ENERGIA DEL FUTURO

Idrogeno: benefici e caratteristiche di una tecnologia chiave per la decarbonizzazione

L’idrogeno verde è strategico per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e avere energia più sostenibile. L’Italia può giocare un ruolo chiave nel mercato che si sta per creare. Ecco perché

Pubblicato il 12 Lug 2022

Immagine di remotevfx.com da Shutterstock

In un momento come l’attuale il superamento della dipendenza energetica dai combustibili fossili è al centro dell’attenzione sia per ragioni economiche sia ambientali. L’idrogeno possiede due caratteristiche che lo rendono ideale come combustibile chiave per la decarbonizzazione: l’assenza di carbonio e l’essere l’elemento maggiormente presente in natura.

L’impegno per la decarbonizzazione nasce dalla necessità di eliminare o comunque ridurre i gas che modificano il clima, con conseguenze ben note in termini di riscaldamento globale. Vi contribuisce per l’80% la CO2 che si forma come risultato dei processi di combustione degli idrocarburi rilasciando carbonio che si combina con l’ossigeno.
L’idrogeno non si trova libero in natura ma combinato con altri elementi e per utilizzarlo come combustibile sono necessari processi di estrazione, che possono essere a loro volta inquinanti.

In funzione del processo produttivo e della fonte L’idrogeno non è tutto uguale.

L’idrogeno è classificato in 7 tipologie, identificate con altrettanti colori, fra cui indicheremo solo le 4 fondamentali. L’idrogeno marrone viene estratto dal carbone con basso costo sia in termini di materia prima sia di processo (circa 1 dollaro per Kg di idrogeno prodotto); per contro il processo genera emissioni elevate (18-20 Kg di CO2 per Kg di idrogeno).
L’idrogeno grigio deriva dal gas metano, con un costo analogo al marrone, e genera a sua volta emissioni elevate (da 9-10 Kg di CO2 per kg di idrogeno prodotto). L’idrogeno blu, viene generato con processi analoghi ai precedenti ma con la “cattura” della CO2 la cui emissione viene ridotta a 5kg per Kg di idrogeno prodotto, con un costo circa doppio rispetto ai precedenti. Il campione di sostenibilità è infine l’idrogeno verde che non genera CO2, essendo prodotto dall’acqua per elettrolisi, utilizzando energia elettrica prodotta da Fonti Rinnovabili (FER).

Idrogeno verde: un mercato tutto da creare

In realtà non esiste ancora un vero mercato per l’idrogeno verde visto che i sistemi di produzione sono ancora in fase di sperimentazione e i costi valutati per produrlo (5-6 volte rispetto alle altre tipologie) al momento lo rendono scarsamente appetibile.

Il vantaggio dell’idrogeno verde ai fini della decarbonizzazione consiste nella sua capacità, non solo di non generare CO2 quando viene bruciato ma anche quando viene generato. L’elettrolisi spacca la molecola d’acqua (H2O) che lo contiene, utilizzando energia elettrica che deve a sua volta essere prodotta da fonti di energia rinnovabile, in modo aggiuntivo rispetto all’attuale, questo per evitare di sostituirla con energia elettrica prodotta da carburanti fossili. A riguardo in Italia si dovrà, ad esempio, puntare prevalentemente sul fotovoltaico e sull’eolico, visto che l’idroelettrico è già praticamente saturato.

Produzione, stoccaggio e trasporto dell’idrogeno

La sperimentazione degli impianti è finalizzata soprattutto a ridurre i costi di produzione che derivano non solo dagli idrolizzatori ma anche dalla necessità dei relativi impianti ausiliari, particolarmente costosi, necessari per trasformare l’energia elettrica trasportata, ad altri voltaggi e bassi amperaggi, mentre per l’idrolisi servono alti amperaggi e bassi voltaggi. Sono circa oltre 300 i progetti in campo a livello europeo con diversi stati di avanzamento.

Sono allo studio anche sistemi per semplificare il trasporto e lo stoccaggio andando a superare la necessità di compressione a 700 bar, necessaria per liquefare l’idrogeno. Un’ipotesi all’esame è l’immagazzinamento dell’idrogeno all’interno di idruri metallici che funzionerebbero come spugne.

