Martedì mattina ho ricevuto una inattesa telefonata. Era il responsabile d’aula del mio gruppo parlamentare. La notizia era che, per una serie di circostanze, l’indomani avrei avuto la possibilità di fare il Question Time in aula.
Ho colto l’occasione per parlare due minuti in diretta tv di accessibilità digitale. La motivazione specifica era la mancata pubblicazione in Gazzetta ufficiale del recepimento della direttiva europea sul tema, che avevamo concluso alla Camera e rimandato al governo per la pubblicazione il 27 aprile.
Ricevuta la buona notizia nella risposta della ministra per gli affari regionali Erika Stefani – la pubblicazione sarebbe avvenuta di lì a due giorni -, ho potuto focalizzare due concetti chiave:
- L’accessibilità digitale per le imprese, ma anche per la pubblica amministrazione, non è un costo, ma un’opportunità. Essa consente di offrire servizi digitali migliori per tutti i cittadini, senza escludere nessuno e quindi ampliando la propria clientela.
- Come spesso succede, il tema dell’accessibilità è, prima di tutto, un tema di consapevolezza culturale. Comporta comprendere il fatto che un sito web o una app accessibili migliorano l’usabilità per tutti, non solo per le persone che hanno difficoltà.
Sostengo questa posizione dal 2002. A novembre di quell’anno con il collega Cesare Campa presentammo la proposta di legge per l’accessibilità dei siti internet della pubblica amministrazione, proposta che diventò nel gennaio 2004 la Legge Stanca, dal nome dell’allora ministro dell’innovazione.
Nel tour per l’Italia per presentare la legge dicevo sempre: “Fatta la legge… comincia il lavoro!”. Quel lavoro è ancora da portare a compimento, sia nel pubblico sia nel privato. Le norme ci sono. Ora serve “metterle a terra” e realizzare compiutamente l’accessibilità digitale, che è la prima forma di tecnologia solidale.