Radicale e determinata come l’attivista Greta Thunberg, ma amata dal World Economic Forum. Popolare in patria come il celebre navigatore e politico sir Francis Drake. Con tanti record e titoli in bacheca da poter rivaleggiare con Giovanni Soldini e uno slogan (“Build Back Better”) ripreso anche da Joe Biden durante le recenti elezioni presidenziali USA. Ellen MacArthur è una ex-velista inglese nota per aver ottenuto il record mondiale di velocità per la circumnavigazione del globo non-stop in solitaria, ma probabilmente il suo nome diventerà celebre – e in molti circoli già lo è – per il suo impegno per l’Economia Circolare.
Molti conoscono la Ellen MacArthur Foundation (EMF), pur senza sapere nulla del passato da sportiva della sua fondatrice, eppure è proprio grazie alle sue esperienze in barca a vela che ha raggiunto la determinazione di voler salvare il pianeta ripensando totalmente il sistema economico su cui si basa la nostra società. Potrebbe apparire come un ideale degno di un estremista o di un romantico, invece la MacArthur ha dimostrato una portentosa pragmaticità.
La EMF infatti è un’ente di beneficenza che opera su diversi livelli per diffondere il verbo dell’Economia Circolare, una soluzione reale ai mali del pianeta che, invece che far scappare grandi aziende e multinazionali, le attira mostrando loro che un altro mondo è davvero possibile e promette profitti importanti. Ma facciamo un passo indietro e partiamo dall’inizio.
Ellen MacArthur Foundation: la storia
Nel 2005 Ellen MacArthur, nata nel 1976, era intenta ad navigare da sola in mezzo all’oceano cercando di fissare un nuovo record. Mentre si trovava a 2.500 km dalla costa più vicine si rese conto che tutte le risorse, acqua e cibo, che aveva sulla barca presto o tardi sarebbe finite. In quelle condizioni estreme, la riflessione si trasfigurò in una potente analogia con la condizione umana sul pianeta, legandosi alla sua coscienza da attivista. Già nel 2003 infatti Ellen aveva fondato il MacArthur Cancer Trust per aiutare i più giovani a combattere contro il cancro e nello stesso 2005 è stata la madrina della campagna per la protezione dell’albatross.
Tornata a terra e folgorata da quell’epifania, per tre anni studiò la questione della sostenibilità fino ad imbattersi nel concetto di Economia Circolare, teorizzato per la prima volta (nello stesso fatidico 1976), da Walter Stahel in un report per la Commissione Europea. Affascinata dalla prospettiva rivoluzionaria, si rese presto conto però che l’impatto reale dell’adozione di questo sistema non era mai stato provato in maniera concreta.
Con la determinazione che solo una velista solitaria può avere, mise sul piatto mezzo milione di sterline di tasca propria per affidare una ricerca al noto studio di consulenza McKinsey, che dopo qualche tentennamento iniziale accettò. Il risultato fu fulminante: per la prima volta emergevano in maniera chiara i benefici economici derivanti dall’adozione di un sistema produttivo circolare. L’analisi infatti, solamente prendendo in considerazione il mercato delle merci europeo, evidenziava la possibilità di risparmiare fino a 630 miliardi di dollari all’anno adottando il nuovo paradigma.
Ormai pienamente convinta della validità economica del concetto, la MacArthur, grazie alle sue imprese marine e alle conoscenze accumulate da personaggio pubblico, riuscì a convincere le prime aziende – B&Q, BT, Cisco, National Grid e Renault – a partecipare alla creazione di una fondazione. Su queste basi e con un budget iniziale di 6 milioni di sterline nel 2009 nacque la EMF, uno one-stop shop che potesse fungere da volano per l’adozione dei principi dell’Economia Circolare.
Poco prima che la nuova entità venisse lanciata pubblicamente ad inizio del 2010, Ellen MacArthur annunciò l’addio alla vela, probabilmente senza immaginare che a breve sarebbe diventata una delle personalità più influenti del mondo. Rinunciare al mare non deve essere stato facile per una velista nata come lei, come ha dichiarato più volte infatti “Pensavo che non avrei smesso mai, mai, mai”. Tuttavia, anche se poco più che trentenne e con diversi anni di carriera ancora davanti ha successivamente affermato che “Più studiavo, più mi spaventavo al punto che sentivo di non poter tornare a gareggiare mettendo da parte tutto quello che avevo scoperto”. Da allora l’unico impegno di Ellen MacArthur è stato far smettere l’umanità di consumare le risorse della Terra.
