Wearable al CES 2016, molto fitness e poco healthcare

I dispositivi indossabili ruotano oggi intorno al fitness, ma siamo solo agli esordi di una nuova piattaforma di comunicazione con il cliente che anche le assicurazioni dovranno inserire nelle proprie strategie digitali.

Pubblicato il 18 Gen 2016

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Nelle ultime edizioni del Consumer Electronic Show di Las Vegas i wearable hanno avuto la loro buona parte di gloria, inizialmente in quanto novità, poi l’attenzione si è focalizzata sul “perchè e per come” dei dispositivi indossabili. Anche l’edizione appena passata (di cui abbiamo già parlato in questo e questo articolo) si è conclusa con tanti lanci di nuovi prodotti e tutto al momento gira ancora intorno al fitness. Ma si conferma che il settore è in piena evoluzione, sta maturando e sarà molto variegato.

Al CES 2016 si è parlato meno di smartwatch e più di fitness tracker. Anche il nuovo FitBit Blaze che ha esordito tempo fa come concorrente dell”Apple Watch, dal CES in avanti preferisce essere definito uno “smart fitness watch”.

Emerge lo smath clothing, cioè la tecnologia wearable integrata nell’abbiagliamento, due esempi per tutti: il reggiseno sportivo chiamato OMbra, connesso in app allo smartphone e capace di registrare il battito cardiaco, le calorie, la distanze percorse, e una serie di altri parametri fisici. Sulla stessa falsariga, Belty, un assistente personale in formato cintura, a metà strada tra il personal trainer e la mamma, che ci indica di allungare il passo per bruciare di più, di bere un bicchiere d’acqua, di raddrizzare la postura. Ma si sono viste molte tipologie di scarpe, di maglie sportive, calzini.

Non sono mancati poi soluzioni più complesse e roboanti come quella di Under Armour (azienda di abbigliamento sportivo di Baltimora piuttosto nota in US che lo scorso anno ha acquisito una serie di startup di app per il fitness) e sviluppato insieme alla telco HTC. Chiamato HealthBox, il pacchetto contiene scarpe, banda elastica, bilancia, braccialetto, cuffiette, insomma una serie di articoli connessi tra loro volti a garantire la salute e il benessere dello sportivo in modo completo e 24 ore al giorno, costruendo intorno a lui un ecosistema di device. Feel, invece, è un braccialetto intelligente sviluppato da una startup: è dotato di sensori che misurano i segni vitali per arrivare a valutare le nostre emozioni e formulare raccomandazioni per migliorare lo stato d’animo della persona. Come un buon amico.

Grazie ai sensori di cui sono dotati, questo genere di device sono in grado prima di tutto di raccogliere dati fisici, cioè segnali del nostro corpo: perciò i principali settori di applicazione dei wearable al momento sono l’ambito fitness e l’healthcare.

In ambito healthcare vero e proprio, non si è visto molto al CES: siamo solo agli albori di una tecnologia che in ambito “salute” potrà fare davvero molto e che rappresenterà anche per le assicurazioni il principale caso d’uso. I dati personali forniti da un dispositivo indossabile permetteranno di offrire nuovi servizi alle assicurazioni e al tempo stesso di ottimizzare, personalizzare, la proposta contrattuale sulla base di un profilo dettagliato e di uno stile di vita.

Secondo un recente report della Consumer Technology Association americana, rilasciato in occasione del CES, le vendite totali tra wearable device e smartwatches, supereranno i 38 millioni di unità vendute nel 2016 negli US e raggiungeranno 1.3 miliardi di dollari di fatturato. IDC ha previsto il raggiungimento di oltre 126 milioni di unità globalmente entro il 2019. Si tratta di un’industria miliardaria e disruptive, piattaforma per lo sviluppo di nuove soluzioni, servizi evoluti e nuovi modelli di business.

Qualsiasi azienda (compresa quella assicurativa) rivolta al mondo consumer, oggi deve pensare ai wearable come 10 anni fa si pensava al mobile: un canale di comunicazione e coinvolgimento straordinario che deve essere preso in considerazione nell’ambito delle strategie digitali e di customer experience.

E’ noto che in Italia la digitalizzazione per le aziende è stato un processo difficile, ancora in atto, e persino le grandi realtà bancarie e assicurative (che hanno budget da investire) sono state lente nel capire e cogliere le opportunità offerte dai dispositivi mobile. Ma la lezione, si spera, sia stata imparata e ci si aspetta ora più prontezza nell’immaginare il futuro dei servizi e di opportunità basate sui wearable.

Certamente, non manca nel nostro Paese chi sviluppa tecnologie wearable di alto profilo, per esempio Horus Technology (di cui abbiamo parlato la scorsa settimana), Empatika, Wearable Robotics, Xmetrics.

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