INNOVATION DETECTIVE

La postura antalgica, quando le aziende fanno scelte dolorose per non affrontare il punto dolente

Una grande azienda automobilistica vuole entrare nel mercato degli affluent ma vede solo barriere all’ingresso. Eppure…c’è un segmento di clienti speciali in crescita che non aveva visto. E che cerca costose alternative ai modelli di Bmw, Mercedes e Audi

Pubblicato il 29 Giu 2022

Photo by Jonathan Gallegos on Unsplash

“Lo sai Barbieri che cos’è la postura antalgica?” dico io.

“mmh.. una malattia rara che ti viene dopo …gli anta?”, dice la recluta Barbieri che di anni ne ha evidentemente meno di quaranta.

“No, è quella posizione che uno assume inconsapevolmente per ridurre un dolore fisico. Succede più volte di quanto pensi, il nostro corpo si adatta! Siamo campioni mondiali di adattamento! Il punto qual è: la postura antalgica porta alla lunga ad altre forme di sofferenza. Mal di schiena, mal di denti, mal di stomaco etc.”

“Che fregatura! E lei ha questa… non-malattia?”

“È probabile, e ce l’hanno anche molte aziende. Le osservi mentre si contorcono attorno a problemi così vecchi da non riuscire più a riconoscerli  e arrivano anche a fare scelte dolorose… ma in realtà stanno solo evitando di affrontare il vero punto dolente, che sembra insormontabile.”

“Scelte dolorose tipo?”

“… tipo rinunciare ad un mercato, considerarlo una partita persa!”

Stavamo camminando, e Barbieri mi seguiva un passo indietro, forse per deferenza, o forse gli facevano male i piedi. Era agghindato come un pinguino perché avevamo avuto una riunione con la “Signora di Toronto”, la responsabile global strategy di una grande azienda automobilistica: appena usciti dalla tana del lupo ed eccoci sprofondati nel covo del serpente a sonagli. Il cliente Affluent. In tutta onestà, era un non-cliente. La Signora di Toronto ha liquidato candidamente il caso in uno slang che avrei giurato non essere canadese: “Questo è il territorio del cartello BMA. Meglio starne fuori, sparano a vista.”

Però c’era una piccola ed impavida squadra locale di innovazione in tenuta tattica che voleva a tutti i costi fare irruzione. La Signora aveva opposto prudenza e così avevano convenuto di mandare avanti noi, a mappare il terreno e capire quale fosse il punto più sicuro per cominciare a scavare un tunnel. Sempre che ci fosse un punto e da Toronto gridavano di no: tutto minato.

Nella mia carriera gli unici campi che ho dovuto sminare erano seminati di pregiudizi delle aziende nei confronti dei loro stessi clienti. Quindi non sarebbe esploso nulla di brutto sotto i nostri passi. Alla peggio avremmo creato un po’ di imbarazzo a Toronto, ma questo si mette sempre in conto in casi delicati come questi.

B sta per BMW, M sta per Mercedes, A sta per Audi. Il circuito di auto per persone benestanti, in gergo Affluent. Gli Affluent hanno un tale livello di benessere che sembrano non essere toccati dalla lotta di tutti gli altri per avere una vita dignitosa. Hanno davvero problemi normali, come la maggior parte delle persone normali? Hanno davvero problemi?

Affluent viene da ad-fluere ed è chiaro che cose affluisce: i soldi, la ricchezza. Quello che è meno evidente dal nome è che c’è anche un deflusso delle stesse sostanze in senso ostinato e contrario, che gli affluent risalgono come salmoni innamorati per una parte consistente della loro vita: i figli, le scuole costose, le vacanze, poche ma esclusive, case importanti, hobby dispendiosi e le auto, certamente… Risalire la corrente è una sfida pesante in cui non c’è tempo da perdere.