Capitalizzando il momento di fama – dopo l’impresa del 2005 ha ricevuto la prestigiosa onorificenza di dama dell’Impero Britannico dalla regina Elisabetta – nel giro di due anni arrivò a presentare la sua analisi sull’Economia Circolare al World Economic Forum e oggi, a poco più di dieci dalla nascita, la Ellen MacArthur Foundation è una realtà con più di 100 dipendenti, una sede fissa nell’Isola di Wight e una miriade di studi e progetti innovativi completati o avviati in tutto il mondo che aprono uno squarcio di positività sulla sorte del pianeta.
Cosa fa la Ellen MacArthur Foundation
Partendo dal semplice assunto che l’attuale economia lineare si basa sul consumo di risorse che prima o poi si esauriranno (anche se nessuno sa con precisione quando), la EMF (con sede principale nell’isola di Wight) cerca di ribaltare la prospettiva lineare in un disegno circolare. Principalmente la sua opera avviene su tre livelli: fornire strumenti per la comunicazione e l’istruzione, realizzare studi e ricerche e coinvolgere aziende e istituzioni nel cambiamento. I settori chiave identificati per apportare modifiche evidenti e sostanziali sono cinque: mobilità, plastica, moda, alimentare e finanza.
L’obiettivo finale è cambiare non solo le attività di qualche impresa, ma l’intero il sistema economico mondiale, per questo la Fondazione interviene anche a livello culturale cercando di influenzare il modo in cui le persone pensano. Come ha dichiarato una volta la stessa MacArthur: “siamo davanti a un fallimento sistemico, per risolverlo bisogna andare alla radice e ridisegnare il modo in cui tutto funziona”.
Il primo celebre studio ha scioccato l’opinione pubblica rivelando che il 95% della plastica, che compone imballaggi e involucri, viene scartata dopo essere stata usata una sola volta. Si tratta di 80-120 miliardi di dollari di valore materiale di cui solo il 5% viene recuperato. Il risultato di tutto ciò è che nel 2050, in assenza di cambiamenti, gli oceani arriveranno a contenere più plastica che pesci in termini di peso.
Con uno stile diretto, mirato non alla critica o alla colpevolizzazione, ma all’ispirazione e alla ricerca di una soluzione positiva per tutti gli attori, la Ellen MacArthur Foundation è riuscita ad aprire porte e a ricevere attenzioni anche da quegli ambienti storicamente scettici nei confronti della causa ambientalista. Per riuscire in questa impresa, fin dalla sua fondazione la EMF ha scelto di parlare la lingua dei soldi, volendo dimostrare ad aziende, politici e semplici cittadini che l’innovazione necessaria per mettere in piedi un’economia circolare può portare benefici a tutti, anche a livello economico e lavorativo, oltre che ecologico.
Se l’idea è quella di un’economia a rifiuti zero, dove qualsiasi prodotto deve essere consumato e smaltito senza lasciar traccia, la questione centrale viene identificata nel design: quando si progetta un prodotto è essenziale pensare in prima battuta a come renderlo riparabile, riutilizzabile o ricondizionabile. Innovazione, creatività e scienze dei materiali diventano gli ambiti attorno a cui ruota la nuova economia, una sfida che oggi, grazie a strumenti digitali, IA e Big Data è più alla portata di quanto sia mai stata.
Ellen MacArthur Foundation: i progetti
Oggi le attività della Fondazione si svolgono in America, Asia e soprattutto Europa. L’UE infatti sta svolgendo un ruolo di leadership grazie al Green Deal e al Circular Economy Action Plan. A livello globale invece le operazioni vedono un partner privilegiato nel World Economic Forum, insieme a cui l’EMF ha dato vita alla Platform for Accelerating the Circular Economy (PACE), un acceleratore di progetti legati all’Economia Circolare.
Alimentare
Le innovazioni per il settore alimentare ruotano attorno alle città, luoghi dove entro il 2050 si prevede che vivranno i due terzi della popolazione mondiale consumando l’80% del cibo prodotto, producendo la metà dei rifiuti e il 60-80% dei gas serra globali. I progetti portati avanti mirano ad avvicinare la produzione di beni alimentari a dove vengono consumati, accorciando la catena di distribuzione e migliorando le capacità rigenerative dei territori circostanti ai centri urbani; ridurre gli sprechi e sfruttare gli avanzi in attività di bioeconomia come produzione di fertilizzanti organici, biomateriali, medicinali e bioenergia; infine adottare pratiche di coltivazione e allevamento più salutari per garantire la salute umana e della terra.
