perfezionato con Funambol e TOK.tv. Testa (CEO) in Silicon Valley, occupazione (di qualità) in Italia. Aziende 100% remote, liquide.

Perché serve una cosa del genere?

Perché sono 20 anni che faccio questo mestiere, ma non lo ho ancora visto succedere. 

Gli unici casi di successo italiani sono aziende non italiane. Kong, Sysdig e Nozomi Networks sono aziende della Silicon Valley, con genio italiano. Ma a livello di occupazione c’è solo una piccola frazione della base dipendenti. Il valore è creato altrove.

Fabrizio Capobianco al Burning Man

Che cosa ti spinge a farlo?

Sono stato 23 anni in Silicon Valley e ho fatto aziende in Silicon Valley (la splendida Nadia Toffa mi chiamava il “Super Nonno delle startup italiane della Silicon Valley”). Sono uno dei primi investitori in Kong e ho aiutato tante altre startup. Le conosco da dentro. Credo di sapere come funzioni il meccanismo, o almeno posso provare, con cognizione di causa, a evitare tutti gli errori che ho fatto e visto fare. 

Come farlo succedere?

Voglio mandare startup italiane a Y Combinator (YC). Perché YC è, per distanza, il migliore acceleratore al mondo così come la Silicon Valley è il più grande creatore rapido e seriale di unicorni al mondo.

In una frase: YC è l’acceleratore seriale della piattaforma seriale di innovazione del mondo. Dobbiamo essere ambiziosi. Vogliamo costruire startup progettate per entrare a YC, idee folli che cambiano il mondo. Perché nelle finestre di tecnologia che ci sono oggi non puoi perdere un minuto. E YC è il razzo che ti porta sulla luna.

Per farlo ho bisogno di volumi di deal flow di qualità costruito per essere scalabile in Silicon Valley.

Abbiamo raccolto grazie alla Banca Popolare di Sondrio 4 milioni di euro (che diventeranno 5). Fonderemo 20 società portando in Valtellina 20 founder che aiuteremo grazie ad un team di italiani che conoscono bene la Silicon Valley, non per esserci stati in vacanza (oltre a te, Folini, Daste, Zonca, …). Una su 4 (o 5) ce la può fare.

Dal punto di vista del calcolo finanziario noi ci mettiamo 200K per progetto ad una valutazione giusta (1 milione) senza clausole capestre tipo “però me ne dai indietro 100k in servizi…”. La media del “pre-money” del demo day di YC è 20 milioni. Quindi, se vinciamo, facciamo 20x giocando sull’arbitraggio tra Silicon Valley e Europa. Ma remuneriamo gli imprenditori al valore giusto (cosa che in Italia facciamo fatica a fare perché se valuti un pre-seed a 1 milione e fai una exit a 1.5 milioni – quando ti va bene – è un disastro). La realtà è che è in Italia le valutazioni sono compresse perché il mercato delle exit è atrofizzato (i Musixmatch e Jobrapido si contano sulle dita di una mano e hanno tutti venduto fuori dal Bel Paese).

Chi cerchi?

Giovani, bravi e ambiziosi. Gente di 23 anni (l’eta’ in cui ho fondato la mia prima startup) che in Italia oggi contano zero. E non gli dà i soldi nessuno. Gente con idee folli. Sono quelli che hanno la visione e le energie per cambiare il mondo e a cui la Silicon Valley dà primaria attenzione (dai dati degli ultimi batch l’età media a YC è scesa ancora di più).

Se sei ambizioso, sai comunicare emozioni in inglese, sei il mio target.

Deve avere una idea?

Meglio, ma non necessariamente per diversi motivi:

  • Le idee ce le hanno tutti, ma quelle buone sono quelle che scalano (99% perspiration, 1% inspiration). In America le idee le pagano “a dime a dozen”, meno delle uova.
  • L’unico motore che conta è l’ambizione. Le idee buone sono quelle scalabili e fundable.
  • Di idee ne abbiamo tante anche noi, e, se serve, le regaliamo volentieri.

Ambiti?

Cloud, SAS, Gen AI. Quello che importa è fare aziende globali.

Da ultimo perché la Valtellina?

Sono di parte, ma Boulder in Colorado è il posto dove chi vuole fare l’imprenditore tech e ama la montagna va a fare l’università e crea startup (c’è University of Colorado e lì è nato Techstars). Ci serve una Boulder europea. Credo che l’insieme degli imprenditori e l’insieme degli amanti della montagna si intersechino bene. Chiedete a Loris Degioanni (Sysdig) e Marco Marinucci (Mind the Bridge) che, appena possono, fanno sci alpinismo a Tahoe.

D’altronde, se il tuo suo sogno è stare in spiaggia, il massimo di imprenditoriale che puoi fare è aprire un chiringuito. E, a memoria, non ho mai visto scalare un chiringuito.

Le aziende di servizi (che sono purtroppo la gran parte delle startup iscritte al registro) non scalano. Le montagne si scalano.

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