LEGISLAZIONE & INNOVAZIONE

Eredità digitale: dalle foto alle criptovalute servono nuove regole

Nonostante la diffusione di dispositivi e piattaforme tecnologiche, non sono previsti meccanismi e regole sulla successione dei beni digitali. Che possono anche avere valore economico. Ecco perché urge un intervento legislativo europeo, dice l’avvocato che ha vinto contro Apple per un’eredità di foto e ricette nel cloud

Pubblicato il 25 Feb 2021

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Per la prima volta in Italia, il 9 febbraio 2021, un Tribunale della Repubblica italiana ha sancito il principio di “eredità digitale” riconoscendo il diritto di due genitori a ottenere l’accesso all’account iCloud Apple del figlio deceduto in un incidente stradale. A rappresentarli sono stati gli avvocati Mirko Platania e Assuntina Micalizio dello studio Lexpertise Legal Network di Milano. In questo intervento per EconomyUp l’avvocato Platania spiega le implicazioni della pronuncia che possono riguardare anche valori economici come le criptovalute.

È l’eredità digitale la nuova frontiera del diritto, lungo la quale si confrontano, soprattutto in queste ultime settimane, giuristi e operatori del web. Ad accendere il dibattito è stato un recente provvedimento del Tribunale di Milano (9 febbraio 2021), sezione prima, con cui viene affermato, per la prima volta in Italia, un diritto di fondamentale importanza in materia di “eredità digitale”: quello di accesso degli eredi ai dati personali dell’account di un familiare defunto.

Il concetto di eredità digitale

Ma prima di affrontare l’analisi del provvedimento in oggetto è opportuno inquadrare, seppur brevemente, il concetto di “eredità digitale”, un fenomeno i cui contorni giuridici si sono delineati, con sempre maggior forza, solo in tempi recenti. È bene infatti comprendere in prima analisi cosa sia esattamente il patrimonio di dati che ciascuno di noi, con l’uso del web, dei social, di un pc o di una semplice stampante, “proietta” nel cyberspazio e in che misura abbia effetto in ambito successorio.

Oggi il patrimonio delle persone fisiche si compone anche di nuovi cespiti: i beni cosiddetti digitali. Sarebbe restrittivo individuare il “patrimonio digitale” solo nel cumulo di video, foto, immagini che ognuno di noi conserva nel proprio pc o smartphone: sarebbe una visione semplicistica del fenomeno.

Il “patrimonio digitale” è in realtà molto di più di un “cofanetto di ricordi”, è un capitale di beni, in formato binario, in cui vengono custoditi documenti informatici, opere d’arte digitali, progetti, scritti letterari o scientifici, criptovalute, corrispondenza elettronica.

La maggior parte di questi beni sono suscettibili di valutazione economica e pertanto possono ricomprendersi, a pieno titolo, nell’asse successorio di un defunto.

Eredità digitale: il provvedimento del Tribunale di Milano

Il provvedimento della prima sezione del Tribunale di Milano attiene, nello specifico, al diritto per gli eredi di acquisire, direttamente dalla società informatica, le credenziali d’accesso all’ID del de cuius andate smarrite o irrintracciabili. Le credenziali consentono così la trasmissione mortis causa di tutti i diritti sui beni digitali o sul relativo server che appartenevano al defunto. La pronuncia del Tribunale di Milano è destinata ad avere un seguito giurisprudenziale in un ambito ancora da normare.

I genitori di un giovane prematuramente scomparso volevano accedere ai dati dello smartphone del figlio. Di fronte al diniego della Apple a rivelare le credenziali di accesso dell’ID del ragazzo, abbiamo individuato nel procedimento cautelare e d’urgenza lo strumento processuale ottimale per ottenere, in tempi rapidi, una pronuncia favorevole per i nostri assistiti. La questione traeva origine da un sinistro stradale, verificatosi nel febbraio 2020 a Milano, a seguito al quale il figlio dei ricorrenti perdeva tragicamente la vita e andava distrutto il suo cellulare e, con esso, i dati contenuti al suo interno.

