In un periodo storico in cui le nostre giornate sono scandite dal numero dei contagi, un’indicazione interessante viene da Matthew Clancy di Iowa State University il quale, analizzando gli studi dello storico dell’innovazione Anton Howes e altre ricerche, conclude che: “Entrepreneurship is contagious”.
Di seguito riassumo i punti principali della riflessione di Clancy (rimandando al podcast per l’analisi completa).
1) La capacità di innovare e l’imprenditorialità non sono doti innate, sono invece qualità che vengono apprese (“received”).
Di conseguenza, le persone innovano quando sono ispirate e spinte a farlo. Quando le persone non innovano, è semplicemente perché non sono a conoscenza che una tale opportunità esista.
2) Gli imprenditori emergono più facilmente in ecosistemi ad alto tasso di innovazione
Se qualcuno vive e/o lavora a contatto con imprenditori, è più probabile che possa seguirne le orme. Questa osservazione ribadisce l’effetto “spill-over” che di solito scaturisce dalle startup di successo (un esempio celebre è la “PayPal mafia”, ossia i tantissimi dipendenti di PayPal che hanno dato vita a proprie aziende).
3) Il contagio è casuale, fortuito
L’esposizione a comportamenti imprenditoriali non è detto che dia luogo a nuovi comportamenti imprenditoriali. Questo è il punto più debole del ragionamento di Clancy che parzialmente contraddice il primo punto.
La mia opinione al riguardo è che l’imprenditorialità sia invece una dote naturale, un dono di natura. Imprenditori si nasce. Ma molto spesso è un talento sepolto, dormiente. L’imitazione e quindi l’esposizione a esperienze imprenditoriali possono aiutare a innescarlo. In molti casi imprenditori non si diventa, se non propriamente stimolati.
Per questo è fondamentale insegnare imprenditorialità nelle università (non solo nelle facoltà di economia ma anche in quelle scientifiche così come nelle scuole) come promuovere l’imprenditorialità dentro le imprese (i cosiddetti programmi di intrapreneurship, ne avevo parlato qui su Sifted del Financial Times).
Non perché tutti siano imprenditori. Ma per “infettare” quelli che hanno la potenzialità di diventarlo e che, per mancanza di conoscenza e strumenti, potrebbero non diventarlo di propria iniziativa.