INNOVAZIONE & SOCIETÀ

Dalla tecnologia solidale all’inclusive business: il valore della sostenibilità

Trasformare i bisogni sociali in opportunità economiche, con profitto per tutti: imprese, governi e soggetti deboli che grazie al digitale possono ottenere risposte ai loro bisogni. Un modo anche per evitare nuove discriminazioni. Ne parleremo martedì 13 alla Camera in occasione di Tecnologia Solidale 2022

Pubblicato il 05 Dic 2022

Sostenibilità e innovazione

Martedì 13 dicembre è in programma a Roma l’undicesima edizione di Tecnologia Solidale. Nel corso dell’evento sarà presentato il libro edito dalla Fondazione Pensiero Solido “Tecnologia solidale. Donne e uomini che cambiano in meglio il presente” in cui Antonio Palmieri ha raccolto, aggiornandoli e riorganizzandoli, i contenuti, le ispirazioni e le interviste del blog che tiene su EconomyUp del febbraio 2015. Di seguito pubblichiamo la prefazione del direttore di EconomyUp Giovanni Iozzia, 

“Le mie opinioni nei riguardi della tecnologia sono completamente ambigue. L’ambiguità mi sembra l’unico modo di rapportarsi a ciò che sta accadendo oggigiorno. Chi non ha più idee ambigue? Non si può essere luddisti, ma allo stesso tempo non si più sposare la tecnocrazia. Quando scrivo sulla tecnologia, scrivo come essa abbia già influenzato le nostre vite”. Parlava così nel 1988 William Gibson, esponente di quella letteratura cyberpunk che tanto ha anticipato del nostro presente. Io mi ritrovo in queste parole e forse dovremmo leggere (o rileggere) i suoi libri per capire dove stiamo andando ed evitare gli approdi peggiori.

La tecnologia non è né buona né cattiva, non hai mai avuto una sua indole: una forbice può salvare una vita umana ma può anche tranciarla. Essere “ambigui”, come ci suggerisce lo scrittore che ha immaginato, quasi mezzo secolo fa, la vita nei mondi digitali simulati e lo strapotere delle multinazionali tecnologiche, significa non avere pregiudizi, paure o ansie di conservazione ma prestare attenzione agli usi che si fanno delle tecnologie, ai loro effetti sulle persone e, più in generale, sul mondo che ci è dato temporaneamente abitare.

Ho incontrato Tecnologia Solidale circa otto anni fa e la cosa che ho subito apprezzato, oltre al suo animatore, è stata la voglia di scoprire e valorizzare chi fa del bene con le tecnologie ma senza alcun buonismo, come si diceva qualche anno addietro; l’assenza di qualsiasi forma d’ideologia e di schematismo se non una visione direi cristiana e umano-centrica della società; l’attenzione verso tutte le forme di disagio e di svantaggio a cui le tecnologie possono offrire soluzione ma senza dimenticare la sostenibilità economica delle attività. La tecnologia solidale, per me ma credo anche per Antonio Palmieri che l’ha fatta diventare prima un evento e poi un progetto, non è mai stata beneficienza o compassione.

Se cerchiamo una definizione, l’ha già data nel 2018 il G20: “inclusive business”. C’è una parte importante del mondo che vive in situazioni di svantaggio o disagio: 1 miliardo di persone con disabilità che vanno moltiplicate per tre, se si tiene conto di chi le accudisce quotidianamente. E poi i milioni di persone che possono contare su pochi dollari al giorno per sopravvivere. Considerarli un “mercato” non è cinismo, significa trasformare i bisogni sociali in opportunità economiche per tutti, per chi ha bisogno ma anche per le imprese e per i governi, soprattutto in una congiuntura economica in cui i costi del welfare pubblico sono diventati insostenibili. Se è possibile farlo, oggi meglio che nel passato, è grazie alle applicazioni delle tecnologie digitali che, se ben utilizzate, possono davvero rendere migliore la vita delle persone e in particolare modo di quelle che si trovano in condizioni di svantaggio, fisico o sociale che sia. Quando la ricetta funziona, il profitto è doppio: per chi ha creato e portato sul mercato la soluzione e per chi la utilizza potendosi permettere di fare cose che prima gli erano precluse.

L’innovazione c’è sempre stata ma in alcuni momenti diventa più intensa, pervasiva e sconvolgente. Non a caso parliamo di quarta rivoluzione industriale e trasformazione digitale. Stiamo diventando qualcos’altro: persone, imprese, società, istituzioni sono sottoposte a uno stress che non può non avere conseguenze e generare reazioni che possono arrivare fino al rigetto. Per questo oggi serve alzare lo sguardo, andare oltre le tecnologie e lavorare sull’impatto sociale, culturale e umano dell’innovazione digitale. È questa la migliore declinazione possibile della sostenibilità in questo decennio di tensioni geofisiche e geopolitiche con inevitabili ricadute economiche.

È dovere di tutti noi, qualunque sia il ruolo e la posizione occupata, e in particolare dei leader politici e aziendali, lavorare per evitare un rischio e un pericolo: che le tecnologie digitali creino nuove discriminazioni. C’è quindi un tema d’inclusione che, se non affrontato in maniera responsabile ed efficace, lascerà intere fasce sociali e aree geografiche fuori dalla grande trasformazione con inevitabili impatti economici e culturali. Ma c’è anche una grande questione etica, che si può sintetizzare in una sola domanda: che tipo di mondo vogliamo costruire? E ancora una volta la migliora risposta è: sostenibile. Qual è l’impatto del digitale sulle psicologie individuali e collettive? Qual è il limite dell’innovazione? E penso ovviamente alle intelligenze artificiali, agli umanoidi ma anche ai metaversi e alle biotecnologie. Che cosa possono fare le cosiddette tecnologie esponenziali per rendere questo mondo un posto migliore dove vivere? Rispondere con dati e storie, e non solo sul climate change, è uno dei prossimi grandi filoni nella narrazione dell’innovazione.

Nel libro di Antonio Palmieri trovate già molte risposte possibili, sia in termini di pensiero sia di azioni concrete che diventano associazioni, progetti, imprese. Quando ho conosciuto Tecnologia Solidale sembrava solo uno dei tanti sottoinsiemi di un mondo ben più vasto e, forse, importante. Dieci anni dopo è convinzione sempre più diffusa che non possa esistere buona innovazione, e quindi tecnologia, che non sia sostenibile e quindi solidale. Antonio Palmieri, con le sue battaglie sull’accessibilità del web, è stato lungimirante. E la tecnologia solidale oggi è nel mainstream. Chiudo con le parole, che mi porto dentro da anni, di un altro rappresentante della letteratura cyberpunk, Bruce Sterling: “Il futuro è già qui, solo che non è ancora equamente distribuito”. E di questo si parla nel libro: un’equa distribuzione di tecnologia e innovazione per un futuro migliore per tutti.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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