Patatine fritte o zucchine chips? Una buona idea è niente senza mercato

Il successo non dipende dalla qualità dell’idea, ma dalla disponibilità ad usare l’idea come un pretesto per cominciare un vero e proprio viaggio alla scoperta del mercato. Il caso dell’azienda che pensa di sostituire le patatine fritte con le zucchine ma scopre che i Millenial….

Pubblicato il 13 Lug 2022

Photo by GR Stocks on Unsplash

Il ruolo dell’Innovation Manager in un’azienda che possiede un reparto R&D è un po’ quello di un procuratore: da una parte ci sono i ricercatori e i tecnici che aprono di continuo fascicoli con un sacco di invenzioni e dall’altra c’è il giudizio insindacabile del mercato. Lui, in mezzo, deve decidere se aprire il caso, e provare a trasformare l’invenzione in vera innovazione.

Io li chiamo procuratori di innovazione. La loro scelta ha conseguenze importanti. Come tutti i procuratori nella serie “Law & Order”, viaggiano con una percentuale attaccata dietro la schiena, ben visibile a tutti, ed è il numero di casi portati al successo: cioè quelli in cui il mercato premia l’innovazione, e loro vincono. Perciò non è facile prendere quella decisione. E poi c’è di mezzo il marketing, il cui ruolo è anticipare il volere del giudice e aiutare il procuratore di innovazione ad aprire solo i casi con maggiore probabilità di successo.

Stabilirlo a priori è una cosa molto difficile e io direi che, in base alla mia umile esperienza, se si tratta di vera innovazione, è quasi impossibile. Il successo non dipende dalla qualità dell’idea, ma dalla disponibilità ad usare l’idea come un pretesto per cominciare un vero e proprio viaggio alla scoperta del mercato.

Esistono tuttavia diversi stratagemmi parecchio efficaci per camuffare questa missione quasi impossibile in qualcosa di perfettamente affrontabile, semplice e prevedibile.

Uno di questi modi è appena stato recapitato per posta al procuratore di innovazione di un’azienda alimentare di medie dimensioni. Ha in copertina un giovane trentenne con un piccolo anello al naso e una serie di tatuaggi appena visibili sotto una sobria t-shirt bianca, che sorride e solleva un paio di bacchette giapponesi con un piccolo rotolino di sushi. Il titolo è: “Le abitudini alimentari di GenZ e Millennial”. Sottotitolo: “Come mangiano i giovani adulti di oggi e quelli di domani”.

L’azienda produce snack ed è molto rispettata sul suo territorio perché attinge per quanto possibile a materie prime locali. Il procuratore si legge tutto il report. L’idea era che il mondo stava cambiando e che i giovani stavano migrando verso abitudini alimentari consapevoli, con grande attenzione per aspetti come la sostenibilità, gli aspetti nutritivi e gli impatti dell’alimentazione sull’equilibrio psicofisico.

“Che sfacciati”, borbotta. Si riferisce a quelli del marketing, che gli hanno praticamente fatto recapitare per posta una minaccia di morte. Per i produttori di snack – e parliamo proprio di patatine, salatini, estrusi di vario genere di tuberi commestibili e di mais – la tabella nutrizionale è come il ‘Non fumare’ sui pacchetti di sigarette. Con i dovuti distinguo, ovvio.

Allora mi chiama, più seccato che preoccupato, perché un’idea di innovazione è improvvisamente salita in cima alle sue priorità, ma una sensazione che non riesce a spiegarsi lo tiene distante dal condividerla col mittente di quel rapporto.

“Ti anticipo che il progetto è saporito e che ti metto a disposizione un fior fior di recluta, un ingegnere matematico alimentarista”

“Basta che sappia osservare, e non lo insegnano all’università, che sappia io”

“Touchè. Senti, ho ricevuto l’ennesimo rapporto minatorio da quelli del marketing:  

“Ah sì, l’oroscopo cinese”, mi lascio scappare.

“Scusa?”

“Dico che credere nell’esistenza del Millenial è come credere all’oroscopo, ma ancora più stupido”

“Poi me la spieghi, ma il punto è un altro. Vorrei dare una chance ad un’idea che mi hanno presentato di recente. Potrebbe portare aria nuova sugli scaffali delle patatine. Mi sono stancato anche io di fare solo repackaging, versioni per celiaci o pomodori rinsecchiti che nessuno vuole. Entriamo nel sacro fortino della patatina e togliamola dal trono. Mi interessa anche per questioni di costi capisci, per quanto mi sforzi di comprare materia prima locale, sono patate e mais di importazione, e con la crisi delle materie prime…”

“e quindi…”

“E quindi ho tra le mani il progetto della zucchina chips: meno grassi, più fibre, impanata nella semola come un’antica ricetta locale, materia prima dal mediterraneo, buona e leggera, e dicono pure conservabile…anche se c’è qualche altro test da fare relativo al livello di zuccheri e all’umidità della materia prima… ma si risolve. Qui … il tuo oroscopo… dice che i Millennial sono attenti all’impatto di quello che mangiano sull’ambiente…”

E quindi, ci siamo messi al lavoro. L’agente Bianchi, il matematico, era terrorizzato dalla questione degli zuccheri e non pensava ad altro. Mi ci è voluto un po’ per convincerlo il nostro compito era mettere in discussione l’oroscopo, non la scienza alimentare. Il nostro compito era capire cosa si nascondesse davvero dietro la costellazione del Millennial che potesse motivare lui e i suoi colleghi a risolvere la questione degli zuccheri.

