Mercoledì sera mi sono addormentato pensando che molti italiani potessero erroneamente considerare il nuovo governo già in carica e pienamente operativo.
Manco a farlo apposta, la mattina dopo Massimo Gramellini ha dedicato proprio a questo tema il suo
“Caffè” sul Corriere della Sera. Scrive Gramellini: “…la sapiente lentezza dei riti istituzionali si scontra con la rapidità isterica della civiltà degli smartphone, che non conosce il significato di vocaboli desueti come «attesa» e «decantazione». Le cronache già segnalano occupazioni di studenti che protestano contro il governo Meloni, mentre un po’ ovunque spuntano fieri difensori dell’operato del nuovo corso, che però è ancora e sempre quello vecchio.”
Anch’io, per la prima volta, ho pensato che 18 giorni tra la data delle elezioni e la prima convocazione del nuovo Parlamento siano una “eternità”, nonostante questi siano i miei ultimi giorni da parlamentare in carica.
Cenni autobiografici a parte, rimane il dubbio che certi riti siano comunque troppo lenti per l’era digitale. Vero è che ancora non vi è certezza definitiva su chi siano tutti i parlamentari realmente eletti. Mentre scrivo sono ancora 44 (33 alla Camera e 11 al Senato) i seggi non ancora assegnati. L’algoritmo che li assegnerà sta operando e poi vi sarà il passaggio ufficiale delle Corti d’Appello
e della Corte di Cassazione.
Tuttavia, la “rapidità isterica della civiltà degli smartphone” è un concetto da approfondire. È una riflessione che ci riporta al grande tema di come la tecnologia, il digitale e i social stanno modificando il nostro modo di pensare, il funzionamento del nostro cervello.
A questo proposito, Derrick de Kerchove, noto sociologo e studioso dei media digitali e non, in una pessimistica (o solo realistica?) riflessione dal titolo “L’algoritmo vota per noi”, (La Stampa, mercoledì 28 settembre) ricorda come l’ambiente mediatico non solo decide a cosa “dobbiamo” dare attenzione ma anche come pensiamo e ci orientiamo nel mondo. Ogni media favorisce certe abitudini cognitive rispetto ad altre. Scrive de Kervhove: “…gli strumenti digitali per risparmiare tempo e fatica hanno gradualmente impoverito le competenze innate che le persone acquisiscono con il tempo dell’apprendimento; si è ridotta anche la disponibilità a compiere sforzi intellettuali di base per comprendere il proprio contesto e valutare le proprie responsabilità”.
Insomma siamo di fronte a una grande trasformazione del modo di operare del nostro cervello? Avremo modo di tornare sul tema, che è decisivo, specie per le giovani generazioni.
Nel frattempo, una considerazione finale a margine, a proposito della influenza degli influencer.
A giudicare dai risultati elettorali tutti gli/le influencer che si sono schierati contro Giorgia Meloni, non hanno sortito effetto. Ne argomenta Francesco Maria Del Vigo su
Il Giornale: “Una potenza di fuoco, a livello teorico, sterminata, capace di raggiungere molti più (e)lettori di qualsivoglia media tradizionale”. Eppure non ha funzionato. “Chi davvero influenza una decisione, sono le persone autorevoli in quel campo”, ha detto nel medesimo articolo
Marco Camisani Calzolari.
Al di là delle elezioni e della potenza degli algoritmi, questa è una buona notizia per tutti noi.