“Ok son problemi anche questi” conviene Barbieri, “Ma guardi quest’auto!” e si inchina davanti ad una BMW X5. “Io pago per il viva voce, per lo schermo navigatore… cose utili insomma. Ma oltre una certa cifra ci sono solo optional capisce… insomma, non riesco a vedere la caratteristica realmente necessaria, la ragione pratica ed importante per prendere questa e non un’altra, ce ne sono decine anche fuori dal cartello BMA!”

Il signor Mario appoggia il braccio alla portiera aperta della sua Audi A8 come se lo passasse sul collo di un commilitone: “Con lei, quando mi sposto per lavoro, non ho nulla da spiegare, capite? Mi basta un bel logo e un motore potente. Punto.”

Luisa fa la direttrice commerciale nell’azienda di famiglia, e guida una Mercedes. “Mio padre aveva solo Mercedes e così io. Sono buone auto, ma sono soprattutto il mio biglietto da visita”.

Nessuna mina che esplode finora. Ci sono barriere all’ingresso di questo mercato che neanche ai tempi di Pablo Escobar. Le auto del cartello BMA sono come la lingua inglese, ma meglio. Attraverso l’alfabeto dei segni (il marchio, il modello), permettono a chi le guida di posizionarsi nel mondo degli affari come persona qualificata ed affidabile e lo fanno in pochissimi secondi. Quindi tutti le assumono! Chi sarebbe così scellerato da parlare cecoslovacco ad una riunione internazionale di lavoro? O Italiano? O finlandese? Di lingue franche ce ne sono poche e diventarlo da zero è un bagno di sangue. Sembra che la Signora di Toronto sapesse già tutto.

Barbieri giocherella con una moneta da 50c, nervoso. La gira, la rigira. “Ho l’impressione che ci stiamo perdendo qualcosa. È qui davanti a noi e non la vediamo…”. La recluta non riusciva a togliersi dalla testa la conversazione con il sig. Maurizio, che si lamentava del fatto che nella sua zona i ‘mafiosi’ girassero con la sua stessa auto o della signora Claudia, che aveva sostituito l’Audi con una Maserati perché “ce l’avevano tutti uguale”.

La cosa che ci stavamo perdendo è che anche le migliori soluzioni hanno dei problemi. Un’auto del cartello BMA la riconoscono tutti, e questo è un bene, ma è anche un male. Perché significa che non riesci a distinguerti da nessuno che come te non ha tempo da perdere per mantenere lo stile di vita esclusivo della propria famiglia. Ma una cosa è certa: non c’è nulla di esclusivo in una BMA da lavoro. E questo è un grande grandissimo problema che esplode proprio come una mina quando si solleva il piede dalla vita lavorativa e si spezzano le catene della professione.

Ne cerchiamo altri, di affluent scatenati, cioè in pensione, e ci raccontano tutti la stessa storia: “Finalmente mi posso permettere di non comprare più BMA, sono così noiose!”“ Posso finalmente essere me stesso, senza dover per forza imitare gli altri, che cosa voglio di più?”“ Voglio un’auto diversa, che mi porti ovunque!”

E questo la Signora di Toronto non se l’aspettava: era così convinta che tutti gli affluent fossero una partita persa, che non si è resa conto di avere davanti un mercato in crescita (i pensionati benestanti sono sempre di più) alla ricerca di costose alternative. Il cartello BMA era forte, senza dubbio, e ha inflitto un duro colpo in tutti questi anni ai concorrenti, non c’è dubbio, ma la vera ferita è stata considerare questa forza ineluttabile, e fare di tutto per stare alla larga..

La piccola ed impavida squadra di innovazione in tenuta tattica ha preso subito posizione.

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Irene Cassarino
Irene Cassarino

Irene Cassarino, ingegnera di formazione, PhD in Gestione dell’Innovazione, è CEO e fondatrice di The Doers, ora parte del gruppo Digital Magics. Ha dedicato tutta la sua vita professionale alla ricerca di nuovi mercati, lavorando con più di 200 startup e decine di grandi aziende italiane e internazionali.

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