IL RAPPORTO

L’open innovatione decolla anche in Italia: le corporate ci credono, le PMI la esplorano

Secondo il rapporto “Open Innovation Outlook: Italy 2023” prodotto da Mind the Bridge con il supporto di SMAU, il 75% delle top corporate in Italia la ritiene un valore e quasi tutte hanno una business unit dedicata. Anche le PMI registrano progressi significativi. Troppo poche le scaleup rispetto al resto d’Europa

Pubblicato il 11 Ott 2022

L'open innovation ingrana la marcia anche in Italia

L’Open Innovation, il modello individuato ormai una ventina di anni fa dall’economista californiano Henry Chesbrough in base al quale le aziende che vogliono innovare possono ricorrere a risorse provenienti dall’esterno, finalmente decolla anche in Italia. Le aziende italiane, che qualche tempo fa si sono affacciate all’Open Innovation in maniera “soft”, ora stanno spingendo sempre più l’acceleratore, riducendo progressivamente il divario con i leader dell’innovazione mondiale. È quanto emerge dall’ultimo “Open Innovation Outlook: Italy 2023” prodotto da Mind the Bridge con il supporto di SMAU e presentato martedì 11 ottobre da Alberto Onetti durante la sessione di apertura di SMAU a Milano.

L’analisi è stata condotta sulle principali grandi aziende italiane (le cosiddette “billion-dollar companies”) e su un ampio campione delle migliori PMI italiane, andando a confrontare le performance di queste ultime con quelle dei leader mondiali dell’innovazione (ovvero le “Corporate Startup Stars”) al fine di fornire una panoramica dello stato attuale dell’Open Innovation e individuare punti di forza e aree da migliorare.

“Le principali aziende italiane – ha commentato Alberto Onetti, Chairman di Mind the Bridge – hanno ampliato la loro profondità operativa. Per migliorare ulteriormente, sia le leader che le PMI dovrebbero abbandonare il cosiddetto “innovation theater” e concentrarsi piuttosto sui risultati, in particolar modo coinvolgendo le business unit, focalizzando le attività di scouting sui bisogni di quest’ultime e ampliando il proprio raggio di scouting tecnologico agli ecosistemi più maturi. Qui l’esperienza e le best practice dei leader mondiali dell’innovazione e delle PMI all’avanguardia costituiscono un benchmark prezioso. L’opportunità di imparare dai migliori è sicuramente un vantaggio per i late movers e un’opportunità che non dovrebbe essere trascurata”,

“Il Roadshow europeo di SMAU – ha aggiunto Valentina Sorgato, Amministratore Delegato di SMAU – che nella prima parte dell’anno ci ha consentito di confrontarci con i grandi player sulle piazze di Parigi, Berlino e Londra, ha dato prova che le aziende italiane stanno ricorrendo sempre di più all’Open Innovation come meccanismo per fare innovazione. Questo vale sia in termini di nuove collaborazioni avviate con le startup, siano esse PoC o collaborazioni commerciali, sia di progetti di co-innovazione tra le aziende, che mettono a fattor comune le esperienze in corso”.

Open innovation: il 75% delle top corporate la ritiene un valore

Le prestazioni sono state valutate su una base quali-quantitativa (“must have”) che va da un livello “esplorativo” a “star”, incrociando molteplici indicatori e tenendo conto degli strumenti di innovazione e dei fattori abilitanti attivati ​​da ciascuna azienda, nonché della loro profondità operativa. Rispetto allo scorso anno, è stato registrato un consistente miglioramento della performance sia per le Top corporate italiane che per le Top PMI italiane.

In particolare, sul fronte aziende leader italiane:

Quasi tutte hanno una Unit dedicata all’Open Innovation, che solo in alcuni casi mantiene forti legami con i tradizionali dipartimenti di ricerca e sviluppo.

–Questo si riflette nella diffusa consapevolezza strategica dell’innovazione: il 75% annovera l’innovazione tra i propri valori aziendali o nella propria mission. 

