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Ridurre gli sprechi mantenendo il benessere: un invito ai cittadini ma anche alle imprese



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Le aziende che promuoveranno consumi responsabili conquisteranno nuove fette di mercato. Un esempio virtuoso: la campagna di Patagonia che anni fa invitava a riparare i suoi prodotti prima di comprarne di nuovi. Ecco perché un consumo responsabile è importante per tutti, singoli e imprese

Pubblicato il 17 giu 2024

Paolo Braguzzi

Attivista del business for good



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Consumo responsabile: l'importanza di ridurre gli sprechi (Foto di Claudio Schwarz su Unsplash)

Considero gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile proposti dalle Nazioni Unite (i famosi SDG) come il miglior framework possibile a cui fare riferimento per capire ciò che serve all’Umanità per prosperare in un pianeta prospero. Non è perfetto, ci sta il criticarlo, ma nella sostanza è diventata una bussola insostituibile. Fra gli SDG, il dodicesimo è definito come “Consumo e produzione responsabili”. Come si dice nel sito ufficiale delle Nazioni Unite, “il consumo e la produzione sostenibile puntano a ‘fare di più e meglio con meno’”’, …. attraverso la riduzione dell’impiego di risorse,  …. Ciò richiede inoltre di coinvolgere i consumatori in iniziative di sensibilizzazione al consumo e a stili di vita sostenibili …”.

La domanda che non ci si può non fare dopo avere letto questa descrizione è:” Ma il consumo responsabile, al punto in cui siamo arrivati, per intenderci quello in cui l’umanità consuma in 7 mesi tutto quello che il pianeta produce in un anno, è compatibile con la crescita?”.

Ammetto che da parte mia ho avuto un pregiudizio sul concetto di decrescita e in particolare su quello di decrescita felice.

Questo pregiudizio è stato scalfito da Kate Raworth e dalla sua Economia della Ciambella, un modello economico che propone un’alternativa a quello corrente mettendo in discussione l’idea che l’economia possa crescere all’infinito e proponendo un approccio di agnosticismo verso la crescita stessa. Ecco il suo TED talk il cui titolo è emblematico: “Una economia sana dovrebbe essere disegnata per prosperare, non per crescere”:

A healthy economy should be designed to thrive, not grow | Kate Raworth

Il primo modo per affrontare questa tematica è chiedersi di quale crescita stiamo parlando. 

Si può mantenere il proprio benessere senza far crescere il PIL?

Quella dell’economia, misurata attraverso il PIL (prodotto interno lordo), rappresenta di fatto il mantra che da più di 50 anni caratterizza le aspirazioni dei governi di praticamente tutti i paesi del mondo, di fatto privilegiando la crescita economica rispetto a quella del benessere.  D’altra parte sembra difficile pensare che il PIL mondiale non cresca ancora, tenendo conto che i consumi nei paesi in via di sviluppo sono ancora molto più bassi di quelli dei paesi sviluppati e che nei prossimi 30 anni arriveranno altri due miliardi di essere umani sul pianeta, peraltro concentrati proprio in quei paesi. Il punto è che il pianeta non ha le risorse per sopportare questa crescita. Ammettendolo, diventa necessario porsi una domanda: “Si può separare la soddisfazione dei bisogni dal consumo di risorse?” e ancora: “Si può mantenere il proprio benessere senza far crescere il PIL?”.

La mia risposta è un sì convinto, a entrambe le domande. Di sicuro non è realistico pensare ad una riduzione dei consumi nei paesi in via di sviluppo, e non sarebbe nemmeno giusto. Ma nei paesi più sviluppati la questione è meramente culturale e basterebbe, si fa per dire, utilizzare minori quantità di ciò di cui si ha necessità e usare fino in fondo ciò che si possiede. E in più giocare il bonus, e cioè l’economia circolare, che permette di produrre senza fare ricorso a risorse “vergini”, poco importa se di origine naturale o minerale, perché le prime non sono sufficienti a soddisfare la voracità della nostra specie e anche le seconde non sono inesauribili.

