L'ANALISI

Industria auto europea, un primato a rischio: i tre scenari possibili

Con l’avvento dell’elettrico e la deglobalizzazione, l’industria dell’auto europea si trova davanti a tre possibilità: lasciarsi sorpassare da USA e Cina, mantenere lo status quo, o spingere sull’innovazione per difendere il suo primato. L’analisi BCG

Pubblicato il 10 Ago 2023

Industria auto europea

L’industria dell’auto europea è storicamente un settore prospero, spinto dal primato tecnologico, la presenza di marchi forti, l’efficienza produttiva e un contesto geopolitico favorevole. In futuro, però, con l’avvento dell’elettrico e la deglobalizzazione, il corso delle cose potrebbe cambiare.

Boston Consulting Group ha profilato tre scenari possibili: l’industria dell’auto europea potrebbe essere sorpassata dalla concorrenza americana e cinese, lasciando dietro di sé 145 miliardi di PIL, potrebbe mantenere la velocità di crociera, limitando i danni, oppure potrebbe spingere sul pedale dell’elettrificazione e della transizione energetica, battendo con un colpo di scena i rivali globali.

Per quanto difficile, la rimonta tracciata dal terzo scenario è un esito auspicabile per tutti i soggetti coinvolti: governi, costruttori, lavoratori, fornitori e investitori. Come agevolarla?

Industria auto europea: i dati e le stime dell’impatto dei tre scenari

Oggi costruttori e fornitori contribuiscono per 460 miliardi di euro al PIL del Vecchio Continente, impiegano 4 milioni di persone, pagano €97 miliardi di tasse e valgono in Borsa €555 miliardi.

Lo scenario futuro più probabile allo stato attuale delle cose, tuttavia, è che l’auto europea vada incontro a un graduale declino, passando da una quota di mercato globale del 26% a un 12% nel 2040 e cedendo il passo alla concorrenza asiatica e americana, specie in Europa (-27%). Le conseguenze della decelerazione sarebbero gravi: €145 miliardi di PIL in meno, 1,5 milioni di posti di lavoro persi, €35 miliardi di ammanco fiscale per gli Stati europei e un crollo di Borsa da €283 miliardi.

La conservazione dello status quo consentirebbe, invece, di mantenere l’apporto dell’auto sostanzialmente invariato, o al più lievemente diminuito.

Qualora però le case europee dovessero riprendere la testa dell’innovazione, allora la quota di mercato globale potrebbe salire al 32%, il contributo al PIL a €530 miliardi, l’occupazione a 4,8 milioni, le imposte versate a €122 miliardi e la capitalizzazione di Borsa a €763 miliardi.

I cinque vantaggi competitivi delle case europee sono a rischio

“Oggi l’industria dell’auto europea possiede un primato costruito dai marchi nel corso degli anni e basato sulla superiorità tecnologica e qualitativa nella costruzione dei motori termici, così come sull’efficienza indiscussa delle proprie catene di produzione. Tuttavia, questo primato si trova ora esposto a diversi rischi che minacciano l’andamento futuro del comparto.” Spiega Giuseppe Collino, Managing Director e Partner di BCG.

La superiorità tecnologica e qualitativa nella costruzione dei motori termici rischia di diventare vana con l’avvento dell’elettrico, che ha abbattuto le barriere d’ingresso nel mercato. Startup automobilistiche americane e cinesi ne hanno approfittato per aggredirlo con prodotti distintivi per digitalizzazione, connettività e sviluppo della guida autonoma.

L’efficienza produttiva delle case europee è minacciata dall’aumento dei costi dell’energia, dalla carenza di manodopera qualificata e dai nuovi metodi di fabbricazione.

La forza dei marchi è pure indebolita dalla portata innovativa dei nuovi entranti, mentre la capillare rete distributiva rischia di diventare obsoleta nell’era del commercio online.

Ancora, la globalizzazione della produzione e delle vendite appare più che mai fragile con l’avanzare delle sanzioni internazionali, del protezionismo di ritorno e del disaccoppiamento fra Stati Uniti e Cina.

Le joint-venture in Cina, per anni motore degli utili delle case europee, sono infine incalzate dai concorrenti domestici, oggi in grado di competere sulla qualità e favoriti dallo spirito nazionalistico di molti consumatori cinesi.

Industria auto europea: cosa va fatto per riprendere la testa dell’industria dell’auto

Che cosa deve fare quindi l’Europa per traghettare il comparto automotive verso l’auspicabile terzo scenario? Risponde Collino: “Per permettere all’auto europea di continuare a spingere sull’acceleratore, bisogna creare collaborazione tra costruttori, fornitori e autorità.”

La necessità di accelerare la transizione energetica sta spingendo i governi a intervenire massicciamente sull’economia, orientando i piani di sviluppo delle aziende con generosi incentivi. Accodandosi a Cina e Stati Uniti, anche l’Europa potrebbe sviluppare una politica industriale volta a sostenere la produzione domestica e a consentire la creazione di un vantaggio competitivo sostenibile per i propri ecosistemi di aziende. Dovrebbe inoltre impegnarsi per ridurre al minimo le interruzioni al commercio globale e conservare il libero accesso ai mercati mondiali, due fattori decisivi del successo dell’auto europea.

Quanto ai costruttori, l’errore più grave sarebbe adagiarsi sull’attuale primato industriale. Oggi più che mai, le case automobilistiche hanno urgenza di investire per creare nuovi vantaggi competitivi nell’efficienza, nei sistemi di guida autonoma, nell’elettrificazione e nei software, dove il pericolo da una dipendenza dagli Stati Uniti è concreto.

Stessa premura riguarda i fornitori europei che, però, hanno anche bisogno di localizzarsi in Cina, mercato troppo importante per essere ignorato e aggredibile con il supporto iniziale di partner locali. Al contempo, è necessario costruire filiere di approvvigionamento solide e resilienti per le terre rare e le altre materie prime indispensabili per la transizione energetica.

Si tratta di compiti che i singoli anelli della catena non sono in grado di svolgere autonomamente: occorre che autorità politiche, costruttori e fornitori abbiano ben chiaro non solo dove è arrivata l’auto europea fino a oggi, ma anche e soprattutto quale sarà la sua destinazione nel 2040.

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Redazione EconomyUp
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