“Ma chi sono questi Millennial, capo?”

“Sono persone come te, ti basta?”

“Non saprei, mi sembra un po’ generico, come me rispetto a cosa nello specifico? E perchè? Per cosa?”

È proprio questo il punto. Credere che l’aspetto anagrafico possa definire una classe di comportamenti in modo così deterministico da appoggiarvi decisioni strategiche come la vita o la morte di progetti di innovazione, è così irrazionale da risultare superstizioso. Un mercato si definisce sulla base della relazione tra un gruppo di persone e un problema specifico. Il fattore anagrafico può, in caso, e solo ipoteticamente, influenzare questa relazione. “E comunque”, riattacco verso Bianchi, come se mi avesse sentito e non avessi solo rimuginato tra me e me, “in questo caso, quale sarebbe il problema indiziato?”

“Eh, il problema è che i giovani vogliono più varietà, che si sono stufati della solita patatina, o forse che ingrassano, o sono turbati dal carbon footprint della patatina fritta, o tutte queste cose messe assieme!”

“Ragiona Bianchi, mi basta solo una di queste ragioni per capire se questo progetto ha un senso. Qual è lo scopo degli snack? Nutrire?”

“Mh…intrattenere, direi, forse togliere la fame ma in modo consolatorio, non proprio funzionale in senso stretto. Anche socializzare, forse…”

“OK, e cos’è che gli snack tradizionali fanno male nel raggiungere questo scopo?”

Ci pensa. Ci ripensa. “Forse hanno sempre lo stesso gusto? Oppure no, è più un problema collaterale direi, fanno ingrassare e fanno venire i sensi di colpa per chi ha una coscienza alimentare e ambientale.”

“Ok, dimostrami che è così. Ma non per assurdo, teoricamente. Dimostramelo praticamente. Escogita un modo per capire se questa ipotesi sta in piedi.”

La scena del crimine non esisteva, e quindi abbiamo escogitato degli esperimenti per metterla in scena. Molto divertente, devo dire. Si trattava di attirare una serie di “Millennial” in locali compiacenti, misurando l’eventuale preferenza delle zucchina fritte rispetto alla pletora dei ‘soliti’ snack.

Scena 1: Ora aperitivo. Centro città. Nessuna preferenza netta tra chips di patatine o zucchine..

Scena 2: Allora abbiamo pensato di enfatizzare gli elementi valoriali della scelta, sottolineando che si trattava di una zucchina fritta a km 0. Ora aperitivo. Centro città. Nessuna preferenza.

Scena 3: A questo punto siamo usciti allo scoperto e abbiamo cercato di raccogliere indicazioni esplicite sul prodotto. Non abbiamo dovuto insistere, i ragazzi assaggiavano volentieri le zucchine (almeno questo) e condividevano i loro pareri. Prima di tutto ci dovevano dire se piacevano o no. Quelli a cui non piacevano erano pochissimi, e la ragione era sempre la stessa: “si sente poco la zucchina”. La maggior parte era amichevolmente entusiasta, ed incoraggiante. Dicevano: “Dovrebbero essere più croccanti / più salate / più aromatizzate / più grandi / più spesse / più paprika / più aromi etc”

Siamo tornati dal procuratore, rendicontando tutto. “Cosa mi consigliate di fare?”, dice.

“Puoi fare come quelli che leggono gli oroscopi e di tutto questo tenere solo quello che risuona con le tue aspettative. Per esempio puoi promuovere il progetto perché la maggior parte degli intervistati, nell’ultimo esperimento, ha detto che erano buone e ha dato suggerimenti su come migliorarle. Puoi anche fare tutte le zucchine fritte simil-patatine che vuoi, con un adeguato sostegno pubblicitario magari le venderesti anche, ma non perché sono più sostenibili o più salubri dei tuoi amati tuberi. Sarebbero scelte umanamente comprensibili…”

Lui sapeva che “umanamente” nel mio codice significava “irrazionale e francamente stupido”, senza mezzi termini. Per cui ha capito l’antifona: “… oppure potrei archiviare il rapporto, e continuare a far sgranocchiare i Millennial cose sapide e croccanti, occupandomi privatamente di questioni come la digeribilità, la leggerezza e la sostenibilità. Nel loro interesse, si intende, ma senza dare troppo nell’occhio…”

Il rapporto è stato restituito al mittente con un commento: Sono un Boomer. Ottimista, indipendente, ho fiducia nel futuro e non penso che i Millennial rovineranno il nostro business.

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Irene Cassarino
Irene Cassarino

Irene Cassarino, ingegnera di formazione, PhD in Gestione dell’Innovazione, è CEO e fondatrice di The Doers, ora parte del gruppo Digital Magics. Ha dedicato tutta la sua vita professionale alla ricerca di nuovi mercati, lavorando con più di 200 startup e decine di grandi aziende italiane e internazionali.

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