L’importanza di ridurre gli sprechi

Sul primo fronte, l’utilizzo di minori quantità, la strategia non è di rinunciare a consumare ciò che serve, ma di ridurre gli sprechi. Secondo le stime della FAO nel mondo viene perso o sprecato circa un terzo del cibo che viene prodotto. Se ridurre questo spreco non può risolvere il problema della fame, perché lo spreco avviene secondo modalità e in luoghi diversi da dove il cibo sarebbe necessario, può invece ridurre in modo significativo l’impatto della produzione di quel cibo che andrà sprecato, il che comporta un minore uso di risorse di tutti i tipi, dall’acqua all’energia, senza contare i benefici di un minor ricorso a pesticidi e fertilizzanti. Da parte mia, mentre ammetto di non essere nato con un “cuore verde”, posso vantare di avere coltivato sin da bambino una grande attenzione ad evitare ogni forma di spreco, grazie all’essere cresciuto in una famiglia che avendo vissuto due guerre sapeva bene così volesse dire non avere da mangiare (o mangiare per mesi solo polenta e mele). Mia nonna, sino a quando è mancata, ha sempre voluto avere la dispensa piena di zucchero, sale, pasta e olio, perché non si sa mai … L’abbondanza, quella di cui nella sostanza gode una larga parte della popolazione nei paesi sviluppati, crea invece in modo naturale la tendenza allo spreco, abbastanza da far buttare un terzo del cibo che viene prodotto!

Sul secondo fronte, usare fino in fondo, si sono invece affermate abitudini di consumo che portano a sostituire beni ben prima che la loro funzionalità sia definitivamente compromessa. Queste abitudini sono state stimolate da quelle imprese, o da interi settori, che hanno adottato un approccio sostanzialmente manipolativo al marketing, per non parlare ovviamente della vera e propria obsolescenza programmata. E questo si è aggiunto al fatto che in condizioni di abbondanza è molto più facile buttare che riparare, e acquistare prodotti sostitutivi prima che quelli già disponibili abbiano effettivamente finito la propria vita utile. Il che comporta utilizzare nuovi materiali, che da qualche parte devono essere estratti e trasformati, con il conseguente uso di risorse.

È evidente che in entrambi i casi, ridurre gli sprechi e usare i prodotti fino in fondo, non si tratta di rinunciare a soddisfare i propri bisogni, ma essere più responsabili nel farlo.

Come ridurre l’uso delle risorse mantenendo il benessere: gli esempi

Ecco qualche semplice esempio di come pur con qualche sforzo si possa mantenere il proprio benessere riducendo l’uso delle risorse che lo generano.

Per quanto riguarda il cibo basta fare più attenzione alle date di scadenza (senza considerare che il “best before” non vuol dire che un prodotto non possa essere più consumato “after”), sia quando si acquista che quando il prodotto è già in casa. In attesa che tutti i frigoriferi diventino intelligenti, si può utilizzare una delle app che ci ricordano cosa sta scadendo e quando. In questo articolo se ne trovano alcune: App per non sprecare cibo

O ancora si possono privilegiare le ricariche in tutti i settori in cui iniziano ad essere disponibili o comunque rifiutare i prodotti che fanno un uso eccessivo di materiali di confezionamento, privilegiando quelli “nudi” o quasi.

E per quanto riguarda tutto quello che è tecnologico, si può andare alla ricerca di chi può riparare il bene piuttosto che doverlo sostituire. Spesso è difficile, richiede tempo e ha costi elevati, ma altrettanto spesso lo si può fare e la nuova coraggiosa normativa europea sul diritto alla riparazione lo renderà sempre più possibile.

Ora, tutto questo discorso sembra rivolto ai cittadini/consumatori anziché alle imprese. Non è così. Quelle che promuoveranno consumi responsabili, oltre a fare la cosa giusta per l’umanità e il pianeta, conquisteranno infatti nuove fette di mercato, spinte dal vento favorevole che la società e le norme stanno creando. E dopo la campagna di Patagonia che anni fa invitava a non comperare i suoi prodotti, ma a ripararli prima, aspetto qualche impresa coraggiosa che parlando del proprio prodotto dica ai suoi clienti: “Comprane meno, usalo sino alla fine”!

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