Il caso Cambridge Analytica ha portato all’attenzione di tutti gli utenti internet, e non solo degli esperti, la spinosa questione della gestione dei dati degli utenti raccolti online, utilizzati fino a oggi da molte società in modo più che disinvolto per trarne profitto. L’Europa, che è sempre stata sul tema privacy molto più blindata rispetto ad altri contesti, USA per esempio, con il GDPR si è ulteriormente rafforzata in un cammino di regolamentazione e sensibilizzazione rispetto al trattamento dei dati personali. Dati che ogni cittadino deve oggi imparare a gestire con criterio, anche perché sono in un certo senso una sorta di moneta di scambio. Se fino a oggi abbiamo ingenuamente pensato che avere una mail di Google o l’account su un social come Facebook fosse davvero gratuito, adesso possiamo ricrederci, in realtà stiamo pagando con i nostri dati. Di questo sono sempre più consapevoli le giovani generazioni.
Secondo uno studio globale di Mulesoft (Salesforce) riportato da Bloomberg, la maggior parte dei giovani tra i 18 e i 34 anni sarebbe pronta a concedere alle Compagnie di assicurazione di avere libero accesso ai propri dati digitali se ciò comportasse una riduzione dei premi assicurativi e una personalizzazione del servizio.
Il 62% di questa fascia d’età ha detto che sarebbero addirittura felici che gli assicuratori usassero anche i dati generati per mezzo di terzi parti come Facebook, dispositivi per il fitness, o dispositivi smart-home, purché ne scaturisca per loro un vantaggio concreto, ovvero un costo della polizza più basso, un miglioramento nella prestazione. Nelle generazioni più anziane, tale percentuale scende al 44%.
Il 45% delle persone tra 35 e 54 anni è abbastanza disponibile a consentire agli assicuratori un ampio accesso alla propria identità digitale, mentre solo il 27% degli over 55 anni lo farebbe.
Gli assicuratori stanno investendo milioni di euro per migliorare la propria offerta digitale in un contesto di crescente concorrenza da parte delle startup insurtech. Ma secondo lo studio sono ancora lontani dalla meta: il 58% degli intervistati ha dichiarato che i sistemi digitali della propria Compagnia assicurativa non funzionano ancora benissimo, e ci sono molte difficoltà a compilare, per esempio, un modulo online. Infatti, il 56% ha affermato di essere pronto a cambiare operatore se il servizio digitale non migliorerà.
“Gli assicuratori stanno già faticando per offrire un’esperienza digitale ai propri clienti”, ha dichiarato Jerome Bugnet, di MuleSoft. “Questo, prima ancora di includere tutte queste nuove fonti di dati nell’equazione”.
Big data, grande opportunità, ma quante Compagnie lo hanno capito?
In effetti anche la nuova ricerca “Big Data & Regulation” del Digital Insurance Hub, promosso da Cetif in collaborazione con CRIF e RGI, mostra che nel contesto italiano solo il 35% delle Compagnie sta investendo nell’implementaione di progettualità in ambito Big Data & Analytics. La maggior parte di queste non ha però un vero e proprio piano strutturale, un piano industriale basato su un approccio data-driven, solo l’11% delle Compagnie analizzate sostiene di avere adottato questo tipo di strategia.
Frutto di questa visione per niente ‘olistica’ del tema Big Data, il fatto che, sempre secondo la ricerca Cetif, il 58% delle medesime Compagnie offra polizze abbinate a device IoT. Se si raffronta con il 35% che sostiene di investire in progettualità Big Data & Analytics, si rileva un gap che dimostra che alcune Compagnie, pur avendo a disposizione una fonte dati che permette di raccogliere numerose informazioni sulle abitudini dei propri assicurati come l’IoT, non sono ancora strutturate per cogliere tutte le opportunità che derivano dal proprio patrimonio informativo.