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Come l’innovazione cambia le regole del lavoro: Just Eat e il contratto dei rider

Da marzo Just Eat assumerà i rider con contratto di lavoro subordinato. E la procura di Milano obbliga le principali aziende del settore ad assumerne 60mila. È stata la pandemia ad accendere i riflettori su food delivery e sicurezza. Così l’innovazione rivoluziona le vecchie norme

Pubblicato il 24 Feb 2021

rider

La Procura di Milano sta indagando sulle condizioni di lavoro dei rider che lavorano per la piattaforme di food delivery. La notizia è stata diffusa dalla stampa quotidiana ma sembra che ancora non ci sia stata alcuna comunicazione ufficiale alle società interessate. Si parla di multe e di un obbligo di assunzione per 60mila rider. Siamo solo all’inizio di una vicenda giudiziaria che, ancora una volta, conferma come spesso si creino disallineamenti tra nuovi modelli di business e leggi e norme del lavoro condivise. Il cambiamento però è in corso: è stato definito un contratto di lavoro per i rider e c’è chi si è già impegnato ad assumerli. Ecco l’analisi dell’avvocato Francesco Maria Valle sulla storia giuridica dei rider in Italia e sull’impatto che l’innovazione porta sui modelli regolatori tradizionali. 

Just Eat, la piattaforma di food delivery, ha annunciato di recente che assumerà i rider con contratto di lavoro subordinato a partire dal prossimo marzo. Sarà Monza a fare da apripista al modello di lavoro subordinato di Just Eat. Il contratto da lavoro dipendente prevede un compenso orario, ferie, malattia, maternità/paternità, indennità per lavoro notturno, festivi, coperture assicurative, formazione obbligatoria relativa a codice della strada e sicurezza per il trasporto del cibo e tutele previdenziali.

Il 24 febbraio 2021 la procura della Repubblica di Milano, al termine di un’indagine avviata dopo vari infortuni stradali durante il lockdown, ha stabilito che i rider sono lavoratori subordinati, e ha obbligato le principali aziende del settore ad assumerne 60mila, comminando multe per mancata sicurezza per un totale di 733 milioni di euro.

La notizia segna il passo di una lunga fase di adattamento della prassi giuridica a nuove modalità di lavoro e in genere alle professioni ibride, quelle che recano elementi di spiccata autonomia e altrettanti indici di evidente subordinazione.

In Italia le sorti lavorative dei rider hanno da subito  incuriosito l’opinione pubblica che ne ha seguito attentamente le vicende processuali, nonché i media, le istituzioni e l’associazionismo. Questi attori, con grande partecipazione di contributi interpretativi, hanno favorito diverse letture del fenomeno.

Certamente nella realtà economica italiana, le aziende che si occupano di food delivery rappresentano una nicchia di mercato (la gig economy), ma l’eco mediatica e giudiziale che ha amplificato il caso è stata infinitamente più ampia del mercato di riferimento.

La scelta dichiarata dal Country Manager di Just Eat Italia come “etica e di responsabilità”, e “un grande investimento, economico e sulle persone”, si spiega però solo avendo ben presenti i numerosi passaggi regolamentativi della categoria.

Dunque, per meglio comprendere il fenomeno rider del food delivery non si può prescindere dalla valutazione della cronistoria degli ultimi anni di battaglie – anche nelle aule giudiziarie – che contestualizza la decisione aziendale.

Impossibile non partire dalla vicenda “Foodora” che ha contribuito a far esplodere il caso dei rider in Italia.

Food delivery e rider in Italia: breve storia giuridica

La storia giudiziaria parte nel maggio 2018, con il rigetto da parte del Tribunale di Torino del ricorso di alcuni rider che chiedevano di essere inquadrati come lavoratori subordinati; ovvero in subordine, l’applicazione delle previsioni sul lavoro parasubordinato previste nel Jobs Act (in particolare l’articolo 2, comma 1, D.lgs. n. 81/2015 che estende la disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni coordinate e continuative).  Il Tribunale motivava il rigetto sotto due profili: non rilevando alcun vincolo di subordinazione, poiché i rider erano liberi di scegliere quando e quanto tempo lavorare (elementi incompatibili con la subordinazione) e atteso che l’art. 2, D.lgs. n. 81/2015 era inapplicabile, trattandosi di “norma apparente”, quindi inidonea ad esplicare effetti diretti nell’ordinamento.

