La Silicon Valley parla sempre più italiano. Lo avevo già segnalato a maggio quando avevo trovato il nostro Innovation Center di SOMA (la parte della città che sta a sud di Market Street) pullulante di manager di imprese italiane.
La notizia è che la settimana scorsa Italgas ha ufficialmente varato la propria Innovation Antenna a San Francisco. Il debutto operativo sarà tra un mese, quando durante lo Scaleup Summit Silicon Valley verrà organizzato un Bootcamp dedicato all’incontro con le startup ritenute di maggior interesse per il raggiungimento dei target di digitalizzazione e smart monitoring, efficienza operativa legata all’utilizzo di tecnologie IoT e sostenibilità (ad esempio tramite il recupero e il riutilizzo dell’energia di scarto).
Italgas si aggiunge ad Enel (che, presente dal 2017, è il precursore della pattuglia italiana), Eni, Terna, Acea e Pelliconi, oltre alle presenze più istituzionali di ANIA e della Regione Sardegna.
Dallo zero assoluto di qualche anno fa si è consolidato oggi un avamposto di aziende italiane con una presenza attiva nella Bay Area. E questo grazie al Console Sergio Strozzi (e ai suoi predecessori Lorenzo Ortona, Mauro Battocchi e Fabrizio Marcelli) che hanno lavorato a testa bassa per creare i presupposti affinché l’Italia dell’innovazione avesse una presenza operativa nella Bay Area.
Tre di queste aziende hanno anche inserito un innovation manager in loco (ad Andrea Sguazzi per Enel e Salvatore Bonaccorso per Eni da settembre si è aggiunta Oriana Calo’ per Terna) che lavorano fianco a fianco con gli innovation advisor di Mind the Bridge coordinati da Alessio Tresanti per filtrare startup con cui avviare progetti pilota di innovazione da scalare qualora raggiungano gli obiettivi prefissati.
Le altre stanno progressivamente costruendosi un percorso di “emersione” in Silicon Valley.
La Bay Area è ricchissima di innovazione (in meno di cento chilometri contiamo quasi 8mila scaleup, numeri simili al continente europeo) ma è parimenti affollata di “cacciatori” di innovazione (siano essi investitori ma anche aziende: quasi 400 delle Forbes 2000 companies hanno un avamposto di innovazione qui).
Perché la Silicon Valley è la terra dei fatti, non degli annunci. Le notizie degli sbarchi sfuggono (anche perché ce ne sono parecchi tutti i giorni). L’attenzione viene catturata solo con progetti concreti che possano dare crescita.
Per questo l’unico approccio che paga, per un’azienda, è quello di concentrarsi su collaborazioni con startup su temi specifici per cui si è credibili dato il proprio posizionamento industriale.
Ad agosto Pelliconi insieme ad Ab Inbev ha affrontato il tema del sustainable packaging con un Innovation Industry Talk dedicato (ne avevamo parlato qui). Acea sta facendo lo stesso sulla decarbonizzazione dei propri impianti, valutando soluzioni di carbon capture, riutilizzo dell’idrogeno e biometano.
E questo approccio paga.
“Quest’anno probabilmente supereremo la soglia dei 50 piloti avviati con le aziende che hanno aperto un Outpost qua da noi”, racconta Alessio Tresanti. “L’aspetto interessante è vedere il tasso di accelerazione che queste aziende hanno nel collaborare con le startup della Silicon Valley. All’inizio sembra complicato, con qualche progetto qua e là, ma col tempo il numero delle collaborazioni scala rapidamente nell’ordine delle decine all’anno. E di questi piloti una parte importante si trasforma in innovazione dentro l’azienda, sia dal lato dei nuovi processi che sul fronte dei nuovi prodotti”.
Perché?
“Perché l’unità di misura della credibilità qui sono le operazioni effettuate. Si diventa un player credibile solo firmando contratti e dando loro seguito. Le parole contano zero”.
Ci vediamo a San Francisco nella settimana del 17 ottobre.