STARTUP ACT 2012-2022

Marco Bicocchi Pichi: alle startup ora servono più investimenti, talenti e libertà di mercato

Le ambizioni e gli obiettivi di Restart Italia, le fondamenta dello Startup Act, sono purtroppo in larga misura non conseguiti, dice Marco Bicocchi Pichi, presidente di Italia Startup dal 2015 al 2018. Tre le priorità per il nuovo Governo: più investimenti, talenti e libertà di mercato

Pubblicato il 05 Set 2022

Marco Biocchi Pichi, business angel, è statoi presidente di Italia Startup dal 2015 al 2018

Il decennale dello StartupAct, che sarà celebrato lunedì 12 settembre con un a Ca Tron, cade durante la più breve campagna elettorale della storia repubblicana. È quindi l’occasione non solo per riflettere su quanto è stato fatto ma su quello che c’è da fare e da chiedere al Governo che uscirà dalle urne del 25 settembre. “Abbiamo acceso la miccia, ma la bomba non è ancora esplosa. Forse la miccia era umida, forse non c’era abbastanza esplosivo…”, ha detto a EconomyUp Riccardo Donadon, founder di H-Farm e primo presidente di Italia Startup, l’associazione nata con lo Startup Act.

Abbiamo quindi proposto quattro domande a chi ha guidato l’associazione dopo Donadon (Marco Bicocchi Pichi, Angelo Coletta, Cristina Angelillo) per sapere che cosa pensano del decennio passato ma soprattutto le priorità che vedono nella politica per le startup e l’innovazione nel futuro prossimo. Cominciamo con Marco Bicocchi Pichi, che è stato presidente dal 2015 al 2018.

Dieci anni dopo, qual è il bilancio dello Startup Act?

La legislazione che è nata dal report “Restart Italia” ha avuto il grande merito di inserire il tema “startup” nella agenda economica italiana, ed ha costituito un esempio di sviluppo di un intervento organico e strutturato con un puntuale completamento dei decreti attuativi, il coordinamento con la legislazione europea e le autorità di controllo. Dieci anni dopo tuttavia le ambizioni e gli obiettivi del “Restart Italia” sono purtroppo in larga misura non conseguiti.

Dal mio punto di vista è sbagliato attribuire la responsabilità di risultati parziali o non conseguiti alla normativa in sé. Dobbiamo ricordarci il contesto in cui la legislazione è nata e l’approccio che ne è derivato; la scelta di operare secondo una filosofia di “special trade zone” ovvero non attraverso una riforma generale ma una legislazione “speciale” era dovuta alle scarse risorse disponibili ed alla presenza di un governo tecnico che non aveva un mandato politico per un cambiamento forte e generale del modo di fare impresa in Italia.

La definizione della categoria delle “imprese innovative” (prima solo startup e poi anche PMI) nasce da questo approccio e certamente ha comportato dei difetti. Dieci anni dopo in Italia abbiamo un ecosistema che è cresciuto, che avrebbe potuto crescere meglio, e se la annuale relazione al parlamento prevista dallo Startup Act avesse potuto essere un atto più tecnico che politico più facilmente si sarebbero potuti introdurre correttivi avendo a riferimento gli obiettivi strategici del “Restart Italia”.

A pagina 133 del report era scritto “La valutazione dell’impatto verrà effettuata mediante l’analisi, condotta con metodi scientificamente appropriati, dell’evidenza fattuale che verrà rilevata nel periodo di attività delle misure di sostegno alle startup. Affinché la valutazione sia scientificamente valida occorre avere a disposizione una cospicua dotazione di informazione statistica che permetta il ricorso a tecniche moderne e ormai utilizzate in molti Paesi per condurre quella che prende il nome di “evidence-based policy”.” Abbiamo bisogno di sostenere questo approccio, fatti e numeri, e non solo per le startup.

Startup Act, che cosa ha funzionato e che cosa non ha funzionato?

Una breve risposta in una intervista non è il contesto adatto a commentare il quadro generale e le singole e numerose aree di intervento in dettaglio, per questo vorrei focalizzarmi sulla questione strategica che nel report “Restart Italia” era così espressa “Su un punto non ci sono dubbi: la nuova occupazione, la crescita e l’innovazione sono fortemente legate alla nascita di nuove imprese. Ma fino a quando gli incentivi impliciti nel sistema favoriranno le rendite di posizione e i privilegi accumulati nella storia dalle categorie che si sono potute far valere in passato, l’innovazione sarà sempre sfavorita. E dunque non ci possono essere dubbi sulla strada da intraprendere: l’obiettivo è rendere l’Italia un luogo davvero ospitale per la nascita di startup.”

