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Economie virtuali: come nascono, cosa sono, il ruolo di metaverso e blockchain

L’anno scorso sono stati spesi 54 miliardi di dollari in prodotti e servizi virtuali: è il frutto delle economie virtuali. Ecco come funzionano, quali bisogni creano, perché nascono dal gaming e si estendono a Metaverso e Blockchain

Pubblicato il 21 Set 2023

Economie virtuali

Torniamo a parlare di mondi sociali virtuali, quegli enormi videogiochi multiplayer online che sono diventati dei veri e propri “luoghi virtuali”, dove giovani e giovanissimi passano il tempo divertendosi e socializzando tra di loro. Oggi questi i luoghi sociali virtuali rappresentano a tutti gli effetti le nuove frontiere dell’economia virtuale, un’economia dove vengono comprati e venduti tra gli utenti prodotti, servizi, esperienze. Parliamo quindi di proprietà digitale, uno dei sei pilastri del metaverso (come accennato in un precedente articolo), che permette di muovere enormi investimenti e capitali, e di interessare industrie all’apparenza decisamente poco “gaming” come quelle della moda o del lusso. Ma andiamo con ordine.

Le nuove economie virtuali

Sempre più persone, in particolare le nuove generazioni, passano gran parte del proprio tempo libero all’interno di questi nuovi mondi virtuali, nei quali – di conseguenza – replicano tutte le dinamiche sociali tipiche della dimensione reale. Se ci pensiamo infatti, oltre a soddisfare i bisogni primari legati alla natura e alla fisiologia umana (il cibo, un riparo, la salute, ecc. ecc.), l’essere umano compra principalmente beni e servizi secondari per motivi molto meno “esistenziali”, e questo avviene anche nel metaverso. Alla base di gran parte degli acquisti, infatti, c’è il bisogno di esprimere la propria identità personale, il proprio estro/creatività, oppure l’esigenza di mostrare il proprio status, o di appartenere ad una determinata community, sentirsi “parte di un gruppo”. Un altro bisogno tipicamente secondario è quello del collezionismo, cioè la necessità delle persone di collezionare oggetti per il puro gusto e piacere di… collezionarli. È un bisogno sicuramente poco “esistenziale”, ma decisamente diffuso, basti pensare a chi come me colleziona pipe (sì, pipe) o libri, o magari anche macchine sportive d’epoca, un hobby quest’ultimo che potrei permettermi solo nel metaverso (forse). Si tratta infatti di bisogni intimamente legati alla natura umana, e come tale si ripresentano ovunque gli esseri umani passano del tempo in compagnia, quindi anche all’interno dei mondi virtuali. Un ragazzino che, ad esempio, acquista le nuove scarpe Nike Air Jordan per essere parte del gruppo dei “fighi” quando va a scuola, replicherà probabilmente la stessa scelta d’acquisto nei mondi sociali virtuali, che frequenta con gli stessi amici della classe. Il bisogno di esprimere sé stessi, il bisogno di dichiarare il proprio status attraverso simboli e oggetti, il bisogno di appartenere ad un gruppo o ad una categoria, il collezionismo: sono tutti bisogni secondari che attivano la necessità di spendere soldi anche nel metaverso, abilitando quindi queste nuove economie virtuali. E il caso delle Nike Air Jordan è esemplificativo, perché rientra in tutte e quattro le tipologie.

I brand del lusso nel Metaverso

I brand di moda e del lusso, infatti, sono stati i primi ad entrare nel metaverso, in quanto sono in grado di rispondere “by design” ai quattro bisogni precedentemente elencati: alla fine sono nati per quello. Si tratta dunque di una tipologia di prodotti che facilmente si adatta ad entrare nei mondi virtuali, dove, lo ricordiamo, non ci sono bisogni primari da soddisfare… in quanto già soddisfatti nel mondo reale. Parliamo proprio della cara vecchia Piramide di Maslow: nei mondi virtuali l’utente non si deve preoccupare di appagare le principali necessità fisiologiche come mangiare e dormire. Al contrario, può dedicarsi totalmente allo svago e al divertimento.

