Ci deve essere una sorta di virus benigno a Singapore. Un elemento che gira nell’aria e trasforma tutti in startupper. Una delle tante prove è la storia di Giuseppe Tedeschi (34 anni) e Vincenzo De Laurentiis (31), due amici che si conoscono in Italia a un master in proprietà intellettuale, vanno a fare uno stage in Cina, a Pechino, e si ritrovano dopo poco tempo a fondare una startup digitale nel ricchissimo mini-stato asiatico. Con il risultato che il loro prodotto di punta viene acquistato nel giro di pochi mesi da un gigante come Samsung.
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Il nome dell’impresa è JMT, Join Me There, e ha sviluppato un’app che consente a chiunque di fare video e di misurarne la viralità sui social network attraverso un algoritmo. Per i due imprenditori non c’è stato neanche il tempo di lanciare questa tecnologia per video contest, a inizio 2014, che il colosso sudcoreano ne ha acquistato la licenza per integrarla con SportsFlow, un’applicazione che si basa sullo streaming di contenuti sportivi generati dagli utenti ed è stata distribuita in Asia in concomitanza con i Mondiali di calcio brasiliani.
“Samsung non ci ha chiesto di chi fossimo figli ma soltanto cosa potessimo fare di utile per loro”, racconta Tedeschi, che a dispetto di quanto ci si possa aspettare dal co-fondatore di un’azienda digitale è laureato in giurisprudenza e ha approfondito la conoscenza del settore solo negli ultimi tre anni. “Non c’è stato bisogno, come in Italia, di contatti personali per arrivare a parlare con i vertici della società. Li abbiamo contattati via Linkedin e dopo poco tempo abbiamo stretto l’accordo”.
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Il software creato dai fondatori di Join Me There, che sarà presto disponibile anche per altre piattaforme in Italia e in Europa, consente di calcolare il successo dei video prodotti dagli utenti in base al numero di like, condivisioni e commenti sui principali social come Facebook, Twitter e Youtube. “Il vantaggio per gli utenti è che non devono fare niente a casa. Fanno tutto sull’app: registrano il video, fanno l’editing e partecipano al video contest”, dice Tedeschi.
“Invece, per chi lancia i contest, c’è la possibilità di tracciare i riscontri del video lungo tutto il percorso sui social network. Vengono monitorati e ponderati i feedback sulle pagine di tutti gli utenti e si riesce a stabilire, attraverso il punteggio assegnato dal nostro algoritmo, quanto il contenuto è diventato virale”. Ma come fanno un esperto di legge e un manager laureato alla Bocconi con un passato nell’oil&gas a diventare developer? Potere, appunto, del virus asiatico.
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“Abbiamo iniziato a lavorare all’idea di una startup web già nel 2011”, ricorda Tedeschi. “All’inizio pensavamo a un sito di viaggi o a qualcosa
legata ai social. A poco a poco, la cosa è cresciuta. E io ho progressivamente colmato il mio gap di conoscenza del settore digital: basta pensare che non sapevo neanche cosa fosse TechCrunch”. Nel frattempo, il progetto diventa più concreto: l’obiettivo è di creare una software house legata ai video. Due ragazzi tedeschi, più esperti nell’ambito della programmazione, scommettono su di loro. I due si trasferiscono a Singapore lasciando le loro rispettive carriere. “Abbiamo vinto un concorso per startup a Singapore e trovato un investitore del posto che, dopo una serie interminabile di colloqui con angel e finanziatori, ci ha dato 100 mila dollari”. Nel 2013, la startup JMT è una realtà.
“Spiace dirlo – ammette il co-fondatore di JMT – ma in un posto come Singapore è molto più facile fare impresa. Il capitalismo è avanzato, i tassi di crescita sono imponenti, in un’ora di aereo si arriva in Thailandia, uno dei Paesi più popolosi al mondo, e c’è uno dei migliori ecosistemi startup della Terra. Avendo grande liquidità da smaltire, sia il governo che i privati investono moltissimo, forse anche più che in Silicon Valley, sulle startup”.
Ancora più impressionante è il confronto riguardo ai tempi per aprire una nuova impresa. “Dal punto di vista burocratico, c’è un’agenzia che cura le pratiche di chi vuole fondare una startup. Un funzionario, che non è neanche laureato, si occupa della costituzione delle società: per registrare una srl ci impieghi tre ore. Non hai bisogno di commercialisti, avvocati, banche e notai. È un bel risparmio. Di soldi e di tempo”.
Quindi in Italia non farete niente? “No, al contrario”, conclude Tedeschi. “Vogliamo provarci. Abbiamo vinto un concorso per startup in Puglia e stiamo discutendo con alcuni interlocutori, ma finché non hai un nome conosciuto e spendibile, è difficile che un grande brand si affidi alla piattaforma di una piccola società come la nostra”.