I dispositivi elettronici integrano tuttavia da tempo sistemi di archiviazione, sincronizzazione e gestione da remoto e online dei file inseriti nei vari dispositivi fisici. I genitori del giovane dunque, per cercare di recuperare le sue ultime foto, i video e le ricette (il ragazzo era un promettente chef) contenute all’interno dello smartphone, chiedevano ad Apple di poter seguire una specifica procedura – denominata “trasferimento” – volta a recuperare la password dell’account I-cloud (il sistema ufficiale di sincronizzazione e archiviazione online dei file della Società) del figlio e poter accedere al materiale sincronizzato.

Il colosso di Cupertino – come fatto in passato anche a fronte della richiesta proveniente dall’F.B.I., per ragioni di sicurezza nazionale – aveva negato l’accesso ai genitori del ragazzo, chiedendo che gli stessi dimostrassero di essere in possesso di alcuni stringenti requisiti “sconosciuti” al nostro ordinamento giuridico, tipici invece di quello statunitense (tra cui il rispetto delle regole di cui all’Electronic Communications Privacy Act, normativa che non trova applicazione in Italia).

Il Tribunale di Milano pertanto ha rilevato l’erroneità e la non rispondenza alla normativa italiana delle richieste avanzate da Apple e, condividendo il nostro iter argomentativo, ha accolto la domanda giudiziaria, ordinando alla Apple il rilascio delle credenziali di accesso dell’ID dello smartphone del giovane e al contempo evidenziando l’importanza di valorizzare l’autonomia dell’individuo, lasciando a questi la scelta: concedere agli eredi ed ai superstiti legittimati la facoltà di accedere ai propri dati personali (ed esercitare tutti o parte dei diritti connessi) oppure sottrarre all’accesso dei terzi tali informazioni.

Il Giudice, in punto di ripartizione dell’onere probatorio, ricostruisce poi la questione ritenendo che spetti ad Apple fornire espressamente in giudizio la prova del diniego espresso dal ragazzo alla trasmissione – agli eredi – delle proprie credenziali. L’eventuale volontà dell’interessato sulla destinazione dei propri contenuti digitali dopo la propria morte tuttavia non è sempre facile da rintracciare o da ricostruire.

I limiti delle policy di social network e piattaforme digitali

Le grandi società che producono o commercializzano dispositivi elettronici (ma lo stesso vale anche per le aziende che gestiscono social network o per le piattaforme digitali su cui vengono comunque caricati e archiviati file da parte degli utilizzatori) prevedono sul tema infatti dinamiche e policy determinate unilateralmente e che non consentono una scelta libera da parte dell’utilizzatore.

In altri termini, al momento dell’acquisto di un apparecchio elettronico (o al momento della registrazione su una delle piattaforme digitali di cui si è detto), l’utente si trova a dover accettare – senza possibilità di esprimere una scelta di senso contrario – le condizioni generali di contratto e di uso del servizio (che spesso, anche a motivo dell’eccessiva lunghezza delle stesse, vengono lette sbrigativamente dall’utente) che prevedono la titolarità esclusiva (in capo al proprietario) e la non trasmissibilità dei contenuti digitali a soggetti terzi (es. genitori).

Le società fornitrici di questi servizi non prevedono invece (alcune di queste, per la verità, stanno iniziando a predisporre meccanismi per designare un dato soggetto come “incaricato” della – sola – gestione dell’account, come si dirà dopo) la possibilità per l’utente di esprimere, in sede di acquisto del dispositivo o di iscrizione al servizio/social network, una scelta di senso contrario.

Facebook, ad esempio, ha previsto la possibilità – per i fruitori iscritti al social – di scegliere di nominare un “contatto erede” che gestisca l’account “commemorativo” di una persona venuta a mancare.

In sostanza, quando Facebook viene a conoscenza del decesso di un iscritto trasforma il profilo di questi in “commemorativo”.

Se l’utente non aveva, mentre era in vita, designato alcun “contatto erede” l’account commemorativo non verrà gestito da nessuno e non sarà possibile apportare alcuna modifica né alle impostazioni né ai post.

