Noi cittadini europei saremmo così delusi dai politici da ritenere che gli algoritmi farebbero meglio. Questo avrebbe rivelato il sondaggio del Center for the Governance of Change dell’IE dell’università di Madrid, specializzato nell’analisi dei collegamenti tra politica, economia e sviluppi della tecnologia.
Stando alla ricerca, il 51% degli elettori europei sarebbe favorevole a ridurre il numero dei parlamentari e ad attribuire quei seggi a un sistema di intelligenza artificiale. In Italia la percentuale sale al 59%, in Spagna addirittura il 66% dei cittadini preferirebbe un algoritmo ai parlamentari in carne ed ossa.
Oscar Jonsson, direttore accademico del Center for the Governance of Change e tra i principali autori dello studio, ha affermato che questi risultati confermano la “perdita di fiducia nella democrazia come forma di governo“.
La democrazia non è un elemento presente in natura ma il risultato di una evoluzione culturale e sociale e di scelte ben precise. Le nostre democrazie sono fragili e non in buona salute. Il Covid, con tutto quello che ha portato con sé, ha messo ancora più in difficoltà la democrazia rappresentativa.
Di questo, dei limiti dell’algocrazia, dei limiti degli algoritmi e del potere di chi li governa, abbiamo discusso pochi giorni fa con padre Benanti, Luciano Violante, Giorgio Rutelli, Maria Cristina Antonucci e Manuela Conte, partendo da quanto scrivo nel mio nuovo libro “Social è responsabilità”.
Sono state riflessioni importanti, da continuare e da approfondire, per fare della democrazia una “tecnologia solidale”, capace di continuare a garantire la libertà dei cittadini, delle famiglie e delle imprese, in grado di limitare le ingiustizie, la povertà diffusa e la disuguaglianza. Vasto programma? Può essere…ma non ne possiamo avere un altro.