Nel nostro immaginario collettivo, ogni prodotto o impresa di successo inizia la propria vita come una umile ma potente idea.
Le idee sono una materia prima fondamentale nelle pratiche di gestione dell’innovazione, per cui giustamente si spendono molte energie per farle uscire allo scoperto, in modo da poterle poi valutare, sviluppare, arricchire e prioritizzare.
Idee e innovazione, il momento della verità
Quindi, la fase di ideazione è spesso uno dei punti di partenza nelle attività di innovazione aziendale, dove può prendere le forme più diverse: laboratori per lo sviluppo di nuove value proposition di prodotto o servizio; ricerca e selezione di startup con cui collaborare o su cui investire; incentivazione di iniziative imprenditoriali da parte dei dipendenti (cosiddetta intrapreneurship); call interne o esterne per indirizzare specifiche tematiche operative e di business; hackathon in cui giovani programmatori caffeinati sviluppano prototipi digitali, e via dicendo.
All’avvio di ogni fase di ideazione si generano grande entusiasmo e aspettativa, fino ad arrivare puntualmente al momento della verità: si radunano i dirigenti, si presentano i pitch, si consegnano i premi, si tirano le somme… ed è proprio a questo punto che, il più delle volte, i vertici aziendali non appaiono particolarmente entusiasti delle proposte che si trovano davanti.
Idee e innovazione, il rischio di sprecare tempo
“Cosa vi aspettavate?”, si potrebbe chiedere loro, al che una risposta tipica sarebbe: “Non ne sono sicuro… lo riconoscerò quando lo vedrò”. Anche laddove i decisori non siano così espliciti, spesso questo atteggiamento si traduce in un supporto tiepido alle successive fasi di sperimentazione e implementazione o, peggio, in un nulla di fatto che obbliga a ripartire da capo.
Sebbene occuparsi di innovazione significhi essere pronti a rimettersi continuamente in discussione, è sicuramente meglio evitare di sprecare tempo e risorse ove possibile – motivo per cui ho sempre trovato utile non partire effettivamente dall’ideazione. Del resto, i princìpi del design incoraggiano a concentrarsi sulla comprensione profonda del problema prima di gettarsi a capofitto sullo sviluppo delle soluzioni, come suggeriscono ad esempio il classico Double Diamond Framework e le sue iterazioni più recenti.
Il challenge statement, partire dalle sfide di business
Un buon punto di partenza per quelle progettualità di innovazione che mirano ad avere un impatto aziendale strategico e duraturo è il challenge statement, ovvero una definizione snella ma chiara delle sfide su cui ci si intende concentrare. Ciò permette di collegare gli sforzi di innovazione agli esiti di business desiderati, rendendo più semplice il coinvolgimento dei vertici aziendali e l’allocazione delle risorse necessarie, ma soprattutto costringendo tutti gli attori coinvolti a cominciare a visualizzare che aspetto avrà il successo dell’iniziativa.
Come fare un challenge statement per innovare in azienda
Ad esempio: si vuole sperimentare un nuovo modello di business, esplorare l’allargamento del territorio di un marchio, rinforzare il proprio vantaggio competitivo in termini di proprietà intellettuale, o altro? Ci si concentrerà più sullo sviluppo di nuovi ricavi (top line) o sulla generazione di efficienze di costo (bottom line)? Quanto ci si potrà allontanare dall’ambito di mercato primario dell’impresa?
Uno statement utile non è troppo ampio – è molto facile scadere nel vago – ma non è neanche troppo ancorato agli obiettivi quantitativi dell’attività principale, per i quali l’impresa dispone già di conoscenza, dati storici e benchmark di settore che invece mancano per definizione negli ambiti innovativi. Inoltre, non è scolpito nella pietra: vale la pena rimetterlo in discussione almeno una volta all’anno, per fare i conti con i cambiamenti delle condizioni di mercato, l’accumulazione di quanto appreso sperimentando, e le evoluzioni della strategia aziendale.