Uno degli esempi più lampanti di quanto a volte non sia necessario nemmeno sviluppare nuove tecnologie, ma sia sufficiente comprendere più a fondo come avviene lo scambio tra risorse ed energia in natura, è dato dal nuovo processo produttivo adottato dallo zuccherificio inglese British Sugar. L’azienda produceva 420.000 tonnellate di zucchero e circa 3,5 milioni di tonnellate all’anno di scarti di lavorazione, quasi tutti destinati alla discarica. Applicando i principi dell’Economia Circolare ora l’azienda, utilizzando i vecchi “rifiuti”, realizza una rilevante quantità di altri prodotti che vanno dal terriccio, a bioetanolo, pomodori ed energia elettrica.
Plastica
La plastica è il materiale che più di tutti rappresenta la problematicità dell’attuale schema lineare: prodotto per durare secoli con procedimenti altamente inquinanti, nella stragrande maggioranza dei casi viene utilizzato una volta e gettato via, e solo una piccola parte viene riutilizzato o riciclato. Naturale quindi che fosse il focus principale delle attività della Fondazione che ha speso molte energie per il New Plastics Economy, un piano che vede la partecipazione di grandi multinazionali come L’Oréal, Mars, Nestlé, PepsiCo, The Coca-Cola Company, Unilever, Walmart e i grandi produttori di imballaggi Amcor e Berry Global.
I progetti sono molti e variegati, tutti però hanno in comune la stessa visione di fondo: eliminare la plastica non necessaria, innovare i materiali per renderli riciclabili, riutilizzabili e compostabili e infine mantenere la plastica all’interno dell’economia evitando di disperderla nell’ambiente. Il più grande successo finora è stata la creazione del Polystyrene, una bioplastica generata a partire dai rifiuti agricoli, riutilizzabile e totalmente compostabile, con un costo produttivo molto basso.
Tessile
Ogni secondo che passa l’equivalente di un camion di scarti tessili viene bruciato o interrato e ogni anno milioni di tonnellate di vestiti vengono prodotti, acquistati, indossati e buttati, l’equivalente di 500 miliardi di dollari. Il corollario è che l’industria della moda è uno dei maggiori produttori mondiali di microplastiche, con mezzo milione di tonnellate che finisce diritto nei mari. Per convertire in senso circolare le attività produttive l’EMF propone di sfruttare più a fondo i capi di abbigliamento, realizzarli in modo da poter essere riutilizzati più facilmente e impiegare materiali riciclabili o provenienti da fonti rinnovabili.
Il migliore esempio di questa strategia è il ridesign dei jeans: più resistenti, cuciti in modo da poter essere trasformati in altri capi con pochi passaggi ed evitando l’uso di sostanze tossiche per i lavoratori e l’ambiente. Oppure c’è il caso di Zalando che, nell’ambito della strategia di sostenibilità “do.MORE”, punta a estendere il periodo di vita di almeno 50 milioni di prodotti moda entro il 2023 attraverso l’app Zircle (che permette agli utenti di vendere i propri capi usati) e il lancio della linea “Pre-owned” dedicata a vestiti di seconda mano. Inoltre l’azienda si è impegnata ad adottare imballaggi sostenibili eliminando la plastica monouso da tutte le sue confezioni e a sostenere startup innovative per rendere la moda più circolare.
Istruzione
Tra le attività dell’EMF vanno considerate anche le collaborazioni con alcune delle più importanti università del mondo con lo scopo di diffondere il concetto dell’Economia Circolare, ma anche di sviluppare e condividere nuove soluzioni. Tra i partner ci sono la London School of Economics, l’Università di Bristol, la Bocconi e l’Università di Pavia. Interessante anche il progetto per il campus del MIT dove l’obiettivo è ridurre i rifiuti prodotti, ma soprattutto analizzarli applicando soluzioni data-driven nella raccolta. Accanto alle opportunità di approfondimento post-laurea e ai materiali per le scuole di grado inferiore (con un netto accento sull’insegnamento a distanza), la Fondazione realizza anche il Circular Economy Show, incontri-dibattito delle durata di un’ora circa pubblicati su YouTube per affrontare e sviscerare specifici aspetti dell’Economia Circolare.
Altro
Infine la Ellen MacArthur Foundation rimane aperta a qualsiasi altro tipo di progetto proposto da partner e collaboratori che possa portare valore adottando i principi dell’Economia Circolare. Per esempio in California viene promossa l’adozione di sacchetti per l’umido realizzati in modo da essere riutilizzabili e compostabili. Nella periferia di Bruxelles invece verrà realizzato Broeklin, un centro in educativo-produttivo-commerciale in cui studiare, realizzare e acquistare beni su misura, ospitato in grandi spazi industriali riadattabili e dotato di un sistema di sfruttamento delle risorse e riduzione dei rifiuti.