Economie virtuali: 54 miliardi di dollari spesi nel 2022

Spendendo del tempo all’interno di questi luoghi di intrattenimento e socializzazione, i consumatori sviluppano nuovi bisogni secondari, che portano così a far crescere e ad alimentare le stesse economie virtuali. Secondo un report di McKinsey, l’anno scorso sono stati infatti spesi ben 54 miliardi di dollari in prodotti e servizi virtuali, come ad esempio le famose skin di Fortnite. Le economie virtuali, quindi, sono tutt’altro che un’invenzione o una nicchia: per centinaia di milioni di persone sono parte della quotidianità, e saranno sempre più un tassello fondamentale del nostro prossimo futuro. Certo, le economie nascono e hanno senso dove esistono i consumatori, non stupisce quindi che sia più difficile farle decollare in ecosistemi nuovi o in espansione. In particolare, lo sgonfiarsi dell’hype sul metaverso ha messo in difficoltà i mondi più giovani (come Decentraland o The Sandbox), mentre non ha assolutamente impattato le economie di quei mondi virtuali dalla community ben fidelizzata (come Fortnite o Roblox).

Economie virtuali centralizzate

Tradizionalmente queste economie virtuali, almeno quelle più storiche e utilizzate, sono economie “centralizzate”: nascono dal mondo del gaming, un ecosistema tecnologico con una sua storia, dove le aziende più importanti si sono sempre basate sulle tecnologie di pagamento tradizionali. In particolare, quando si parla di economie virtuali “centralizzate”, parliamo di ambiti dove un ente o un’organizzazione, generalmente un’azienda privata, garantisce il funzionamento dell’infrastruttura tecnologica e del mercato (dell’economia appunto) che si genera al suo interno. Anche nella realtà siamo abituati a vedere delle economie centralizzate: il fatto che possiamo spendere euro per comprare un caffè al bar la mattina è figlio anch’esso di un’economia centralizzata, che esiste grazie alla fiducia generata dall’esistenza di istituzioni come lo Stato e le Banche… centrali appunto. Nelle economie virtuali invece, essendo dei veri e propri mondi che nascono da zero, ed essendo tutti ancora oggi delle economie fondamentalmente chiuse (non comunicano tra loro), il ruolo del governo e della banca centrale viene assunto dal creatore del mondo, che è di base lo sviluppatore.

Come funzionano le economie virtuali dei videogiochi

Questo sistema deriva, come abbiamo detto, dal mondo dei videogiochi: ogni mondo ha un proprio governo centrale e una propria banca centrale che emette una sua moneta, moneta che spesso potete scambiare con moneta reale, euro o dollari. Basti pensare a Roblox, all’interno del quale è possibile comprare dei robux (la valuta virtuale utilizzata all’interno del gioco), con i quali è possibile acquistare prodotti e servizi. La gestione dell’intera economia è dunque nelle mani di chi ha creato il mondo virtuale, il quale guadagna a mo’ di intermediario ogni volta che avviene una transizione nel suo specifico ecosistema. Ma non è finita qui. C’è infatti un ulteriore livello di economia virtuale, e un ulteriore livello di intermediazione: parliamo del detentore dell’ecosistema hardware, cioè dell’ecosistema del dispositivo con il quale si accede a quel determinato mondo virtuale. Se accedo a Roblox da un dispositivo mobile dovrò passare da Google o Apple, sono infatti loro che governano tutte le applicazioni che si trovano all’interno dei nostri smartphone. Tutto ciò cosa comporta? Che l’utente dovrà sottostare alle loro regole, ma soprattutto che dovrà pagargli laute commissioni ogni volta che effettua una transazione. Insomma, ogni volta che un creator vuole vendere un bene o servizio digitale all’interno di queste economie (= dentro un’app qualsiasi), deve pagare delle commissioni sia al creatore del mondo virtuale (Roblox), sia al possessore dell’ecosistema hardware all’interno del quale quel mondo funziona (Apple o Google). Alla fine, spesso, gli restano pochi spiccioli: nel caso di Roblox ad esempio, al creator restano circa il 30% del prezzo a cui viene venduto il loro asset digitale.

