Dagli insuccessi si impara che il tempismo è tutto nel business. Così Travis Kalanick, 37 anni, ideatore e amministratore delegato di Uber, l’applicazione che permette di noleggiare auto con conducente che sta facendo infuriare i tassisti di Milano, racconta al Financial Times l’origine della sua scalata verso l’olimpo delle startup della Silicon Valley. Se non si aspettano i tempi giusti il fallimento è in agguato, e Travis l’ha sperimentato con le sue prime società: Scour Inc. e Red Swoosh, la prima costretta a chiudere perché accusata di contravvenire alle leggi sul copyright, la seconda venduta per 19 milioni di dollari, nel 2007. “Nella mia ultima società, quando non ho guadagnato nemmeno un centesimo per i primi quattro anni – ha affermato Travis – ho imparato in fretta che non era il momento giusto. Così diventi bravo a riconoscerlo”.
Uber è la prova che basta aspettare. Nel 2009, proprio quando le vendite di smartphone crescevano esponenzialmente e si diffondeva la cultura dei servizi on-demand, Travis Kalanick e Garrett Camp hanno ideato un’applicazione che consente di prenotare con il cellulare le automobili con conducente, a un prezzo superiore a quello dei taxi ma inferiore rispetto ai servizi di noleggio. L’app sceglie la macchina più vicina al cliente ed è possibile contattare telefonicamente il conducente e avere una stima del costo della corsa. Da San Francisco il servizio si è diffuso in un centinaio di città di 36 Paesi, tra le quali New York, Londra, Parigi e ora anche Milano e Roma, suscitando un po’ ovunque le proteste dei tassisti. Da ultima la contestazione del 17 maggio, ai Giardini Montanelli di Milano. Le auto bianche milanesi si sono bloccate per manifestare contro la concorrenza considerata sleale del servizio on-demand, che opera nella stessa fetta di mercato.
Nonostante le rivendicazioni sindacali, Uber ha visto una crescita del fatturato di circa il 20 per cento al mese, secondo il Financial Times, e Kalanick è entrato nella lista delle 100 persone più influenti al mondo del Time, occupando posizioni che un tempo erano di giganti della Silicon Valley come Mark Zuckerberg e Tim Cook. Un’impennata che ha convinto, lo scorso agosto, Google Ventures ad impegnarsi nel progetto con 258 milioni di dollari, che si sommano agli iniziali investimenti di Menlo Ventures, First Round Capital, Lowercase, Benchmark e Goldman Sachs.
Secondo la stampa inglese, la società sta cercando un nuovo round di finanziamenti per raggiungere una valutazione di 10 miliardi di dollari, corrispondente al prezzo di altre startup californiane di successo come Dropbox e AirBnB, in modo da poter sbaragliare la concorrenza di Lyft, Hailo e altre applicazioni di taxi di tutto il mondo. Triplicherebbe, così, la stima sulla sua valutazione di soli nove mesi fa, pari a circa 3 miliardi di dollari.