Nel caso in cui, invece, sia stato nominato un “contatto erede”, quest’ultimo potrà gestire (anche se con varie limitazioni) l’account del defunto, potendo ad esempio modificare le immagini del profilo e di copertina, accettare richieste di amicizia etc.

Il limite di un simile meccanismo è però indubbiamente rappresentato dal fatto che la scelta da parte dell’utente non viene effettuata al momento dell’iscrizione al social network ma in sede di impostazioni successive del proprio profilo (e non tutti gli utenti ne conoscono l’esistenza).

Il confine è aggravato nelle situazioni imprevedibili, come quella che ha dato luogo alla pronuncia del Tribunale di Milano in cui il ragazzo è scomparso tragicamente in giovanissima età.

È infatti naturale che, in questi casi, debba essere ricostruita – tramite la lettura dei dati e degli elementi fattuali che si hanno a disposizione nel caso concreto – la presunta volontà del soggetto venuto a mancare.

Servono regole per la trasmissibilità del patrimonio digitale

La questione della trasmissibilità dell’eredità digitale non è di poco conto (e assume anzi fondamentale importanza), soprattutto alla luce della diffusione dei sistemi informatici, della nascita di sempre nuove piattaforme di social network e del costante sviluppo tecnologico. Il massiccio uso dei dispositivi tecnologici (quali smartphone, tablet etc.), che ormai gran parte della popolazione possiede, contribuisce ad alimentare la cd. “identità digitale” di ciascuno individuo e non prevedere meccanismi (e una regolamentazione apposita) per consentire la successione dei propri eredi in questo “patrimonio digitale” è una visione miope del futuro prossimo.

I meccanismi allo stato adottati dalle varie piattaforme e la regolamentazione giuridica attualmente vigente non sempre consentono il recupero dei dati di accesso a questi account da parte degli eredi: con la paradossale conseguenza per cui un erede potrebbe avere il diritto di ricevere il residuo (anche inesistente) di un normale conto corrente bancario e non anche quello di ottenere l’accesso e il “trasferimento” del patrimonio (potenzialmente milionario) determinato dal possesso di criptovalute del defunto.

E cosa succede se i beni aventi solitamente un carattere “non patrimoniale” (come le fotografie o i video) avessero invece un contenuto economico (anche consistente), derivante dalla professione “digitale” svolta dal defunto (si pensi a quei soggetti che svolgono professionalmente un’attività sui social network, godendo di un ampio bacino di follower, con rapporti di collaborazione retribuiti con varie aziende)?

La pronuncia del Tribunale di Milano, al di là dell’indubbio valore innovativo in ragione del quale è stata etichettata come “storica” dalla stampa e dai professionisti specializzati nel settore, ha il merito di evidenziare le problematiche e i limiti che la questione dell’eredità digitale presenta.

I social network e le società che operano – come Apple – nel settore informatico dovrebbero infatti valutare nuovi meccanismi e adottare politiche che consentano un corretto bilanciamento tra il diritto alla tutela della privacy e il diritto alla successione degli eredi, con strumenti che consentano – con il maggior grado di sicurezza possibile – di individuare (e ricostruire) la volontà dell’utente defunto.

È pertanto auspicabile che il solco tracciato dal provvedimento in esame, possa rappresentare l’inizio di una nuova era nella gestione dei nostri dati personali che contempli la creazione di una normativa specifica e il più possibile unitaria, anche a livello Comunitario e una seria riflessione delle aziende IT, con la conseguente adozione – da parte loro – di precise scelte operative.

Il moltiplicarsi delle piattaforme a livello mondiale, infatti determina – dal punto di vista legislativo – una complessità che solo il Legislatore Europeo può gestire, richiedendo specifiche modalità operative ed uniformità di policy sul territorio dell’Unione.

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Mirko Platania, avvocato

Avvocato dello studio Lexpertise, opera prevalentemente in ambito civilistico e ha maturato esperienza nella gestione di sinistri stradali, in materia di responsabilità professionale e diritto delle nuove tecnologie.

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