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Quali caratteristiche deve avere un buon Open Innovation Manager?

Tanta curiosità ma anche tanto metodo. Saper parlare lingue diverse, quella delle aziende e quella delle startup. Molto pragmatismo più che creatività. Ecco che cosa serve per fare open innovation secondo i manager che già fanno questo lavoro in grandi aziende

Pubblicato il 20 Dic 2022

Open innovation manager

Quali caratteristiche devono avere i buoni Open Innovation Manager? È una buona domanda. Se ricordate, la scorsa estate avevamo cercato di dare una risposta analizzando i partecipanti all’Innovation Bootcamp 2022 di Elis Open Italy  che si propone di formare Junior Innovation Consultant. Ne era emerso un mix di profili diversi (economico, ingegneristico, umanistico, …) e una tendenza a frequentare corsi di studi all’intersezione tra diverse discipline (finanza e impresa per giurisprudenza, società e tecnologia, gestione dell’ambiente). Qui l’analisi completa per chi fosse interessato ad approfondire.

Ricordo che, appena pubblicata l’analisi, Alessandro Leonardi di Poste Italiane aveva segnalato quanto sarebbe stato interessante approfondire il tema guardando non solo al profilo di giovani aspiranti candidati alla professione, ma a quello di chi oggi quel lavoro lo fa.

Professione Innovation Manager: chi sono? Come lavorano?

Con Joule abbiamo preso la palla al balzo e abbiamo avviato un nuovo format di brevi video interviste con gli open innovation manager di grandi aziende italiane. Il titolo del podcast, riecheggiando il famoso movie con Mel Gibson e Helen Hunt, è “What Open Innovation Managers Want” (sottotitolo: Professione Open Innovation Manager: Chi sono? Cosa fanno? Come cercano le startup e come lavorano insieme a loro?). L’idea è di fare delle video chiacchierate informali per guardare behind the scenes chi sono le persone che fanno questo mestiere nelle principali aziende italiane.

Spoiler: mi sto divertendo molto a mettere a nudo questi personaggi.

Da oggi è online il terzo episodio, registrato con Natascia Noveri, che fa questo mestiere in in grande gruppo bancario come Intesa Sanpaolo.

“Ci vuole curiosità ma anche tanto metodo. Ma soprattutto una grande capacità di ascolto, sia verso l’esterno dal mondo delle startup che all’interno della propria azienda”, ci ha detto Natascia nel descrivere il suo lavoro che richiede “coraggio per evitare di snaturarsi e non mollare alla prime difficoltà” ma anche “una profonda conoscenza dei business che la propria azienda gestisce”.

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L’Open Innovation Manager deve saper parlare lingue diverse

Fare l’open innovation manager richiede di sapere parlare lingue diverse, quella delle startup e quella delle aziende. Non è strano che Mattia Voltaggio, che fa questo lavoro in Eni Joule, sia laureato in Paleografia Latina. “Ci occupiamo di mettere in contatto progetti magari a volte ancora un po’ immaturi con colleghi che hanno un proprio alfabeto e una propria sintassi. Ci ritroviamo quindi a fare un po’ i paleografi dell’innovazione”.

L’open innovation richiede pragmatismo e metodo

Tante sfide da affrontare. Per Alessandro Leonardi, Head Open Innovation di Poste Italiane (potevo non intervistarlo visto che l’idea era la sua?) quella più difficile è quella di “allineare i tempi delle startup con quelli delle grandi aziende”. Perché l’open innovation richiede molto più pragmatismo e metodo che creatività e originalità.

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Creatività e originalità, dentro le aziende, in particolare quelle più grandi, rischiano di venire dissipate rapidamente in contesti dove domina un “forte scetticismo che si abbatte soltanto facendo prima capire il senso della funzione di innovazione e poi dimostrandone l’utilità attraverso i risultati”.

Chi ha detto questa frase? Non vi resta che seguire le prossime puntate. In casa Joule. Qui il link.

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Alberto Onetti
Alberto Onetti

Chairman (di Mind the Bridge), Professore (di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria) e imprenditore seriale (Funambol la mia ultima avventura). Geneticamente curioso e affascinato dalle cose complicate.

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