Blockchain e decentralizzazione

Ma non si tratta soltanto di soldi. Gli ingegneri informatici lo definiscono “Single Point Of Failure” (SPOF): una vulnerabilità del sistema sotto forma di un singolo componente, in questo caso i server che rappresentano il cuore delle applicazioni – e quindi delle economie – centralizzate. Lo scopre a sue spese il giovane teenager Vitalik Buterin, un teenager appassionato di World of Warcraft (un celebre videogioco multiplayer, oggi qualcuno si avventurerebbe a chiamarlo “metaverso”), che per un crash di uno dei server del gioco in un singolo giorno perde ben tre anni di storia di gameplay e achievements. Da questo avvenimento il giovane Vitalik matura l’idea di creare un protocollo che permetta la decentralizzazione delle informazioni su più computer, in modalità sicura e scalabile: è quindi dalla storia di un crash di World of Warcraft che nasce Ethereum, il celebre protocollo basato sulla tecnologia Blockchain. Quest’ultima, grazie a questa decentralizzazione delle informazioni su più computer, permette la nascita di una economia decentralizzata… a prova di SPOF. Un’economia non più legata a una singola azienda privata, ma aperta e libera: l’economia decentralizzata funziona infatti in quanto la tecnologia alla base, la Blockchain appunto, è così sicura da poter garantire l’affidabilità dell’intero sistema economico anche in assenza di intermediari, di istituzioni centrali, di garanti. Nelle economie decentralizzate, l’ownership di un asset digitale non è garantito da Apple o Google, ma dalla tecnologia stessa.

Insomma, Blockchain e metaverso non sono due concetti necessariamente legati, ma sono due tecnologie che vivono bene insieme: nel metaverso si creano come abbiamo visto economie virtuali, e grazie alla blockchain queste economie possono vivere anche senza la dipendenza di un ente centralizzato che le controlla (e che si fa spesso pagare salato per farlo). La Blockchain, infatti, offre tutta una serie di strumenti già pronti per il funzionamento ideale di queste economie virtuali, utilizzando i quali vengono abbattuti i costi delle transazioni (non c’è infatti più bisogno di remunerare un “garante” centralizzato che spesso funge come abbiamo visto da intermediario). Questi strumenti sono le criptovalute, mezzi di pagamento universalmente accettati e riconosciuti come Bitcoin; sono gli NFT, dei certificati di identità digitale del dato che vengono utilizzati per creare oggetti virtuali unici, o comunque per innescare “scarsità” all’interno di un mondo, quello digitale, dove tutto è teoricamente copiabile all’infinito; sono gli smart contract, dei contratti automatizzati che garantiscono l’effettiva esecuzione delle transizioni all’avverarsi di determinate condizioni (ad es. il 30 del mese in automatico ricevo stipendio).

L’economia del metaverso, quindi, è un’economia virtuale che può utilizzare due tecnologie diverse: quella storica e centralizzata, legata all’universo del gaming e del digital tradizionale, e quella decentralizzata, dalle potenzialità enormi ma ancora poco diffusa, in quanto banalmente osteggiata dagli interessi di chi ha costruito rendite di posizione proprio sul concetto di centralizzazione del dato. Eppure, è facile immaginare che la Blockchain continuerà lentamente a crescere e diffondersi, banalmente perché si tratta di una tecnologia estremamente flessibile, in grado addirittura di offrire una potenziale soluzione al tema dell’interoperabilità tra mondi e economie virtuali, creando non tante economie separate ma una sola, unica, grande economia virtuale: la vera visione del metaverso, insomma.

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Lorenzo Cappannari
Lorenzo Cappannari

CEO e Co-Founder di AnotheReality, azienda specializzata dal 2016 nello sviluppo di soluzioni legate alle tecnologie del metaverso. È inoltre professore, divulgatore e autore di “Futuri Possibili, come il metaverso e le nuove tecnologie cambieranno la nostra vita”, edito in Italia per Giunti Editore. Hanno contribuito alla stesura di questo testo anche Antony Vitillo (in arte “Skarredghost”), Vincenzo Rana (CEO di Knobs), e Marco Giacalone (CEO di Giacalabs).

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