Attualmente il trasporto è prevalentemente su gomma ma è allo studio la possibilità di sfruttare le tubazioni di distribuzione del metano, che andrebbe gradualmente sostituito in quanto è il combustibile fossile più “pulito” ma anch’esso climalterante. L’idea è trasportare una miscela (blending) di metano e idrogeno con percentuali via via crescenti del secondo. Gli attuali studi e sperimentazioni dicono che il limite per le pipe-line attuali sarebbe il 20%, oltre il quale gli adeguamenti impiantistici risulterebbero antieconomici e si dovrebbe passare a tubazioni dedicate. “Ma a quel momento si sarà già creato un mercato che favorirà gli investimenti”, commenta Donato Stanca, Amministratore Delegato di GEI Reti Gas, società italiana attiva nel settore della distribuzione del gas, sottolineando che a livello europeo sono in corso sperimentazioni sugli acciai idonei per poter contenere l’idrogeno.

Il mercato potenziale per l’idrogeno non manca. I destinatari principali sono :

-i settori industriali energivori che per i processi produttivi devono generare elevate temperature,

– il trasporto pesante via terra e per nave e, nel lungo periodo, anche il trasporto aereo.

L’idrogeno è particolarmente adatto per il trasporto a lungo raggio di mezzi pesanti e di grandi dimensioni, dove la soluzione elettrica non è idonea in quanto richiederebbe batterie eccessivamente pesanti e ingombranti”, precisa Stanca.

Uno degli impieghi più importanti sarà inoltre la generazione di energia elettrica (gas-to-power).

Valorizzare i gasdotti e le risorse climatiche

La strategia italiana prevede di valorizzare il grande patrimonio di gasdotti nazionali facendoli diventare hub per l’Europa del Nord che rappresenterebbe il principale mercato di sbocco dell’idrogeno verde. La Germania si è ad esempio dichiarata potenziale importatore di idrogeno, mentre la Spagna, come l’Italia, produttore e consumatore, la Francia consumatore e produttore di idrogeno “lilla” ovvero quello che utilizza “energia elettrica nucleare”.

L’idrogeno potrebbe essere prodotto nel Sud Europa e, in prospettiva, nel Nord Africa per essere poi trasportato dove serve attraverso pipeline (ecco il ruolo di hub per l’Europa dell’Italia) o via nave.

La prospettiva è concreta, come evidenzia un decreto di imminente pubblicazione che permetterà di inserire il 2% idrogeno nel gas metano trasportato, mentre è già presente una norma per la produzione di nuove caldaie predisposte per funzionare con un blending che contenga fino al 20% di idrogeno. “I distributori guardano con favore al blending per favorire la transizione verso la decarbonizzazione, valorizzando il patrimonio esistente”, sottolinea Camillo Leopardi, Direttore Operations di GEI Reti Gas.

A livello nazionale si pone l’interrogativo se produrre al Sud l’idrogeno in modo più efficiente (per la maggior presenza di sole e vento) e trasportarlo al Nord, dove ci sarebbe maggior mercato. L’asso nella manica potrebbe essere la creazione di Idrogen valley. Si tratterebbe di identificare aree industriali non più utilizzate, dove il sole e il vento siano favorevoli, realizzando piccole reti per la distribuzione dell’idrogeno da portare alle industrie utilizzatrici che nel frattempo si sarebbero insediate nell’area.

L’impatto dell’idrogeno entro il 2050

Camillo Leopradi afferma che “ L’idrogeno potrebbe contribuire, entro il 2050, al 14% quale fonte energetica con un forte effetto di decarbonizzazione in sostituzione dei combustibili climalteranti in riferimento non solo alla riduzione di emissione di CO2 ma anche del metano, che contribuisce per circa il 10% all’alterazione del clima. L’alterazione da parte del metano non deriva dalla sua combustione ma dall’immissione diretta in atmosfera al momento dell’estrazione e del trasporto.

La problematica non è di secondaria importanza ed infatti, a riguardo, l’ONU ha creato un’organizzazione, l’OGMP, che si occupa specificatamente di prevenire queste problematiche; GEI è stata tra i primi distributori italiani partner di questa organizzazione internazionale.

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Elisabetta Bevilacqua

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