–Tuttavia sono ancora in ritardo in termini di presenza internazionale nell’innovazione: nonostante le molteplici recenti aperture (Eni, Acea, Terna, Pelliconi, A2A) solo il 20% ha un avamposto dedicato all’innovazione nella Silicon Valley o in Israele.

In aumento i programmi di intrapreneurship, ancora pochi i fondi CVC

Il modello Venture Client per l’approvvigionamento di startup non ha ancora una portata globale per il 44% delle aziende leader italiane dell’innovazione, che attualmente filtra meno di 1000 startup all’anno con un prevalente focus nazionale o regionale.

Circa un terzo dei leader italiani si affida ancora a soggetti esterni per i propri programmi di accelerazione e startup studio. Si registra invece un aumento dei programmi di intrapreneurship e un diverso approccio, più operativo (finalizzato alla deal flow origination) e meno legato alle risorse umane.

Relativamente poche aziende (20%) hanno istituito fondi CVC strutturati di grandi dimensioni (tra 50 e 100 milioni), sebbene si registrino alcuni importanti investimenti diretti, come quello recente di Poste Italiane nella scaleup italiana Scalapay.

Le acquisizioni di startup restano sporadiche (circa 1 all’anno in media).

PMI in esplorazione dell’open innovation

Contemporaneamente, sul fronte PMI:

A partire dal 2022, sono stati registrati progressi significativi da parte delle PMI, guidati da alcune aziende “pioniere” che potrebbero aprire la strada a miglioramenti futuri per l’intero settore. La consapevolezza in merito al ruolo dell’innovazione e le Unit dedicate all’innovazione sono ormai la norma per circa due terzi delle migliori PMI italiane. Alcune (12%) stanno facendo i primi passi all’estero stabilendo una presenza innovativa nella Silicon Valley.

La maggior parte delle PMI italiane sta compiendo passi esplorativi nella collaborazione tra imprese e startup esponendosi alle startup con l’obiettivo di stabilire collaborazioni a lungo termine. Sebbene i numeri siano ancora troppo bassi per un adeguato processo di scouting tecnologico (circa 50 startup selezionate in media all’anno), si registrano già alcuni risultati preliminari, ovvero circa 1 POC/collaborazione a lungo termine per ciascuna azienda. 

Poche aziende (16% del campione) partecipano a programmi di accelerazione di terze parti, mentre si registra un interesse generale per programmi di intrapreneurship orientati al deal e open challenge per startup. Allo stato attuale investimenti e acquisizioni di startup potrebbero essere troppo dispendiosi in termini di risorse per essere adeguatamente implementati dalle migliori PMI italiane.  Un terzo delle Top PMI italiane è aperto ad acquisizioni di startup in futuro, circa la metà ha investito (somme relativamente piccole) in startup in passato ed è aperta a farlo di nuovo.

Il panorama italiano: 471 scaleup, ultimi in Europa

Allo scorso dicembre l’Italia registrava la presenza di 471 scaleup che hanno raccolto complessivamente $5.2B in equity dalla data di fondazione. In rapporto alla sua economia il nostro paese è tra quelli che hanno ottenuto risultati meno soddisfacenti, con 0.8 scaleup ogni 100mila abitanti e soltanto lo 0.02% del PIL impiegato ad alimentare l’economia delle scaleup. Basti pensare che nel paese più “vicino”, la Spagna, ci sono 1.5 volte più scaleup e 2.5 volte più capitale raccolto. Con gli altri paesi il divario è ancora più ampio. Segnali di miglioramento sono arrivati dai grandi round di Scalapay e Casavo (rispettivamente $0.2B e $0.1B) ma ad ogni modo l’economia scaleup italiana resta ancora sottodimensionata. Questo è il motivo per cui le grandi aziende italiane si vedono costrette a guardare all’estero (Silicon Valley, Middle East, Israele) per i loro bisogni di innovazione.

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