In buona sostanza il primo accesso alle aule giudiziarie di un lavoratore attivo tramite utilizzo di piattaforma digitale vede il sistema rigidamente ancorato ai cardini di un austero dualismo subordinazione/lavoro autonomo.

Velocemente all’inizio del  2019 il caso giunge alla Corte di Appello di Torino, che pur confermando l’assenza del vincolo di subordinazione rilevata dal Tribunale di Torino, riformava parzialmente la sentenza di primo grado  individuando una nuova categoria legale intermedia nel quale ricadrebbero le collaborazioni etero-organizzate, interposta tra la subordinazione e la collaborazione coordinata e continuativa, ex articolo 409, n. 3 c.p.c riconoscendo ai rider il diritto “a vedersi corrispondere quanto maturato in relazione all’attività lavorativa da loro effettivamente prestata in favore di Foodora, ai sensi dell’art. 2, D.lgs. n. 81/2015”.

Non vi è dubbio che il forte dibattito seguito alla sentenza di primo grado abbia consentito la maturazione nella Corte di una valutazione più sfumata della dicotomia fra le due posizioni.

Vero è però che nuovamente veniva corretta l’impostazione giurisprudenziale dalla sentenza di Cassazione, a seguito di  ricorso dell’azienda e, nelle more del giudizio, l’art. 2, D.lgs. n. 81/2015 veniva parzialmente modificato dal D.L. 3 settembre 2019, n. 10110 (il cui testo è privo di efficacia retroattiva).

In tema la Suprema Corte ha sostenuto che quello dei rider non costituisca tertium genus intermedio tra lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. e collaborazioni ex art. 409, n. 3 c.p.c.. ribadendo i presupposti tipizzati dal Legislatore (personalità, continuità, etero-organizzazione) e le conseguenti norme applicabili in una mera lettura di legittimità e non di merito.

Effetto pandemia: riflettori puntati sulla sicurezza

Ma con l’emergenza sanitaria da COVID 19 l’innovazione ha trovato nuovamente campo aperto per ribadire le nuove esigenze di lavoro deregolamentato, che ha riacceso i riflettori sui rider.

Con il Dpcm 11 marzo 2020 e la conseguente chiusura della gran parte delle attività economiche e produttive – fra cui bar e ristoranti – la consegna a domicilio di cibi e bevande e l’attività dei rider è tornata prepotentemente a far parlare di sé. In questo caso l’accesso a forme di lavoro organizzato su piattaforma e totalmente remotizzato si è rivelato fondamentale per consentire ai ristoratori di limitare i danni del lockdown. La riattivazione dell’interesse per la categoria ha però svelato anche inesplorate lacune normative in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro. 

E nuovamente i Tribunali si sono trovati sul palcoscenico dell’attualità, chiamati in via d’urgenza dai rider a intervenire sulla necessità di ottenere dispositivi di protezione individuale (cd. Dpi), quali mascherine, guanti, gel igienizzanti e soluzioni a base alcolica per la disinfezione degli zaini, che permettessero loro di svolgere la propria attività in condizioni di sicurezza. Varie ordinanze fra cui Tribunale di Firenze, 1 aprile 2020 e quella del Tribunale di Bologna del 14 aprile 2020 hanno disposto in tal senso.

È stato dunque ritenuto applicabile ai rider il Capo V-bis del d.lgs 81/2015, rubricato Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali e finalizzato, in base a quanto disposto dal comma 1 dell’art. 47-bis, a “stabilire livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore”.   In particolare, tra i “livelli minimi di tutela” citati, l’art. 47-septies, co. 3 include l’obbligo “per il committente che utilizza la piattaforma” di rispettare la disciplina ex d.lgs. 81/2008 (cd. Testo Unico sicurezza sul lavoro).

Nel 2020 il primo contratto collettivo nazionale dei rider

Altro evento che ha contribuito a tenere alta l’attenzione sui rider è la sigla,  a settembre 2020, del primo contratto collettivo nazionale da parte del sindacato UGL, tentativo di cristallizzare in un ccnl una normativa per l’intera categoria.

Il contratto collettivo titolato “Contratto collettivo nazionale per la disciplina dell’attività di consegna di beni per conto altrui, svolta da lavoratori autonomi” ha acceso nuovamente il dibattito sulla qualificazione del rapporto di lavoro dei rider.

