L'INTERVISTA

Matteo Bevilacqua (wefox Italy): con il digitale avremo servizi assicurativi personalizzati per tutti

Nato nel 2015 e entrato in Italia nel 2021 con l’acquisizione di Mansutti, wefox ha da qualche mese ricevuto nuovi fondi e una linea di credito da due importanti banche. “E’ un riconoscimento della bontà del modello di business” dice il Coutry Head Italy Bevilacqua, che ci racconta il percorso e i prossimi obiettivi

Aggiornato il 26 Lug 2023

Matteo Bevilacqua, Country Head wefox Italy

“Il digitale non è un competitor, ma un grande strumento per l’intermediario assicurativo: aiuterà a offrire alle persone quel tipo di servizio personalizzato che, per motivi di costi, era prima accessibile solo ai grandi clienti industriali.” Ne è convinto Matteo Bevilacqua, Country Head di wefox Italy. Nato nel 2015, l’unicorno insurtech tedesco è entrato in Italia nel 2021 tramite l’acquisizione dello storico broker Mansutti, che gli ha permesso di fare sua l’esperienza di professionisti del mercato italiano come Bevilacqua.

wefox fa della costruzione di un ecosistema digitale per il mercato assicurativo la sua mission: ha da poco annunciato una nuova partnership con GATE (Green & Advanced Transport Ecosystem), società fondata dal Gruppo IVECO, per offrire soluzioni digitali pay-per-use per il noleggio di veicoli commerciali elettrici. Solo una delle tante che saranno presto rese pubbliche, ha anticipato Bevilacqua a InsuranceUp.

Dal suo lancio, wefox ha raddoppiato i ricavi ogni anno fino ai 580 milioni di dollari nel 2022, servendo più di 2 milioni di clienti in Austria, Germania, Italia, Polonia, Paesi Bassi e Svizzera, e ha oggi una valutazione di 4,5 miliardi di dollari. Il suo modello continua a collezionare segni di interesse e fiducia da parte del mercato: è arrivato di recente un secondo closing da 55 milioni di dollari del megaround da 400 milioni del 2022, accompagnato da una linea di credito da altri 55 milioni da parte di due grandi banche.

Oggi wefox è uno dei maggiori unicorni insurtech nel panorama europeo. Quali sono gli ingredienti del suo successo?

La caratteristica principale di wefox è quella di essere un ecosistema, quindi avere come obiettivo connettere in maniera digitale tutti gli operatori del mercato assicurativo.

Il nostro mantra è “digitalizzare non vuol dire disintermediare”. Questo ci pone in una posizione di collaborazione invece che di competizione con il resto del mercato.

A maggio avete ottenuto un secondo closing da 110 milioni di dollari legato al già cospicuo round di serie D da 400 milioni chiuso l’anno scorso. Cosa ha portato ai nuovi fondi?

Lo scarto temporale è dovuto principalmente a un tema di timing con alcuni interlocutori. L’estensione del round ha visto l’entrata di J.P. Morgan e Barclays, dunque operatori bancari che, pur avendo mostrato interesse dall’inizio, hanno tempi più lunghi per prendere determinate decisioni. Questa chiusura è stata agevolata anche dalla performance positiva del primo trimestre di quest’anno.

A differenza dei precedenti, l’ultimo finanziamento è infatti diviso tra debito ed equity, con una linea di credito di 55 milioni da J.P. Morgan e Barclays. Cosa significa questo per la crescita di wefox?

Si tratta di un elemento molto importante del nostro percorso di crescita. A differenza di un investitore, che può avere un approccio più o meno speculativo, una banca chiede tutta una serie di garanzie per concedere un prestito a una società, startup o compagnia matura che sia. L’ingresso di due banche ci dà quindi il cosiddetto “vote of confidence”, un riconoscimento della bontà del modello di business, del percorso e delle attività che stiamo portando avanti.

Come verranno utilizzati questi nuovi fondi?

Principalmente serviranno a sostenere due tipi di attività, che sono poi il nostro core business: l’investimento in tecnologie per lo sviluppo della nostra piattaforma, tool digitali, capacità di analytics e via dicendo, e il rafforzamento della nostra attività assicurativa e distributiva.

