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Transizione Energetica, 9 cose da sapere per farla con l’open innovation

Il declino dei corporate accelerator e la ricerca del venture builder, la necessità di avere una visione a lungo termine e la fine del marketing delle startup. Ecco che cosa emerge dall’esperienza dei manager dell’innovazione di 5 colossi europei dell’energia

Pubblicato il 14 Mar 2023

transizione energetica

Non c’è colosso dell’energia che creda di poter vincere da solo la sfida della transizione energetica. È una sfida troppo grande e troppo urgente. Le startup sono l’unica possibilità per accelerare i cicli di innovazione e trovare soluzioni per tempo.

Questo è, in estrema sintesi, il messaggio unanime che è emerso a Barcellona lo scorso giovedì dalla Corporate Startup Stars Roundtable di Mind the Bridge che ha messo intorno a un tavolo i responsabili dell’innovazione di Iberdrola, Enel, Repsol, Enagas e Snam.

La roundtable è stata anche l’occasione anche per fare il punto su quali sono le modalità e gli strumenti di collaborazione più efficaci con le startup, anche quando si lavora per la transizione energetica. Di seguito ho raccolto i principali messaggi emersi dalla discussione (nella puntata di Innovation Weekly di sabato potete trovare un po’ di commenti a caldo di alcuni dei protagonisti, qui il link).

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L’open innovation richiede l’adozione di diversi strumenti

“Tutti stiamo coprendo quasi tutti gli strumenti dell’Open Innovation. Ci sono alcune aziende che continuano a coprili tutti, altre sono diventate più selettive” ha ricordato Angelo Rigillo, CEO di Enel Innovation Hubs.

I Corporate Accelerator hanno perso centralità

Tra gli strumenti che stanno vedendo un crescente disimpegno troviamo gli acceleratori. Motivo? Le startup che escono da questi programmi non sono pronte (sono troppo early stage) per poter essere integrate dalle aziende.

Il Venture Client rimane lo strumento principe 

Il Venture Client (ossia la collaborazione commerciale con le startup, dove l’azienda ne diviene cliente) si rivolge prevalentemente a startup strutturate (le scaleup) e produce risultati qualora propriamente implementato. Il che significa avere un motore di scouting di portata globale capace di guardare ad un deal flow di migliaia di aziende all’anno e una struttura organizzativa con presidi di innovazione dentro le business unit (sul modello degli Innovation Manager di Enel).

La necessità di spostarsi sul lungo termine

Il Venture Client serve bene il cosiddetto Horizon 1 (ossia l’innovazione del core business). Ma “ci siamo resi conto che bisogna spostarsi più sull’orizzonte a lungo termine che è fondamentale. Alcuni strumenti lo permettono, altri meno.” Ha ricordato Rigillo. Per guardare più a lungo Corporate Venture Capital e Venture Builder sono gli strumenti su cui si concentra maggiormente l’attenzione.

Il Corporate Venture Capital serve a guardare lontano

Non serve investire in startup se l’obiettivo è collaborare (qui basta il Venture Client). Si investe per guardare ahead of business. Ma avere un proprio fondo di CVC è una opzione limitata ai grandissimi visto che per competere ci vogliono fondi da 250 milioni fino al miliardo di euro. Tuttavia “investire in third-party funds può permettere di avere accesso a un deal flow di tecnologie e insight in mercati che potranno essere rilevanti per il futuro” ha segnalato Oscar Cantelejo, Head of Corporate Venturing & Open Innovation di Iberdrola.

Il Venture Builder questo sconosciuto

Tutti lo vogliono, ma non c’è ancora una solida esperienza su come fare bene il Venture Builder. Sono poche le implementazioni e sono quasi tutte abbastanza recenti. Quindi la cautela è d’obbligo visto che jury is still out.

L’Intrapreneurship sta diventando più selettiva

“Continuiamo a cercare idee dai nostri dipendenti ma recentemente abbiamo ristretto le challenge su ambiti molto più specifici”. Ha segnalato Emilio Martinez Gavira, Entrepreneurship & Open Innovation Director di Enagás, una delle prime aziende a lanciare iniziative di imprenditorialità interna (Intrapreneurship). Se all’inizio era importante coinvolgere quante più persone possibile (e quindi avere challenges molto ampie), col passare del tempo i programmi evolvono diventando più selettivi.

L’accettazione del rischio

Bisogna lavorare sulla cultura dell’innovazione e dell’accettazione del rischio”, ha segnalato Sandra Blázquez Borrás, Head of Open Innovation di Repsol. Molte aziende, in particolare nel comparto energetico, sono costruite per non avere interruzioni di servizio. Il che significa che in azienda non c’è in genere tolleranza per l’errore, approccio che, quando applicato a progetti innovativi, è un fattore oltremodo bloccante.

L’epoca del marketing delle startup è finita

“Siamo in una fase dove è necessario portare a casa risultati tangibili e avere KPI per misurarli”. Ha chiuso Claudio Farina, Executive VP Strategy, Innovation & Sustainability di Snam. Le grandi aziende stanno attrezzandosi per avere sistemi strutturati di misurazione dell’impatto delle attività di innovazione (sia sul conto economico che sulla strategia) certificati da terze parti (per evitare autoreferenzialità).

L’open innovation s’ha da fare. Ma il come è cambiato. E anche tanto (e non solo per fare la transizione energetica).

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Alberto Onetti
Alberto Onetti

Chairman (di Mind the Bridge), Professore (di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria) e imprenditore seriale (Funambol la mia ultima avventura). Geneticamente curioso e affascinato dalle cose complicate.

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