Una presa di posizione in netto contrasto con la lotta per il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro tra rider e piattaforma che ha suscitato un ventaglio di reazioni divergenti.

Ancora più di recente la sentenza della sezione lavoro del Tribunale di Bologna del 31 dicembre 2020 ha riacceso gli animi, individuando nell’algoritmo utilizzato dalla piattaforma un meccanismo a carattere “discriminatorio”.

Molti l’hanno considerata una sentenza storica nella lotta per i diritti dei ciclo-fattorini in quanto la pronuncia ha dichiarato discriminatorio l’algoritmo (denominato Frank) mezzo di organizzazione del lavoro nella piattaforma di food delivery, effettuata tramite i cosiddetti slots (fasce orarie).  Il Tribunale scende nel dettaglio tecnico interpretando con i mezzi normativi vigenti fattispecie totalmente sconosciute alle aule giudiziarie. Di qualche giorno fa ancora un intervento del Tribunale di Firenze (09.02.21) sul tema ormai noto della qualificazione del rapporto a conferma dell’intensificazione dei casi e della diffusione di nuove tecnologie su ogni fronte.

Questo il quadro generale che consente di dar luce alle scelte imprenditoriali per cui le assunzioni preannunciate da Just Eat siano il frutto di anni di battaglia, confronti accesi tra diversi parti sociali e di un’attenzione mediatica particolarmente costante.

L’innovazione tecnologica ha modificato i “totem normativi”

Oggigiorno, infatti, il tema della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato e l‘individuazione di formule che disciplinino la vastissima congerie di lavori ibridi si evolve di pari passo con i processi di innovazione tecnologica.  Anzi si può serenamente affermare che l’innovazione tecnologica, il lavoro remotizzato, le piattaforme digitali abbiano modificato rapidamente alcuni totem ideologici e normativi, ancora aggrappati alla disciplina di regolamentazione nata negli anni Settanta del secolo scorso.

L’innovazione tecnologica corre, precede e apre la via alle soluzioni pratiche concertative o giurisprudenziali, attendendo che una norma giuridica, un domani, prenda atto e governi la materia.

Nella storia dell’evoluzione giuridica di un Paese e delle norme che regolano il vivere comune è proprio la realtà che si modifica continuamente ciò che porta all’attenzione del Legislatore le nuove urgenze, non il contrario. In materia di lavoro e diritti ciò è sempre accaduto, già con la rivoluzione industriale, con la nascita dell’organizzazione corporativistica, e certamente e impetuosamente con l’innovazione digitale. Quest’ultima ha fatto irruzione nel mondo del lavoro, stravolgendo categorie tipizzate.

Il caso rider punta dell’iceberg del nuovo mondo digitalizzato

La vicenda rider in realtà rappresenta la punta di un iceberg di un intero mondo economico e d’impresa, totalmente digitalizzato e fortemente innovativo, segnatamente proiettato nel presente e nel futuro, che investe capitali, crea ricchezza e sviluppo, ma chiede anche a gran voce disciplina e tutela per chi opera nel settore.

Nell’attesa di indirizzi a livello nazionale, occorrerà lavorare su un accordo di secondo livello che coniughi gli interessi aziendali di flessibilità e sostenibilità, garantendo al contempo un salario certo e dignitoso, un minimo orario garantito, un sistema premiante equo, il riconoscimento di agibilità e diritti sindacali.

In questi giorni, un grande passo in avanti è stato fatto dall’INAIL che con un avviso del 2 febbraio 2021 pubblicato sul proprio portale, ha ufficializzato la disponibilità della procedura telematica per la Comunicazione e la Denuncia di infortunio e malattia professionale con riferimento ad ulteriori categorie di lavoratori: tra questi anche i rider.

Dunque, anche i rider avranno l’assicurazione INAIL e potranno ottenere le stesse prestazioni economiche, sanitarie e riabilitative garantite ai lavoratori dipendenti in caso di infortunio sul lavoro, infortunio in itinere e malattia professionale.

Non resta che attendere i prossimi sviluppi, anche perché il processo di innovazione digitale non è destinato ad arrestarsi ed anzi, cresce sempre più con conseguente innalzamento del numero di soggetti coinvolti.

(Articolo aggiornato al 23/02/2021)

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Francesca Maria Valle
Francesca Maria Valle

Partner di WIlegal, membro della Commissione Lavoro del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Milano, Responsabile del Centro Studi Digital Innovation & Startup di SHR

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