Quali sono i prossimi step per arrivare all’obiettivo redditività?

wefox è composta da tante reti locali unite da una struttura globale. L’aspetto più importante su cui ci stiamo concentrando è lo sviluppo del business, in particolare sviluppando ed esportando le competenze che abbiamo in ogni Paese negli altri.

Per esempio, abbiamo da poco lanciato un team Affinity internazionale. In Italia abbiamo già un team dedicato molto affiatato e competente, stiamo ora esportando queste competenze in tutto il gruppo.

C’è poi un tema di attenzione ai costi, ma il nostro obiettivo principale è da una parte la crescita del fatturato legato allo sviluppo del mondo Affinity e del canale broker, dall’altra il trasferimento delle competenze per efficientare processi e gestione della società nel suo complesso.

Una volta chiusa l’espansione in Europa, stiamo poi ragionando se puntare su Asia o Stati Uniti come primo mercato extra-europeo, ma si tratterà di un passo successivo.

Parliamo di wefox in Italia: come sta andando?

Siamo molto contenti, abbiamo fatto una grossa riorganizzazione del gruppo in seguito alla fusione Mansutti-wefox nel 2021.

Da un punto di vista di business siamo concentrati su due aree. La prima è il segmento Affinity, come dicevo, dove stiamo chiudendo alcune partnership che presto saranno annunciate (tra queste quella con GATE del Gruppo IVECO ndA). Lavoriamo principalmente con il settore automotive, ma ci stiamo espandendo anche su banking, telecomunicazioni, energia e sport.

Stiamo sviluppando il canale distributivo tramite intermediari: è un canale nuovo per l’Italia ma sta riscuotendo molto successo. L’obiettivo è di arrivare a circa 500 entro la fine del 2024, puntiamo a sviluppare rapporti di collaborazioni molto stretti e solidi con un numero di intermediari relativamente piccolo.

Resta poi l’attività corporate e di broker tradizionale che abbiamo sviluppato come Mansutti in quasi 100 anni di storia in Italia, che costituisce la terza gamba del mercato italiano.

Come vedete il panorama insurtech italiano nel suo complesso?

Il panorama insurtech italiano si è molto evoluto negli ultimi anni.

Solo pochi anni fa si vedevano molti progetti di compagnia fortemente focalizzati sulla parte di disintermediazione e nascevano insurtech che puntavano alla vendita diretta ai clienti tramite piattaforme digitali. Queste soluzioni si sono dimostrate incompatibili con il mercato italiano. Non solo perché è ancora un mercato poco digitalizzato, ma perché per sua natura il prodotto assicurativo necessita di una presenza consulenziale: il cliente si aspetta di discutere e approfondire con un esperto prima di firmare un contratto che, potenzialmente, può essere molto importante per la vita familiare o aziendale.

Vedo però che sempre di più il mercato sta ora seguendo la nostra logica, dove la digitalizzazione è uno strumento a supporto dell’intermediazione tradizionale, per renderla più efficiente, sicura e veloce nel raggiungere, dialogare e scambiare informazioni con il cliente.

E questo cosa significa?

Significa che la digitalizzazione aprirà la strada a una fetta di mercato oggi poco “interessante”, ovvero quello della linea persona. Quando una compagnia affronta un cliente industriale può mettere in campo una serie di risorse e ore di lavoro che, per un tema di costi, non sarebbero sostenibili sul cliente persona. Il risultato è che oggi in Italia il 99% delle persone è sotto assicurata, con polizze forse solo per la RC auto.

La digitalizzazione permetterà di colmare questo gap e trasformare questa parte del mercato, rendendola più interessante per aziende strutturate con grandi competenze e prodotti di qualità, con vantaggi economici per il cliente e costi sostenibili per le aziende. Questo potrebbe portare all’obiettivo finale, anche sociale, di aiutare il cosiddetto uomo o donna della strada ad avere una tutela e una copertura a 360° verso i rischi quotidiani.

Articolo originariamente pubblicato il 26 Lug 2023

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Maura Valentini
Maura Valentini
Junior Editor

Laureata in lingue orientali, sono un'amante di Giappone e innovazione. Parte del gruppo Digital360 dal 2020, scrivo per le testate EconomyUp, InsuranceUp e Proptech360.

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