Su questo punto le recenti vicende politiche (e caso vuole quasi nell’anniversario esatto il 25 Maggio 2022) credo illustrino molto bene come l’innovazione non sia (ancora) favorita in Italia e come di conseguenza non siamo diventati (ancora) un luogo davvero ospitale per le startup. Nel concreto si è generata più attenzione per le nuove imprese e sono state investite maggiori risorse e questo è un risultato positivo dell’ecosistema che lo Startup Act non ha generato ma senz’altro aiutato a crescere.

Quello che non ha funzionato? Credo che non dipenda dal singolo provvedimento od attuazione dello stesso; quello che non ha funzionato (ma avrebbe potuto?) è provocare in Italia un cambiamento in favore della innovazione dirompente come definita dal compianto Professor Clayton Christensen “… l’innovazione dirompente è il processo in cui un’azienda più piccola, solitamente con meno risorse, è in grado di sfidare un’azienda consolidata (spesso chiamata “incumbent”) entrando nella parte inferiore del mercato e continuando a salire di livello”.

Che cosa serve per i prossimi 10 anni? Tre priorità per la prossima legislatura

Nei dieci anni dal 2012 al 2022 l’Italia ha avuto 6 Presidenti del Consiglio e 7 Governi. Le formule hanno incluso Governo Tecnico (Prof. Mario Monti), Grande Coalizione (Prof. Enrico Letta) e Governo di Unità Nazionale (Prof. Mario Draghi) e quattro governi politici di diversa formula. Le legislature sono state tre; la “coda” della XVI (2008-2013) e la XVII (2013-2018) e XVIII (2018-2022). In un contesto di questo genere è molto difficile esprimere altro che un auspicio.

Chi fa impresa innovativa in Italia, chi la sostiene, io credo non possa che auspicare politiche favorevoli all’impresa ed alla concorrenza in senso ampio. Sviluppare un ecosistema imprenditoriale è complesso perché agisce attraverso l’interazione di molte e diverse componenti. Un legislatore attento a mio parere inviterebbe il suo staff a confrontarsi con il Professor Daniel Isenberg su queste tematiche approfondendo la ricerca sugli ecosistemi imprenditoriali partendo da usi ed abusi della metafora che utilizza il termine ecosistema.

Comunque, tre le priorità:
a) Investimenti (molti più soldi, vedi Francia);
b) Talenti (persone);
c) Mercato (libertà di).

La misura del successo di un sistema imprenditoriale è nella sua capacità di attrarre capitali e talenti. Se vogliamo misurarci su una dimensione fondamentale è l’attrazione di talenti internazionali e l’integrazione dell’Italia nelle reti globali dell’innovazione. La migliore politica per favorire il “remote working” dall’Italia ed in Italia può essere un singolo obiettivo di forte impatto

Una domanda personale: che cosa facevi nella primavera – estate del 2012?

Nel 2012 ero da tempo impegnato con le startup, per l’esattezza dal 2008. Ho partecipato il 26 Maggio 2012 ad #ISDAY presso H-Farm ed alla fondazione di Italia Startup. In questi anni dal 2008 al 2022 ho vissuto il prima ed il dopo “Startup Act”, ma come uomo di business i miei ricordi e radici risalgono ad anni più remoti, a contatti con le startup della prima onda della fine degli anni 1990 fino al “dot.com”  crash nel 2000.

Nel 1999/2000 sono stato dalla parte di chi “vendeva pale e picconi” ai “cercatori d’oro”, come diceva Roberto Galimberti in Etnoteam ed è stato allora che conobbi Riccardo Donadon fondatore di E-Tree. L’epoca della cosiddetta “euforia irrazionale” era piena di un entusiasmo e positività non più rivista.

La storia di quegli anni dell’Italia confrontata ad esempio con la Francia spiega molte cose. Il mio personale entusiasmo di entrare fra i “cercatori d’oro” in qualche modo era vivissimo nella primavera del 2012 e chiesi a Riccardo Donadon di invitare Alex Bellini ad #ISDAY perché Alex simboleggiava il coraggio di cose “impossibili” e da quell’incontro nacque su mia iniziativa il libro “L’avventura e l’impresa” .

Dopo dieci anni da azionista fondatore di Alleantia (2011) e Nextome (2013) sono vivo e lotto ancora, ma sono passati più di venti anni dalle origini. Mi auguro che i prossimi dieci anni siano anni di solida crescita.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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