Un’iniezione di fiducia per il venture capital, che in ultima analisi avrà ricadute positive sulla nascita e lo sviluppo di nuove startup: è quello che può scaturire dalla decisione di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) di avviare due fondi di fondi, uno appunto per il venture capital (finanziamento con capitali di rischio di avvio o early stage di un’iniziativa imprenditoriale), e uno per il private debt (in pratica mini-bond). Entrambi saranno affidati in gestione al Fondo Italiano d’Investimento. Un’iniziativa accolta con grande soddisfazione dall’Aifi, Associazione italiana del private equity e venture capital. E che, sempre secondo l’Aifi, potrebbe contribuire a riversare sul mercato delle startup una cifra stimata tra i 200 e i 300 milioni di euro.
In pratica, con questa iniziativa, i fondi di venture capital e di private debt, esistenti e nuovi, potranno ricevere impulso per l’avvio di nuove iniziative. È noto che i fondi di private equity, per operare, hanno bisogno di capitale. Si pongono un obiettivo (per esempio raccogliere 50 milioni di euro per investire nelle pmi) e si accingono alla raccolta di capitale tra gli investitori quali istituzioni, altri fondi ecc. ecc.. Dopodiché monitorano il territorio e valutano quali imprese hanno in quel momento bisogno di capitale. In realtà in questi ultimi anni i fondi hanno avuto difficoltà a raccogliere capitale, anche perché c’è scarsa fiducia nel sistema Italia da parte degli investitori esteri, che piuttosto scelgono di acquistare direttamente un’azienda.
In questo contesto si inserisce la decisione della Cdp, società per azioni a controllo pubblico che gestisce il risparmio postale, con una mossa che punta al rilancio del settore. Come detto, i due fondi di fondi saranno affidati in gestione al Fondo Italiano d’Investimento – società costituita nel 2010 su iniziativa del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di alcune banche sponsor e associazioni di categoria – di cui Cdp detiene una quota del 12,5%.
Attraverso questo “braccio operativo” Cdp farà in modo che confluiscano risorse finanziarie nei fondi di venture capital e di private debt. Un contributo in grado di far scattare un positivo “effetto imitazione”: se infatti, per esempio, un fondo di venture capital deve raccogliere 50 milioni di euro, e ne riceve 10 milioni dal fondo dei fondi, questo contributo potrebbe costituire un impulso per altri fondi a effettuare analoghi investimenti e in qualche modo fare da traino all’investimento complessivo.
“Può fungere da stimolo per catalizzare i capitali di investitori italiani e internazionali” si legge in una nota di Aifi, che da tempo sollecitava questa iniziativa.
Del resto non è un segreto per nessuno che in Italia il settore del venture capital è ancora asfittico, pur avendo, proprio per questo motivo, enormi potenzialità di crescita.
Ad oggi operano nel nostro Paese meno di 30 operatori di venture capital, inclusi quelli di emanazione pubblica e regionale. Un numero che scende a quota 15 se guardiamo solo agli indipendenti che, nel 2013, hanno investito poco più di 57 milioni di euro a fronte di un mercato internazionale molto più ampio.
Per quanto riguarda i fondi di private debt (minbond) sono sulla carta 23 di cui solo 3 hanno già raggiunto il primo closing.
“Con l’avvio di queste iniziative – sostiene l’Aifi – si può pensare di riversare sul mercato delle startup ulteriori 200/300 milioni di euro e su quello dei minibond, circa 3/4 miliardi di euro, se tutti gli operatori raggiungeranno il loro obiettivo di raccolta”.